di Vito Ricci.
I Saraceni e la Puglia del secolo decimo.
Dopo la caduta degli emiri di Bari (871) e di Taranto (880) la presenza dei Mussulmani nella nostra regione non ebbe per niente fine e, sebbene mancassero delle loro entità “statali”, le incursioni e i saccheggi da parte da parte degli Arabi continuarono per tutto il secolo successivo. Questo argomento è ben trattato nel libro di Antonio Papagna “I Saraceni e la Puglia del secolo decimo“, 1990, Levante Editore. L’autore, attraverso un accurato lavoro di revisione e di ricostruzione di un periodo storico in cui leggende e racconti di parte abbondano, prende in esame i personaggi e i fatti che ebbero luogo nella Puglia del secolo X, dagli inizi della riconquista bizantina all’alba del anno Mille, vagliando attentamente le fonti storiche disponibili (riportate in appendice al libro).
Al centro della trattazione sono i Bizantini e i Saraceni, ma l’autore non trascura le vicende relative agli interventi di papi ed imperatori, così come dei principi longobardi e dei notabili locali.
La Puglia riconquistata dai Bizantini era esasperata dalle angherie dei funzionari greci, soprattutto in ambito fiscale, e sovente scoppiavano ribellioni da parte della popolazione che chiamava in soccorso i principi longobardi della Campania. Non di rado si assisteva a scontri tra l’esercito bizantino e quello longobardo per il possesso di parte della Puglia. I Saraceni erano liberi di scorrazzare impunemente per l’intera regione, approfittando della debolezza e dell’incuria dei Bizantini, ed avevano le loro basi in Sicilia e nel ribat alle foci del Garigliano e del Minturno, dal quale furono scalzati dalle truppe cristiane dopo la battaglia del 915, con un duro colpo all’espansione islamica nel nostro Mezzogiorno. Tuttavia i Saraceni non si diedero per vinti e con rinforzi provenienti dall’Africa ripresero le loro razzie culminate nella distruzione delle città di Oria (925) e di Siponto (926) e in una spedizione contro Taranto (928).
La Puglia del X secolo è un quadro davvero desolante: vittima del malgoverno e dell’esosità di Bisanzio del tutto disinteressata ai territori pugliesi, senza una permanente difesa militare che impedisse le aggressioni musulmane, con un diffuso senso di ribellione delle popolazioni verso i Bizantini, con delle città al cui interno le fazioni filobizantine (nuova nobiltà mercantile) e filolongobarde (antica nobiltà terriera) si combattevano in scontri fratricidi, con una forte instabilità e insicurezza economica e sociale. Ripetute spedizioni da parte dei Bizantini contro i Saraceni dal 952 al 965 risultarono decisamente fallimentari. In tale contesto si inserì l’Impero carolingio con le pretese sui territori dell’Italia meridionale nelle persone di Ottone I e Ottone II e gli inevitabili conflitti con i Bizantini, anche se non mancarono tentativi (falliti) di alleanza. La nostra regione veniva a trovarsi tra l’influenza dell’impero d’Oriente e quello d’Occidente, ma sempre facile preda delle incursione saracene. Nel 976-977 si ebbe una spedizione in Puglia e Calabria dell’emiro di Sicilia Abu Al-Qasim, con la distruzione di Taranto e Oria, mentre altri centri come Otranto e Gravina resistettero. Come reazione nel 982 Ottone II decise una spedizione punitiva contro i Saraceni di Sicilia. L’imperatore fu ad un passo dalla vittoria, ma una serie di errori imperdonabili durante la battaglia di Capo delle Colonne determinarono la completa disfatta delle schiere cristiane con almeno quattromila morti. L’anno successivo Ottone II moriva e per quasi 25 anni l’influenza e la supremazia dell’Impero d’Occidente nel Mezzogiorno scomparve, lasciando la Puglia sotto la dominazione di Bisanzio.
Negli ultimi decenni del X secolo le vicende già sopra descritte sembrano ripetersi: altre razzie mussulmane negli anni 988 (quando furono distrutti una serie di casali nei dintorni di Bari) nel 991 e nel 994, debolezza dei Bizantini, lotte intestine tra fazioni all’interno delle città, rivolte antibizantine e successive repressioni.
Secondo Papagna sebbene la presenza saracena in Puglia comportò distruzioni, morti e saccheggi inenarrabili, servì pure a sviluppare i rapporti con la Sicilia, l’Africa e l’Oriente, stimolò le attività marinare e lo spirito mercantile tipico della nostra regione apportando qualche barlume di ricchezza e benessere diffusi anche se limitati ai ceti medio-alti poiché la miseria prevaleva negli strati più bassi della popolazione. Anche i Bizantini, ad un’attenta analisi storica, ebbero un ruolo positivo, nonostante le vessazioni e i comportamenti imbelli, favorendo i commerci, introducendo innovazioni in agricoltura, gettando i semi di un nuovo incivilimento soprattutto in Terra d’Otranto. Tuttavia i Bizantini per cacciare definitivamente i Saraceni nel 1002 chiamarono in aiuto i Veneziani per liberare la città di Bari. I funzionari inviati dall’imperatore d’Oriente per governare i territori pugliesi alla fine del secolo X furono sempre peggiori, le misure repressive s’intensificarono soffocando in ogni modo l’anelito di libertà delle popolazioni pugliesi. Sarà questo a determinare l’avvento dei Normanni nel secolo XI, visti dapprima come liberatori dall’oppressione greca e poi, ahimè, come impedimento al sorgere del libero Comune e delle autonomia cittadine in corso di formazione.
L’opera di Papagna getta luce su un periodo poco noto e studiato della storia della nostra regione. Il suo racconto dettagliato, preciso e completo presenta un quadro della situazione della Puglia nel X secolo suscitando l’interesse e la curiosità nel lettore che vuole scoprire o approfondire nuove vicende medioevali.
Bari: porta d’Oriente e capitale bizantina.
Bari, per quasi due secoli, fu il principale centro e la sede della massima autorità bizantina nei territori occidentali dell’Impero romano d’Oriente. Dopo la fine dell’emirato arabo e una breve parentesi longobarda, nel 876 la nostra città diventò il capoluogo del “Thema di Longobardia”, provincia che comprendeva la Puglia e i territori campani sino a Benevento contesi ai principati longobardi. Il Thema era governato da un funzionario imperiale detto stratega. Nel 970 Bari divenne la sede del Catapanato d’Italia retto da un nuovo funzionario d’alto rango: il Catapano che aveva giurisdizione su tutti i possedimenti bizantini nella penisola italica. Spesso tali incaricati appartenevano all’aristocrazia della corte costantinopolitana o erano imparentati con la famiglia imperiale.
Il dominio bizantino si protrasse sino al 1071, quando ebbe fine a causa della conquista normanna. È di questi due secoli di storia che tratta il libro di Nino Lavermicocca (già Direttore Archeologo presso la Sovrintendenza Archeologica della Puglia) “Bari bizantina Capitale mediterranea” (edizioni di Pagina, pp. 138, euro 11,00). È un periodo storico al quale i pur grandi medioevalisti di casa nostra (Musca, Corsi, Porsia, Licinio) non hanno mai dedicato una trattazione autonoma e bisogna dare atto e merito a Lavermicocca d’aver raccolto tale sfida ed averci regalato questo agile volumetto che si legge con piacere grazie alla collaudata capacità dell’Autore di illustrare la storia, l’arte e l’archeologia in modo fluido e chiaro.
Ma come si presentava la Bari bizantina? Era una città che poteva contare una popolazione tra i 15 e i 20 mila abitanti, era governata da un Catapano (un governatore pressoché assoluto sia in campo civile che in quello militare) che tuttavia applicava le norme del diritto longobardo, rispettando così gli usi e la consuetudine locali. Era una città plurietnica e multireligiosa: c’erano Greci, Longobardi, Armeni, Siri, Arabi, Slavi, Ebrei, genti d’Oriente e d’Occidente. Era tra i principali porti del Mediterraneo, vera porta verso l’Oriente, con una notevole presenza di mercanti locali, ma anche forestieri: veneziani, amalfitani, ravellesi. Importantissima fu la “Crisobolla” dell’imperatore Basilio II, un accordo politico-commerciale tra Bisanzio e la Serenissima, in base al quale nel 1002 il doge Pietro II Orseolo con cento navi veneziane venne a liberare Bari dai Saraceni. Una città che aveva il centro del potere amministrativo e politico nel Palazzo del Catapano (il palazzo pretorio ubicato laddove oggi sorge la Basilica di San Nicola) a cui faceva da contraltare l’Episcopio, sede del potere religioso. Bari in epoca bizantina era ricca di chiese intitolate ai santi orientali (Demetrio, Gregorio, Eustrazio, Sofia, Pelagia) che stanno affiorando negli ultimi tempi dalle viscere della città antica. Tra il X e l’XI secolo tali chiese dovevano essere intorno ad una cinquantina. Di quasi una decina di queste sono stati ritrovati i resti, venuti alla luce a seguito di indagini archeologiche: da palazzo Simi alla Cattedrale, da Santa Maria del Buon Consiglio ai SS. Giovanni e Paolo all’interno di Santa Scolastica, da S. Apollinare nel castello al Carmine, a San Felice sotto l’odierna San Michele. Spesso sugli edifici sacri bizantini furono innalzati nuovi templi cristiani in epoca romanica o successiva. Lavermicocca si sofferma anche sugli aspetti della vita quotidiana, la società e l’economia attraverso il vaglio di documenti e oggetti del tempo giunti sino a noi e lo studio di quello che è rimasto dell’architettura e dell’arte bizantina, sovente reimpiegato in costruzioni di epoca posteriore come la Cattedrale e San Nicola.
Il periodo bizantino fu per Bari indubbiamente assai florido e merita di essere meglio ricordato, magari con l’istituzione di un museo bizantino come propone Lavermicocca. Tuttavia esso ebbe anche degli aspetti e delle ripercussioni negative – a dire il vero non riportati dall’Autore – come il malgoverno dei funzionari bizantini, la politica fiscale sempre più asfissiante che finiva con l’immiserire le popolazioni, l’incapacità dei Greci di impedire le scorrerie dei Saraceni. Tali situazioni determinarono il sorgere di un partito con sentimenti antibizantini che sfociarono nella rivolta capeggiata da Melo (1009). Nel 1071 i Normanni con Roberto il Guiscardo causarono la fine del governo bizantino a Bari, un Impero, quello d’Oriente, giunto ormai al suo epilogo anche a Costantinopoli minacciata sempre più dai Selgiuchidi.
Ma cosa è rimasto dell’epoca bizantina? Quale eredità ci ha lasciato? A parte alcune rare pergamene, i resti delle chiese, i materiali di reimpiego visibili all’interno di San Nicola e la Cattedrale, resta la memoria nella toponomastica della città vecchia, in molte feste, consuetudini e dolci. Basti pensare alle cartellate (dal greco kartelàs, cestino). Alcuni cognomi baresi sono di palese origine bizantina: Anaclerio, Armenise, Amoroso, Basile, Caradonna, Catapano, Calò, Romanazzi, Maurogiovanni, Poliseno, Zema. Così come alcuni termini dialettali: il terrazzo (uàskr, da òstraka, tegole), la melagrana (séte), il fico secco (chiacùne), la mandorla (amìnue), la civetta (kekkevàsce), il facchino (vastàse), i fioroni (kelùmme) ed altri ancora.
Bari bizantina è un libro di agevole e interessante lettura per scoprire (o riscoprire) la storia medioevale della nostra città.
I Templari tra storia e leggenda.
Sui Templari e le vicende ad essi collegate sono stati versati fiumi di inchiostro. Si va dai testi di storia di autorevoli studiosi a quelli che invocano i Templari nei contesti più vari – come esoterismo, misteri, tesori, massoneria – che poco hanno a che spartire con la storia dei cavalieri rossocrociati. “Niente è più facile che trovare un libro sui Templari. L’unico inconveniente è che nel 90 per cento dei casi (mi correggo, 99) si tratta di bufale, perché nessun argomento ha mai maggiormente ispirato le mezze calzette di tutti i tempi e di tutti i paesi quanto la vicenda templare” scriveva Umberto Eco in un suo articolo e noi non possiamo che concordare.
Per valutare la serietà di un libro sui Templari, suggerisce sempre Eco, occorre controllare se la conclusione si ferma al 1314, anno in cui l’ultimo Gran Maestro del Tempio Jacques de Molay venne bruciato sul rogo. Fatta questa debita premessa, vogliamo segnalare la pubblicazione dello studioso barese Paolo Lopane: “I Templari. Storia e leggenda”, Besa ed., pagg. 149, Euro 12,00. E’ un testo che ripercorre l’intera parabola della storia dei Templari dalla fondazione a Gerusalemme nel 1119 ad opera di Ugo de Payns, primo Gran Maestro dell’Ordine, e altri sette cavalieri sino al declino e alla soppressione avvenuta nel 1314 e voluta fortemente dal re di Francia Filippo IV il Bello. Il testo risulta essere di agevole lettura, completo e fornisce al lettore un quadro abbastanza esaustivo della storia dei Templari senza entrare in eccessivi dettagli. Insomma un libro di mole non eccessiva (è articolato in dieci capitoli) che può essere un utile strumento per avvicinarsi ad una trattazione storica dell’argomento Templari. Di un certo interesse è l’ampia bibliografia sulle fonti e su diversi testi di approfondimento.
Lopane apre il libro con l’ingresso dei Crociati a Gerusalemme il 15 luglio 1099, dopo ben cinque settimane di assedio, e l’orrendo massacro che ebbe luogo il giorno successivo. La costituzione dei regni latini d’Oriente non garantì la sicurezza in Terra Santa: bande di predoni infestavano le strade che da Giaffa portavano a Gerusalemme e si rendevano protagoniste di assalti, rapine, omicidi ai danni dai pellegrini. Nella Pasqua del 1119 ben 700 pellegrini furono accerchiati e massacrati. Fu la molla che spinse alcuni cavalieri a dedicarsi alla protezione e alla difesa dei pellegrini. Baldovino II diede loro ospitalità nella moschea al Aqsa chiamata dai Latini Tempio di Salomone. Da qui tali cavalieri, che costituirono il nucleo iniziale, presero il nome di Templari. San Bernando di Chiaravelle ispirò la regola di questo ordine costituito da monaci guerrieri, sottoposti esclusivamente all’autorità del Papa, che con il trascorrere dei secoli finirono per diventare una notevole potenza grazie alle attività finanziarie ed economiche alle quali si erano dedicati in special modo dopo la sconfitta di Acri (1291) e il venir meno dello scopo della protezione dei pellegrini e la lotta ai Mori. Il declino dell’Ordine ebbe luogo nei primi anni del XIV secoli per mano del re di Francia Filippo IV il Bello, indebitato con i Templari e bramoso di impossessarsi delle loro ricchezze, che fece leva su papa Clemente V, anch’egli francese e trasferito coattamente ad Avignone, per decretarne la confisca dei beni e la soppressione dopo vari processi inquisitori durante i quali si accusarono i cavalieri di stregoneria, sodomia e pratiche abominevoli. La storia dell’Ordine ebbe il suo epilogo nel 1314, quando l’ultimo Gran Maestro ed alcuni alti dignitari furono arsi vivi a Parigi. Lopane riporta anche la notizia dell’assoluzione dell’Ordine da parte di Clemente V come dimostrato da un documento recentemente trovato negli archivi vaticani.
Intenso e agile, ben documentato, il saggio di Lopane ricostruisce in modo fedele e appassionato le vicende dei Templari toccando i principali argomenti relativi a questo Ordine come la fondazione, la regola, l’organizzazione, le battaglie e le disfatte, il rapporto con i Musulmani, il declino e la soppressione.
Quando Bari era un emirato musulmano.
Probabilmente la maggior parte dei baresi stessi non sa neppure che la loro città nel lontano e buio IX secolo dell’era cristiana per circa 25 anni è stato un dominio dei musulmani che vi costituirono un loro emirato. Per fare luce su questo periodo storico si invita alla lettura di dell’opera intitolata “L’Emirato di Bari 847-871” (Edizioni Dedalo, 1964, ristampa 1992) di Giosuè Musca, già docente di storia medioevale all’Università di Bari ed insigne studioso. Il saggio di Musca, seppure scritto diversi anni or sono, risulta sempre argomentato e puntiglioso nella ricerca, e ci presenta e ricostruisce uno dei periodi più oscuri della storia della città barese e della nostra regione nel quadro di un Mezzogiorno italiano scenario di lotte tra Longobardi, Franchi e Bizantini cercando quanto di positivo ci fu in tale incontro di etnie e culture. C’è da aggiungere che quello di Musca mi sembra l’unico saggio sull’argomento attualmente esistente e ciò lo rende ancora più prezioso.
L’opera spazia dalla vicende che portarono gli Arabi nell’Italia Meridionale e in Puglia sino alla conquista della città di Bari nel 847 ad opera di Khalfun, un capo berbero, probabilmente di origine tunisina, che si dichiarò primo emiro della città A Khalfun nel 852 successe nel governo del “feudo” barese, vassallo di Baghdad, il secondo emiro: Muffarag-ibn-Sallám, uomo saggio e prudente, il quale si pose subito il problema della investitura ufficiale ed il riconoscimento legale della sua funzione di Walì (“Governatore”) del distretto barese, ampliato frattanto, fino a comprendere ben ventiquattro “castelli” o borghi fortificati. Non volendo essere considerato un usurpatore dal punto di vista politico e religioso, Muffarag inviò una lettera al Diwan al Barid , il “Direttore dell’Ufficio Posta, diplomi e informazioni” del califfo in Egitto, in cui si richiedeva il riconoscimento del nuovo emirato di Bari, l’investitura a governatore legittimo e l’autorizzazione alla pratica della pubblica preghiera del venerdì nella moschea della città (fatta edificare dallo stesso emiro). Per motivi che non si conoscono a pieno, la risposta a tali richieste non giunse mai a Bari. Muffarag governò sino al 856, quando fu ucciso dai suoi stessi Berberi. Gli succedeva come terzo ed ultimo emiro di Bari, il bellicoso ed astuto Sawdan, terrore dei cristiani e malefico demonio, come descritto, con dovizia di particolari, dalle cronache contemporanee latine. Anche Sawdan ambiva al prestigioso riconoscimento ufficiale della sua carica e per questo inviò nell’861 un ambasciatore personale o un gruppo di emissari direttamente a Baghdad. L’ambasceria portò i suoi frutti e Sawdan ottenne l’agognato riconoscimento.
Nel periodo in cui Sawdan governò Bari in città si ebbe un ottimo rapporto tra i Mussulmani e gli Ebrei, e lo stesso emiro aveva per consigliere ed amico Aaron ben Samuel ha-Nassi, un ebreo di Baghdad vissuto ad Oria, passato poi a Bari. Si narra che quando Abu Aaron, preso da nostalgia per la sua Baghdad, decise di lasciare la nostra città e il suo emiro, dopo appena sei mesi, imbarcandosi dal porto di Bari (già attivo in quel tempo lontano) su una nave per Alessandria, l’emiro tentò in tutti i modi di dissuaderlo, ricorrendo infine alla forza, facendo inseguire la nave del maestro da una flottiglia veloce di vascelli, che furono impediti di raggiungerla da una forza misteriosa, mentre scompariva all’orizzonte dell’Adriatico. Da fonti ebraiche emerge invece un volto diverso del terzo emiro di Bari, come un personaggio dall’incredibile astuzia diplomatica e da un immenso amore per il sapere, lontano dalla ferocia (che forse aveva pure) attribuitagli dalle cronache latine.
L’avventura dell’emirato mussulmano di Bari ebbe fine il 3 febbraio 871, quando, dopo varie lotte e vicende tra l’impero franco e quello bizantino, le truppe di Ludovico II e del principe longobardo Adelchi assediarono Bari fino ad entrare in città e catturare Sawdan, il quale tuttavia, per la clemenza dell’imperatore, ebbe salva la vita. La scorrerie dei Saraceni tuttavia durarono per tutto il X secolo e solo nel 1004 i bizantini con l’aiuto dei veneziani cacciarono gli Arabi definitivamente da Bari.
Ci piace pensare la Bari durante lo stato musulmano come convivenza pacifica tra diverse comunità: arabi, latini, greci, armeni, ebrei. Ci piace immaginare il Palazzo dell’emiro, la Moschea (forse ubicata ove si trova la Cattedrale di S. Sabino), il Ribat berbero, il Suk (“il mercato”), le stradine tortuose e i vicoli, un’autentica città araba, ricca di odori d’Oriente, di spezie, stoffe, amori, schiavi, bottino, cavalli, navi, fanciulle ed emiri.
Nasce a Bari-Palese nel 1971; laureato in Scienze statistiche ed economiche con lode, attualmente è impiegato presso presso l’Università di Bari; dal 1998 al febbraio 2005 ha lavorato a Roma in un’azienda municipalizzata. Appassionato di Storia in generale e particolarmente di quella medievale, soprattutto in relazione alla Puglia e alla Terra di Bari. Autore di ricerche sulla storia e i monumenti di Palese pubblicate su periodici locali e su portali Internet, è collaboratore di “Modugno.it”.
Ha pubblicato il volume Una comunità in cammino verso un futuro glorioso. Cento anni della parrocchia ‘San Michele Arcangelo’ di Palese, a cura di Vincenzo Auciello, Saverio Di Liso e Vito Ricci, settembre 2003. Tra i suoi articoli di interesse storico: Palese: testimonianze perdute della Preistoria, in «Peter Pan», novembre-dicembre 2001; Un’antica terra di ulivi, in «Il Tarlo», marzo 2004; Il Titolo tra Palese e Santo Spirito, in «Città dell’Uomo», aprile 2004; Le Torri della costa barese, in «Città dell’Uomo», maggio 2004; La chiesa rurale dell’Annunziata, pubblicato sui portali: Modugno.it, Bitonto.org, Bitonto.biz; I saraceni e la Puglia del secolo decimo e Quando Bari era un emirato musulmano, pubblicati su “Modugno.it”.
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