Leonardo di ser Piero da Vinci

Autoritratto, 1515 ca.

Leonardo di ser Piero da Vinci di Maurizio Penna

Leonardo di ser Piero da Vinci (Anchiano 1452, Amboise 1519) è stato un inventore, artista e scienziato italiano. Figlio illegittimo di Piero da Vinci e una certa Caterina di umili origini.
Ad analizzare la magnifica figura di Leonardo da Vinci una persona si sente tanto piccola e si chiede “chi sono io” per avvicinarmi a tanta grandiosità. Quindi la nostra mente dovrà fare uno sforzo enorme per entrare nel suo mondo. Nel visionare le sue opere oltre ad un approccio artistico e contemplativo si deve pensare che il nostro cervello elabora solo ciò che vuole memorizzare. Tutto il mondo civilizzato ci invidia Leonardo da Vinci eppure come vedremo non ebbe una vita facile. Le sue opere si trovano per la maggior parte al Louvre di Parigi e a Londra. Ciò perché il Rinascimento italiano non ha avuto eguali in Europa. Dei suoi lavori si sono interessati oltreché critici italiani, tedeschi, francesi e inglesi. Leonardo si cimentò in diverse arti eccellendo in tutte. All’inizio sembrava copiasse il lavoro di altri ma poi il suo genio esplose. Le commesse provenivano dalla Chiesa per cui bisognava attenersi a certi dettami. Per l’invidia di qualche collega con una lettera anonima agli Organi competenti fu accusato di sodomia nei confronti di un certo Jacopo Saltarellini. In quegli anni, quando predicava il Savonarola, l’accusa era molto grave ma il caso venne archiviato.
Episodi come questo anche se falsi lasciano nella vita di un uomo quella macchia, quel tanto di dubbio che più non si cancella. Leonardo non si sposò mai e poco si sa dei suoi rapporti con le donne. Secondo recenti studi quella ritratta nella Gioconda non sarebbe Lisa Gherardini sposa del mercante Francesco del Giocondo ma Isabella d’Aragona con la quale avrebbe avuto un legame affettivo. Gli studi forensi eseguiti dagli esperti sui suoi dipinti intravedono dei messaggi da decifrare per lo più anticlericali come nella prima versione della Vergine delle Rocce sita presso il Louvre di Parigi. Nel dipinto ultimamente è stato scoperto con tecniche d’avanguardia un cane confuso nella vegetazione cui sono stati dati diversi significati tra cui: Quel cane è l’atto di accusa di Leonardo Da Vinci contro la corruzione del Papato dell’epoca”. Le interpretazioni se non suffragate da dettagli tecnici sono molto soggettive. Per me un cane significa semplicemente “fedeltà”.
La seconda versione della Vergine delle Rocce si trova a Londra alla National Gallery. Questi due dipinti come l’ultima cena sono stati dipinti a Milano.

La Vergine delle rocce, prima versione. 1483-1486, Museo del Louvre.

In molti sapranno che il dipinto dell’Ultima Cena ha ispirato il film “il codice da Vinci”, una interpretazione interessante sugli ultimi anni della vita di Gesù e Maddalena. Uomo d’ingegno e talento universale del Rinascimento, considerato uno dei più grandi geni dell’umanità, incarnò in pieno lo spirito della sua epoca, portandolo alle maggiori forme di espressione nei più disparati campi dell’arte e della conoscenza: fu infatti: scienziato, filosofo, architetto, pittore, scultore, disegnatore, trattatista, scenografo, anatomista, botanico, musicista, ingegnere, e progettista.
Ottica, idrodinamica, geologia, meccanica: innumerevoli sono gli esempi di come l’interesse di Leonardo da Vinci andasse ben oltre l’arte pittorica e la scultura. Tra le indagini che Leonardo seguì con maggior interesse vi è quello per l’anatomia umana: una passione nata probabilmente dalla volontà di comprendere (e riprodurre nelle sue opere) l’espressività del volto umano. Una delle prime raffigurazioni (risalente al 1490 circa) riguarda la struttura del cranio umano, che Leonardo non solo riprodusse con disegni dettagliati, ma descrisse anche con grande accuratezza nella sua abituale scrittura speculare, come una didascalia che incornicia le varie strutture raffigurate.
Negli anni a seguire, fondamentale fu l’amicizia con Marcantonio della Torre, professore di anatomia presso l’Università di Pavia, che permise a Leonardo di avere accesso a molti campioni anatomici, nonché ai corpi di pazienti deceduti. In quegli anni si ritiene che Leonardo sezionò circa trenta cadaveri, osservando e descrivendo molti particolari dell’anatomia umana con un dettaglio fino ad allora mai raggiunto. Negli appunti di quel periodo si trova traccia di un’accurata descrizione delle ossa umane, nonché dei principali muscoli e nervi. Ne è un esempio la strabiliante raffigurazione dei muscoli del braccio e della spalla e della loro interazione con le ossa a cui si ancorano. Un’immagine da cui si evince il sempre vivo interesse di Leonardo per la meccanica, anche quando riguarda il funzionamento del sistema muscolo- scheletrico. Al 1507 risale invece la descrizione dell’autopsia di un uomo morto in un ospedale di Firenze. Leonardo attribuì le cause della morte al restringimento delle coronarie fornendo, di fatto, quella che è molto probabilmente la prima osservazione di arteriosclerosi.
Il cuore secondo Leonardo
Tra le più strabilianti descrizioni anatomiche di Leonardo vi è senz’altro quella del cuore. Non disponendo più della collaborazione di Marcantonio della Torre, morto di peste nel 1511, Leonardo si dedicò allo studio dell’anatomia animale. Sezionando un cuore di bue, Leonardo descrisse con grande accuratezza atrii e ventricoli e fornì la prima spiegazione del funzionamento delle valvole cardiache. Ma l’indagine di Leonardo non si fermò alla semplice descrizione: per comprendere fino in fondo il funzionamento del cuore, Leonardo costruì un modello in vetro della valvola aortica e vi pompò dentro una miscela di acqua e semi: così facendo osservò la formazione di piccoli vortici, che egli ipotizzò essere fondamentali per innescare la chiusura della valvola. Si è dovuto attendere il ventesimo secolo perché questa straordinaria intuizione venisse confermata dai cardiologi.
Leonardo comunque non riuscì mai a pubblicare i suoi disegni anatomici e molti di essi andarono perduti: un’immensa perdita sia artistica che scientifica se si pensa che ci vollero secoli prima che alcune delle strutture anatomiche descritte da Leonardo venissero «riscoperte» dalla scienza. Dopo la sua morte, centocinquanta dei disegni originali furono acquisiti dalla Royal Collection insieme ad altri componimenti artistici. Quando nel ventesimo secolo gli studi anatomici di Leonardo furono rispolverati, i progressi fatti dalla scienza nel corso dei secoli permisero finalmente di comprendere appieno il valore di quelle opere. La scienza si era finalmente messa al passo con il genio e l’intuito del grande Maestro.
Il 1482 è un anno di cambiamento per Leonardo da Vinci. Egli, infatti, lascia Firenze per raggiungere Milano, città molto diversa dalla raffinata culla del rinascimento nella quale aveva passato la giovinezza.

Leonardo da Vinci, statua nel piazzale degli Uffizi a Firenze

Le ragioni per le quali Leonardo lascia Firenze sono molteplici. Gli storici, tuttavia, sono concordi nell’affermare che Leonardo fosse molto affascinato dal ducato milanese. Al centro di una delle regioni più popolose e produttive dell’epoca, Milano era altresì aperta a qualsiasi tipo di novità tecnologica, soprattutto per le frequenti operazioni militari che la città dispiegava.
Durante il periodo rinascimentale, Milano era governata da Ludovico il Moro che, per Leonardo, poteva rappresentare un ricco e generoso mecenate in grado di finanziare le sue opere. Non a caso Leonardo si presenta ad esso con una “Lettera di impiego” un “curriculum” che, per l’occasione, fece scrivere da uno scrivano professionista. Qui il pittore fiorentino si presenta come un ingegnere militare capace di progettare e costruire armi temibili e fortezze che mai nessun nemico sarebbe riuscito ad abbattere, peculiarità che avrebbero sicuramente destato la curiosità di un duca tanto interessato all’arte della guerra. Era proprio con l’ingegneria, infatti, che Leonardo pensava e sperava di passare alla storia, rendendo la sua persona e le sue invenzioni immortali per i posteri. Bisogna chiarire che molte delle macchine da guerra che Leonardo progettò per gli Sforza rimasero solo oggetti futuristici senza applicazione pratica. Tali disegni rimasti incompiuti rappresenteranno forse l’unico neo della sua carriera.
Appare chiaro che Leonardo fosse intenzionato a restare a Milano, città che doveva affascinarlo per la sua apertura alle novità scientifiche e tecnologiche, causata dalle continue campagne militari. L’ambiente fiorentino doveva infatti procurargli ormai un certo disagio. Da un lato non si doveva riconoscere nella cultura neoplatonica della cerchia medicea, così imbevuta di ascendenze filosofiche e letterarie, lui che si definiva “omo sanza lettere”.
Dall’altro la sua arte stava divergendo sempre di più dal linearismo e dalla ricerca di una bellezza rarefatta e idealizzata degli artisti dominanti sulla scena, già suoi compagni nella bottega di Verrocchio, come Perugino, Ghirlandaio e Botticelli. Dopotutto la sua esclusione dai frescanti della Sistina rimarca la sua estraneità a quel gruppo.
I documenti sembrano indicare che l’accoglienza di Leonardo nell’ambiente milanese fu piuttosto tiepida, non ottenendo inizialmente gli esiti sperati nella famosa lettera al duca. L’artista ebbe anche diverse difficoltà con la lingua parlata dal popolo (ai tempi la lingua italiana quale “toscano medio” non esisteva, tutti parlavano solo il proprio dialetto), sebbene gli esperti ritrovino poi nei suoi scritti degli anni successivi addirittura dei “lombardismi”.
Per una prima commissione l’artista dovette infatti attendere il 25 aprile 1483, quando con Bartolomeo Scorione, priore della Confraternita milanese dell’Immacolata Concezione, stipulò il contratto per una pala da collocare sull’altare della cappella della Confraternita nella chiesa di San Francesco Grande (oggi distrutta). Al contratto presenziarono anche i fratelli pittori Evangelista e Giovanni Ambrogio de Predis, che ospitavano Leonardo nella loro abitazione vicino a Porta Ticinese. La Pala era quella della Vergine delle Rocce.
In una supplica a Ludovico il Moro, databile al 1493, dalla quale si evince che l’opera era stata compiuta almeno entro il 1490, ma che la critica considera comunque finita entro il 1486, Leonardo e Ambrogio de Predis chiedevano un conguaglio di 1200 lire, rifiutato dai frati. La lite giudiziaria si trascinò fino al 27 aprile 1506, quando i periti stabilirono che la tavola era incompiuta e, stabiliti due anni per terminare il lavoro, concessero un conguaglio di 200 lire. Il 23 ottobre 1508 Ambrogio incassò l’ultima rata e Leonardo ratificò il pagamento.
Sembrerebbe che Leonardo, dato il mancato pagamento delle 1.200 lire da parte della Confraternita, avesse venduto per 400 lire la tavola, ora al Louvre, al re di Francia Luigi XII°, mettendo a disposizione, durante la lite giudiziaria, una seconda versione della Vergine delle Rocce, che rimase in San Francesco Grande fino allo scioglimento della Confraternita nel 1781 ed è ora conservata alla National Gallery di Londra insieme con le due tavole del de’ Predis.
Per completezza va detto che non per tutti l’esemplare di Londra è di Leonardo. Per alcuni, pur abbozzato dal maestro, fu condotto con l’ausilio degli allievi.
Nei primi anni milanesi Leonardo proseguì con gli studi di meccanica, le invenzioni di macchine militari, la messa a punto di varie tecnologie. Verso il 1485 doveva essere già entrato nella cerchia di Ludovico il Moro, per il quale progettò con versatilità sistemi d’irrigazione, dipinse ritratti, approntò scenografie per feste di corte, ecc. Una lettera di quegli anni ricorda però come l’artista fosse insoddisfatto per i compensi ricevuti, descrivendo anche il suo stato familiare all’epoca. Scrisse infatti Leonardo al duca che in tre anni aveva ricevuto solo 50 ducati, troppo pochi per sfamare “sei bocche”: quelle dei tre allievi Marco d’Oggiono, Giovanni Antonio Boltraffio, e Gian Giacomo Caprotti; di un uomo di fatica e, dal 1493, di una domestica di nome Caterina, forse la madre naturale di Leonardo al seguito del figlio dopo essere rimasta vedova.
Nei due anni successivi le commissioni ducali si fecero sempre più frequenti. Ricevette ad esempio pagamenti per il progetto del tiburio del Duomo di Milano. Nei primi mesi del 1489 si occupò delle decorazioni, nel Castello Sforzesco, per le nozze di Gian Galeazzo Maria Sforza e Isabella d’Aragona, presto sospese per la morte della madre della sposa, Ippolita d’Aragona e rimandate all’anno successivo.
A Pavia

L’Uomo vitruviano, studio di proporzionalità di un corpo umano, Venezia, Gallerie dell’Accademia

Il 21 giugno 1490 andò a Pavia, su richiesta dei fabbricieri del Duomo per una consulenza. Vi si recò con Francesco di Giorgio Martini, architetto e autore del “Trattato di architettura”, che riprendeva il “De Architectura” di Vitruvio. Leonardo dovette trovare particolarmente stimolante la rielaborazione in volgare del testo latino, approfondendo lo studio dell’architettura. Di quegli anni è infatti il cosiddetto Manoscritto B, dedicato all’urbanistica, all’architettura religiosa e militare. Risalgono allo stesso periodo anche gli studi sul corpo umano e sulle sue perfette proporzioni, che culminarono nell’esecuzione del celeberrimo disegno dell’Uomo Vitruviano.
L’ Ultima Cena
Nel 1494 Leonardo ricevette una nuova commissione, legata al convento di Santa Maria delle Grazie, luogo caro al Moro, destinato alla celebrazione della famiglia Sforza, in cui aveva da poco finito di lavorare Bramante. I lavori procedettero con la decorazione del refettorio, un ambiente rettangolare dove i frati domenicani consumavano i pasti. Si decise di affrescare le pareti minori con temi tradizionali tra cui un’Ultima Cena affidata a Leonardo. In tale opera, che lo sollevò dai problemi economici imminenti, Leonardo riversò come in una summa tutti gli studi da lui compiuti in quegli anni, rappresentandone il capolavoro.
Leonardo attinse alla tradizione fiorentina dei cenacoli, reinterpretandola però in maniera estremamente originale con una maggiore enfasi sul momento drammatico in cui Cristo afferma «Qualcuno di voi mi tradirà» e sui “moti dell’animo” degli apostoli turbati. Essi sono ritratti a gruppi di tre, come una serie di onde emotive successive, con al centro la figura isolata e dominante del Cristo. Leonardo cambiò l’iconografia tradizionale scegliendo di non rappresentare Giuda da solo su un lato del tavolo, ma accanto agli altri sul medesimo lato rivolto allo spettatore.
Come è noto Leonardo non si trovava a suo agio con la tecnica dell’affresco, poiché i veloci tempi di asciugatura dell’intonaco richiedevano un tratto deciso e rapido, non compatibile con i lunghi studi, le successive velature e la sua finissima pennellata. Per questo Leonardo inventò una tecnica mista di tempera e olio su due strati di intonaco, che rallentò le fasi di esecuzione dell’opera consentendogli di rendere una maggiore armonia cromatica e gli effetti di luce e di trasparenze a lui cari. L’opera era conclusa nel 1498, quando venne ricordato nel De Divina proportione di Luca Pacioli. L’esperimento si rivelò però drammaticamente inadatto a un ambiente umido come il refettorio, con la parete comunicante con le cucine. Già nel 1517 (dopo la morte di Leonardo) Antonio de Beatis annotò le prime perdite di colore che all’epoca di Vasari erano già evidenti, da allora si susseguirono restauri e ridipinture, oltre a eventi estremamente drammatici durante l’occupazione napoleonica e la seconda guerra mondiale, che avevano consegnato un capolavoro estremamente compromesso, a cui ha posto rimedio, per quanto possibile, il capillare restauro concluso nel 1999.

L’Ultima Cena, dopo il restauro

ll periodo errabondo (1499–1508)
La partenza da Milano, occupata dai francesi, segnò l’inizio di un periodo di viaggi e peregrinazioni, che lo condussero a visitare più corti e città e lo fecero tornare per brevi periodi a Firenze.
A Mantova
Nel dicembre 1499 riparò a Mantova ospite di Isabella d’Este, la quale aveva visto la Dama con l’Ermellino restandone colpita e gli commissionò un ritratto mai completato, del quale si conserva il cartone preparatorio, oggi al Museo del Louvre. Nonostante le lusinghe di Isabella, che voleva fare di lui il pittore di corte in sostituzione dell’anziano Andrea Mantegna, del quale non apprezzava l’arte nel ritratto, Leonardo ripartì presto, trovando l’ambiente mantovano forse troppo soffocante e tutto sommato con limitate prospettive di guadagno per i continui problemi economici del piccolo marchesato.
A Venezia
Nel suo peregrinare Leonardo giunse a Venezia nel 1500. La presenza dell’artista fiorentino nella Serenissima è testimoniata da Luca Pacioli, che forse l’accompagnò in città per approntare insieme la stampa del De Divina proportione, che era illustrato con disegni forse derivati da prototipi di Leonardo. Qui venne incaricato di immaginare alcuni sistemi difensivi contro la continua minaccia turca. Leonardo iniziò il progetto di una diga mobile, da collocare sull’Isonzo, in grado di provocare inondazioni sui presidi in terraferma del nemico, che, per il costo elevato, fu accantonato. Al suo posto Leonardo iniziò a progettare il rafforzamento delle mura di cinta di Gradisca d’Isonzo.
Il ritorno a Firenze
Dopo aver visitato Roma e Tivoli, nell’aprile 1501 tornò a Firenze, dove non metteva piede da vent’anni. Trovò accoglienza presso il canonico Amadori a Fiesole, fratello della matrigna Albiera, nonostante suo padre Piero fosse ancora vivo. Probabilmente l’artista si sarebbe trovato a disagio nella casa piena dei fratellastri che non conosceva nemmeno e che si rivelarono poi a lui ostili dopo la morte del padre, riguardo all’eredità.
Leonardo era tormentato da problemi economici e bisognoso di lavorare. Fu così che l’amico Filippino Lippi, che in passato aveva ricevuto commissioni lasciate incompiute da Leonardo, rinunciò in suo favore all’incarico di dipingere per I frati serviti una pala d’altare per l’altare maggiore della Santissima Annunziata. Leonardo, col Salaì, si trasferì allora nel convento, ma ancora una volta non riuscì a completare l’opera affidatagli. I frati si dovettero accontentare di un cartone con la Sant’Anna, poi perduto, che godette di una straordinaria fama tra i contemporanei. Ne resta una vivace descrizione del Vasari:
In questo periodo Leonardo iniziò a lavorare al capolavoro che lo rese celebre nei secoli, la Gioconda identificata tradizionalmente in Lisa Gherardini, nata nel 1479 e moglie di Francesco Bartolomeo del Giocondo (da cui il nome “Gioconda”). Il dipinto, considerato il ritratto più famoso del mondo, va ben oltre i limiti tradizionali del genere ritrattistico. Il rapporto tra i due geni del Rinascimento, Leonardo e Michelangelo Buonarroti, fu difficile, spesso teso, a causa della differenza generazionale (Michelangelo era di 23 anni più giovane di Leonardo), ma soprattutto, per via dei caratteri diversi e degli ideali artistici inconciliabilmente lontani: il primo fu riflessivo, poliedrico e interessato al mondo naturale; il secondo più impulsivo, notoriamente riottoso e idealista. Non vi sono prove dirette della loro inimicizia, ma svariati indizi e testimonianze indirette. Nel Trattato della pittura, ad esempio, Leonardo condannò gli “eccessi anatomici e la retorica muscolare” che fanno parte dello stile di Michelangelo e dei suoi seguaci, pur senza mai citare direttamente il rivale.
Al servizio di Cesare Borgia
Nel 1502 Leonardo venne assoldato da Cesare Borgia in veste di architetto e ingegnere militare. I due avevano già avuto modo di conoscersi a Milano nel 1499. Il figlio di papa Alessandro VI°, detto “duca del Valentino”, fu uno dei tiranni più feroci del momento e occupò Leonardo, che era giunto a Cesena, in varie mansioni legate alle continue campagne militari, come rilevare e aggiornare le fortificazioni delle città di Romagna conquistate. Per lui mise a punto un nuovo tipo di polvere da sparo, formata da una miscela di zolfo, carbone e salnitro, studiò macchine volanti e strumenti per la guerra sottomarina. Nel mese di agosto soggiornò a Pavia, da dove partì per ispezionare le fortezze lombarde del Borgia. Disegnò inoltre mappe dettagliate per facilitare le mosse strategico-militari dell’esercito. Leonardo accettò l’incarico e alla fine del giugno 1502 era già a Urbino al seguito dell’esercito di Cesare Borgia in qualità di “Architecto et Ingegnero Generale”. Al seguito del Valentino assistette a una delle più sanguinose e crudeli campagne dell’epoca, l’attacco a tradimento contro Urbino. Proprio a Urbino Leonardo strinse rapporti d’amicizia con Niccolò Macchiavelli, probabilmente già conosciuto a Firenze.
Dal marzo 1503 fu nuovamente a Firenze, scampando per poco al crollo dei domìni del Borgia. Ad aprile Pier Soderini gli affidò l’incarico di decorare una delle grandi pareti del nuovo Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, opera grandiosa per dimensioni e per ambizione, a cui avrebbe atteso nei mesi successivi. Nel luglio dello stesso anno, intanto, la Repubblica gli affidò un complesso progetto idraulico-militare per lo sbarramento dell’Arno in modo da farlo deviare contro la ribelle Pisa. Leonardo si recò nella città assediata dai fiorentini, insieme con Gerolamo da Filicaja e Alessandro degli Albizzi, ma il suo progetto fallì per un errore di calcolo, che mandò su tutte le furie il gonfaloniere Soderini.
Il secondo soggiorno milanese
A Firenze Leonardo cominciò a essere lusingato dal governatore francese di Milano, Carlo II° d’Amboise che lo sollecitava, fin dal 1506, a entrare al servizio di Luigi XII° di Francia. L’anno successivo fu lo stesso re a richiedere espressamente Leonardo, che infine accettò di tornare a Milano dal luglio 1508. Il secondo soggiorno milanese, durato fino al 1513, fu un periodo molto intenso: dipinse Sant’Anna, la Vergine e il bambino con l’agnellino.
Completò, in collaborazione col De Predis, la seconda versione della Vergine delle Rocce e si occupò di problemi geologici, idrografici e urbanistici. Studiò fra l’altro un progetto per una statua equestre in onore di Gian Giacomo Trivulzio, come artefice della conquista francese della città. Durante i suoi brevi viaggi visitò Como, poi si avventurò verso le pendici del Monte Rosa, poi con il Salaì e il matematico Luca Pacioli soggiornò a Vaprio d’adda in provincia di Milano, dove gli venne affidato dal padre il giovane Francesco Melzi l’ultimo e il più caro dei suoi allievi che lo seguì fino alla morte. Nel 1511 morì il suo mecenate Carlo II° d’Amboise. L’anno seguente la nuova guerra della Lega Santa scacciò i Francesi da Milano, che tornò agli Sforza.
A Roma
Nell’incertezza della situazione, nel 1514 Leonardo partì per Roma portandosi gli allievi più vicini, il Melzi e il Salai. Qui papa Leone X°, gli accorda il suo favore, Giuliano de Medici, fratello del ottenendo per lui un alloggio negli appartamenti del Belvedere al Vaticano. Qui l’artista si dedicò ai suoi studi scientifici, meccanici, ottica e di geometria e cercò fossili lamentò con Giuliano che gli venissero impediti i suoi studi commissioni pubbliche, ma ebbe modo di rivedere sul vicino monte Mario ma si anatomia nell’Ospedale di Santo Spirito. Non ottenne
Giuliano da Sangallo, che si stava occupando della fabbrica di San Pietro Raffaello Sanzio, che affrescava gli appartamenti papali, e forse anche Michelangelo, dal quale lo divideva l’antica inimicizia.
Contemporaneamente vennero ripresi i suoi studi di anatomia già iniziatisi a Firenze e Milano, ma questa volta le cose si complicarono. Una lettera anonima, inviata probabilmente per vendetta dai due lavoranti tedeschi, l’accusò di stregoneria. In assenza della protezione di Giuliano de’ Medici e di fronte a una situazione fattasi pesante, Leonardo si trovò costretto, ancora una volta, ad andarsene. Questa volta aveva deciso di lasciare l’Italia. Era anziano, aveva bisogno di tranquillità e di qualcuno che l’apprezzasse e l’aiutasse. L’ultima notizia del suo periodo romano è datata agosto 1516, quando misurava le dimensioni della Basilica di San Paolo fuori le mura dopodiché dovette accettare gli inviti del re di Francia. Nel 1517 Leonardo partì per la Francia, dove arrivò nel mese di maggio, insieme con Francesco Melzi e col servitore Battista de Vilanis, venendo alloggiato dal re nel castello di ClosLucè vicino ad Amboise, e onorato del titolo di premier peintre, architecte, et mecanicien du roi, con una pensione di 5.000 scudi.

Dama con l’ermellino (1485), Museo nazionale di Cracovia, Cracovia

Francesco I° era un sovrano colto e raffinato, amante dell’arte soprattutto italiana, come dimostrò anche negli anni successivi accogliendo con onori altri artisti. Gli anni passati in Francia furono sicuramente il periodo più sereno della sua vita, assistito dai due fedeli allievi e, sebbene indebolito dalla vecchiaia e da una probabile trombosi cerebrale che gli paralizzò la mano destra, poté continuare con passione e dedizione i propri studi e le ricerche scientifiche. Leonardo portò con se in Francia il quadro della Gioconda che fu acquistato dal re Francesco I pagandolo 4000 ducati d’oro. In seguito lo fece diventare parte delle collezioni reali della Francia, fino a quando Luigi XIV lo reclamò a Versailles.
Il 23 aprile 1519 redasse il testamento davanti al notaio Guglielmo Boreau, alla presenza di cinque testimoni e dell’inseparabile Francesco Melzi dispose di voler essere sepolto nella chiesa di San Fiorentino, con una cerimonia funebre accompagnata dai cappellani e dai frati minori, oltre che da sessanta poveri, ciascuno reggente una torcia; richiese la celebrazione di tre messe solenni, con diacono e suddiacono e di trenta messe “basse”, a San Gregorio, a Saint-Denis e nella chiesa dei francescani.
A Francesco Melzi, esecutore testamentario, lasciò «li libri […] et altri Instrumenti et Portracti circa l’arte sua et industria de Pictori», oltre alla collezione dei disegni e del guardaroba; al servitore De Vilanis e al Salay la metà per ciascuno di «uno iardino che ha fora de le mura de Milano […] nel quale iardino il prefato Salay ha edificata et constructa una casa»; alla fantesca Maturina dei panni e due ducati; ai fratellastri fiorentini il suo patrimonio nella città toscana, cioè 400 scudi depositati in Santa Maria Nuova e un podere a Fiesole. Leonardo morì pochi giorni dopo, il 2 maggio, presso il ,maniero di Clos-Lucè ad Amboise all’età di 67 anni. Francesco I° a Saint Germain en Laye dove si trovava, apprese la notizia della scomparsa direttamente dal Melzi e si lasciò andare a un pianto sconsolato.
Leonardo era un grande scettico, molto legato all’empirismo, ai fenomeni naturali e fisici. Proprio per questa sua visione del mondo e delle cose, era fortemente antidogmatico e antireligioso, polemico nei confronti di tutto ciò che riguardava la metafisica, in tutte le sue forme.
Una nota del Vasari racconta l’ateismo di Leonardo: «tanti furono i suoi capricci, che filosofando de le cose naturali, attese a intendere la proprietà delle erbe, continuando et osservando il moto del cielo, il corso della luna e gli andamenti del sole. Per il che fece ne l’animo un concetto sì eretico, che è non si accostava a qualsivoglia religione, stimando per avventura assai più lo esser filosofo che cristiano».
In molte sue note, Leonardo mostra scarsa stima nei confronti degli uomini di Chiesa e delle ricchezze delle quali usavano circondarsi, riservando loro parole forti: «Assai saranno che lasceranno li esercizi e le fatiche e povertà di vita e di roba, e andranno abitare nelle ricchezze e trionfanti edifizi, mostrando questo esser il mezzo di farsi amico a Dio».
Conclusioni
Molti pensano che Leonardo avesse un’intelligenza extraterrestre sicuramente superiore agli altri scienziati del suo tempo e che nei suoi dipinti come in alcune sue opere volesse comunicare dei messaggi cifrati all’umanità per salvarsi dall’Apocalisse o mettersi in contatto con altri mondi.

Statua di Leonardo in Piazza della Scala a Milano

Non c’è dubbio che il suo sapere sia stato superiore a quello degli scienziati del suo tempo che non capendo il suo genio evitavano. Certo è che molti suoi disegni andarono perduti e molti non furono mai realizzati a volte per sfiducia sulla loro realizzazione a volte per mancanza di soldi. Ciò che lo rende umano è il fatto che anch’esso commise degli errori che non lo scoraggiavano. Leonardo più di tutto amava l’anatomia in un periodo in cui era vietato diseppellire, sezionare e studiare cadaveri, in poche parole fare autopsie. Nel dipingere l’Ultima Cena sperimentò una tecnica di pittura che si rivelò un disastro, ma dal quel disastro seppe creare la sua opera più famosa. Egli passò periodi di difficoltà economiche, ma seppe sempre risollevarsi. Ciò che non comprendo è il perché si mise al servizio di un millantatore nonché crudele Cesare Borgia. Nonostante il suo anticlericalismo nei confronti di una Chiesa opulenta e lussuriosa che velatamente criticava volle un funerale cristiano da uomo qualunque.

Per scrivere all’autore clicca qui !

CATEGORIE
CONDIVIDI SU
Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
WhatsApp
Email
Stampa
My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.