L’epistolario di Alessandra Macinghi Strozzi: testimonianze di vita privata, politica e pubblica nella Firenze quattrocentesca

L’epistolario di Alessandra Macinghi Strozzi: testimonianze di vita privata, politica e pubblica nella Firenze quattrocentesca di Valentina Falanga

Le lettere di Alessandra Macinghi Strozzi ai figli esuli sono conservate presso l’Archivio di Stato di Firenze e constano di 73 carte che coprono un arco cronologico che va dall’agosto del 1447 all’aprile del 1470. Esse sono in grado di restituirci una duplice visione: la prima è quella di una madre che è in costante contatto con i figli Filippo, Lorenzo e Matteo, esuli tra Napoli, Valencia, Barcellona o Bruges. Mentre la seconda apre un scenario d’eccezione per indagare gli aspetti della vita quotidiana, materiale e sociale di una donna esponente del patriziato della Firenze quattrocentesca. Dense di particolari: personaggi, date e fatti politici sono un documento preziosissimo in grado di far luce su alcuni aspetti della politica interna della signoria toscana che altrimenti sarebbero stati taciuti[1].
Le lettere furono ritrovate e trascritte per la prima volta da Cesare Guasti, il quale nel 1877 le ha raccolte nell’opera A. Macinghi Strozzi, Lettere di una gentildonna fiorentina del secolo XV ai figliuoli esuli.
I Macinghi e gli Strozzi: il tempo è denaro
Nel giugno del 1422 Alessandra Macinghi sposò all’età di quindici anni Matteo di Simone Strozzi, un matrimonio di certo combinato, perché sia i Macinghi che gli Strozzi furono tra le più influenti famiglie di banchieri e mercanti fiorentini del Rinascimento[2]. La loro fortuna declinò parimenti all’ascesa dei Medici. Gli Strozzi, infatti, poterono tirare un momentaneo sospiro di sollievo quando Cosimo fu esiliato a Venezia. Esilio che durò solo un anno perché quest’ultimo rientrò nel 1434 in una Firenze che lo acclamò a gran voce[3]. La parentela con il ricchissimo Palla Strozzi fu uno degli elementi che costrinse la famiglia di Matteo Strozzi al bando di esilio e per questo motivo essi si trasferirono a Pesaro. Ma, nel 1435 la peste si abbatté sulla città decimandone la popolazione e mietendo vittime anche tra gli Strozzi: Matteo e quattro figli morirono. Alessandra incinta, vedova e con quattro figli non ancora in età da lavoro per forza di cose fu costretta a rimboccarsi le maniche[4]. Tornata a Firenze iniziò un’instancabile impresa di ricostruzione del patrimonio familiare che la impegnò fino alla fine della sua vita, anche se non visse abbastanza da veder realizzata la sua impresa. Infatti, pochi anni dopo la sua morte i figli furono riammessi formalmente in città dalla Signoria.
Il caso degli Strozzi è comunque interessante, essi una volta colpiti dal bando d’esilio si impegnarono, riuscendoci, a ricostruire la loro rete finanziaria. Per farlo poterono contare soprattutto sulle piazze commerciali che già a partire dal Trecento avevano aperto tra Barcellona e Valencia, infatti la loro presenza divenne solida in Spagna proprio nel Quattrocento[5]. I figli di Leonardo Strozzi (fratello di Matteo Stozzi): Jacopo, Filippo e Niccolò furono i primi a dirigersi nella Penisola Iberica e furono proprio loro gli appoggi a cui Alessandra chiese aiuto. Presso questi parenti nel 1441 Filippo fu spedito in Catalogna dove lo aspettava il cugino Niccolò, i quali poi si trasferirono insieme a Napoli. L’anno dopo fu la volta di Lorenzo che fu mandato a Valencia e nel 1450 l’ultimogenito Matteo approdò a Bruges per collaborare con Jacopo[6]. Il quadro familiare si ricompose mettendo insieme due rami degli Strozzi che avevano subito la stessa amara sorte. Il fatto che quest’uomini e queste donne riuscirono a ricostruire la loro vita con successo fuori dai confini della loro città natale è una testimonianza dell’intraprendenza, della dinamicità e della vitalità tipiche dell’Italia comunale.
Nel frattempo che i figli maschi erano ad imparare e a condurre gli affari all’estero Alessandra decise di intraprendere anche un’accurata strategia matrimoniale. La figlia maggiore, Caterina, andò in sposa a un figlio di Pier Parenti. In una lettera indirizzata a Filippo datata 24 agosto 1447 ella scrive: «E’n prima t’avviso come, per grazia di Dio, abbiàmo allogata la nostra Caterina al figliuolo di Parente Pier Parenti, ch’è giovane da bene e vertudioso, ed è solo, e ricco, e d’età d’anni venticinque, e fa bottega d’arte di seta e hanno un poco di stato […]. E sì gli do di dota fiorini mille […] quando ne va a marito; che credo sarà di novembre, se a Dio piacerà»[7]. Questo matrimonio fu possibile per gli Strozzi grazie all’apertura di un conto dove Caterina aveva maturato 500 fiorini che le consentì di contrarre comunque un matrimonio onorevole[8]. I restanti 500 fiorini come sottolineò la madre: «ch’ell’ha avere di maggio nel 1448 dal Monte; e gli altri cinquecento gli ho a dare tra danari e donora»[9]. Il Monte citato da Alessandra era il Monte delle Doti, fondato nel 1425 dai legislatori fiorentini e prevedeva che i padri alla nascita delle figlie depositassero 100 fiorini vincolandoli solitamente per quindici anni[10]. Questo ufficio serviva ad evitare che le ragazze venissero tolte dal mercato matrimoniale a vantaggio di quello monastico. Spesso i capofamiglia preferirono, per non dissipare o disperdere il patrimonio familiare, costringere le figlie alla monacazione forzata. L’uomo che Caterina sposò si chiamava Marco Parenti, questa famiglia era originaria del Mugello e stabilitisi a Firenze aveva fatto fortuna investendo nell’arte della seta[11]. Sposare una Strozzi, anche se decaduta, era comunque un buon affare poiché si trattava di una famiglia di antico e nobile lignaggio.
La madre pensò di trovare una sposa anche a Filippo, il primogenito, che di certo non poteva restare scapolo. In una lettera del 17 agosto 1465 ella scrive: «credo che Iddio me l’apparecchiò innanzi perch’io la vedessi; che non ci avevo il pensiero a vederla ora»[12]. Dopo aver saggiato varie candidate convenne che la migliore era Fiammetta Adimari e nel 1466 i giovani convolarono a nozze[13]. Alessandra informa con una lieta lettera Filippo che la moglie partorì una bambina e che il loro primogenito era in salute: «E la Fiammetta partorì, e delle genti ci capitano assai; e a me tocca tutto. E s’io non avessi altro iscioperìo che Alfonso […]. Sempre m’è drieto, come il pulcino alla chioccia»[14]. Il primo figlio di Filippo fu chiamato Alfonso, in onore del duca Alfonso di Calabria in quanto presso gli Aragonesi di Napoli gli Strozzi prestarono sia i loro servigi ma allo stesso tempo furono benvoluti alla corte partenopea. Le lettere sono una fonte inesauribile di informazioni che vanno dalle più banali alle più importanti e vitali per la conduzione degli affari. Una lettera datata 15 giugno 1465 vede: «Non so ancora come n’arò a Pazzolatico, che non v’ho lavoratore fermo, e Dio sa come gli è ridotto: ancora vive Piero e mona Cicilia, tramendua infermi. Ho allogato il podero per quest’altro anno, e me lo conviene mettere in ordine; e que’ due vecchi se non muoiono, hanno andare accettare»[15]. In un’altra lettera datata lo stesso anno ma del 2 novembre Alessandra disse: «ho ricolto staia 27 e mezzo di grano e barili 9 di vino a Pazzolatico, tra bianco e vermiglio, e nove a Quracchi: en tutto, ho barili 18. E se non fussi la carestia del pane, el vino varrebbe un fiorino largo el barile; ma vale 3 lire e soldi»[16]. Le zone citate da Alessandra sono le attuali Pozzolatico e Quaracchi, due borghi agricoli che si trovano poco distanti da Firenze dove gli Strozzi possedevano dei poderi che avevano allogato cioè avevano dato in affitto a dei contadini che li coltivassero[17]. In queste poche righe si vede benissimo come Alessandra non mancò né di spirito di iniziativa e né di lucidità dimostrando anche di avere una perfetta percezione di ciò che le accadeva intorno. Conosceva l’andamento del mercato e dei prezzi come quando considerava che il ricavato dalla vendita del vino sarebbe stata superiore se non vi fosse stata la carestia succeduta all’epidemia di peste. Sempre nella stessa lettera: «Messer Rinaldo mi domandò di 20 braccia di velluto pagonazzo, gli avevi fatto ordinare; e dissemi aveva lasciati 50 ducati viniziani, e perciò n’aveva avuto braccia sei: e che voleva che avendo pagati quelli innanzi gli fussi fatto termine […]. Io, benché considerassi che potessi essere a tuo danno […] presi sicurtà per voi …»[18]. La prudenza era un’altra virtù della Macinghi, che la consigliò sempre ai figli e la praticò in prima persona, ella informa preventivamente Filippo mettendolo in guardia ma, allo stesso tempo aspettò disposizioni per sapere come agire. In un’altra lettera la vedova Strozzi informò il primogenito che: «el panno per le camice non è ancora bianco; chè è tre mesi che ci abbiàno auto tempo molto piovoso e poco sole: come sarà bianco, le taglierò e cucirò, piacendo a Dio, e stando sana»[19]. Qui ritorniamo una dimensione più domestica, familiare, intima. Quello delle camicie, del cattivo tempo insistente e l’augurio di una buona salute possono sembrare particolari effimeri. Essi, invece, contribuiscono a rendere i personaggi di cui si parla meno evanescenti e più vicini a noi.
Le facoltà di leggere e di scrivere non erano appannaggio di tutti, fossero stati essi uomini o donne. Nel Basso Medioevo con la fioritura e la ripresa dei commerci la necessità di saper usare la penna e far di conto divennero una priorità assoluta.
L’epistolario di Alessandra risponde ad un bisogno «immediato, urgente di comunicazione, […] aliene da ogni proposito di tipologia culturale […]. Sono scritti assolutamente privati, in cui la stessa grammatica è quella parlata; avvisi, massime, ricordi, notizie, resoconti, talora persino con parti in cifra o in codice»[20]. Le sue lettere ci mostrano la tipiva mentalità del ceto mercantile dove l’attaccamento al bene materiale incarna il concetto stesso di famiglia[21] anche se Alessandra fu costretta a svendere sia gli averi acquisti dopo la morte del marito e sia i suoi beni dotali.
Nel suo modo di scrivere si possono rintracciare l’utilizzo di uno schema fisso, ben codificato ed articolato che si basa sulla formula della salutatio, dell’exordium, della narratio, della petitio e della conclusio anche «in un contesto di una prassi comunicativa del tutto privata, vincolata al segreto, senza alcun intento letterario»[22]. Tutto ciò fa di Alessandra una donna mediamente acculturata e che fatalmente si trovò a gestire il patrimonio familiare con sapienza e lungimiranza.
Bibliografia
Couchman J, Crabb A., Women’s letters across Europe, 1400-1700: form and persuasion, Routledge Londra, 2005.
Crabb A., The Strozzi of Florence: Widowhood and Family Solidarity in the Renaissance, The University of Michigan Press, 2000.
Doglio M. L., Lettera e donna. Scrittura epistolare al femminile tra Quattrocento e Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1993.
Doni Garfagnanini M., Conduzione familiare e vita quotidiana nelle lettere di Alessandra Macinghi Strozzi in Per lettera: la scrittura epistolare femminile tra archivio e tipografia. Secoli XV-XVII, a cura di G. Zarri, Viella, Roma, 1999, pp. 387-411.
Fabbri L., Alleanza matrimoniale e patriziato nella Firenze del ‘400. Studi sulla famiglia Strozzi, Olschki, Firenze, 1991.
Gatto L., Le grandi donne del Medioevo. Le personalità femminili più influenti dell’età di mezzo, Newton & Compton, Roma, 2009.
Heers J., L’esilio, la vita politica e la società nel Medioevo, Liguori, Napoli, 1997.
Macinghi Strozzi A., Lettere di una gentildonna fiorentina del secolo XV ai figliuoli esuli, a cura di C. Guasti, Firenze, Sansoni, 1877.
Soldani M.E., Uomini d’affari e mercanti toscani nella Barcellona del Quattrocento, Consejo Superior de Investigaciones Cientìficas, Barcellona, 2010.
Strozzi A., Selected letters of Alessandra Strozzi, a cura di H. Gregory, University of California Press, Los Angeles, 1997.
Sitografia
www.treccani.it
Note
[1] M. Doni Garfagnanini, Conduzione familiare e vita quotidiana nelle lettere di Alessandra Macinghi Strozzi in Per lettera: la scrittura epistolare femminile tra archivio e tipografia. Secoli XV-XVII, a cura di G. Zarri, Viella, Roma, 1999, pp. 387-411.
[2] A. Crabb, The Strozzi of Florence: Widowhood and Family Solidarity in the Renaissance, The University of Michigan Press, 2000.
[3] J. Heers, L’esilio, la vita politica e la società nel Medioevo, Liguori, Napoli, 1997.
[4] L. Gatto, Le grandi donne del Medioevo. Le personalità femminili più influenti dell’età di mezzo, Newton & Compton, Roma, 2009.
[5] M. E. Soldani, Uomini d’affari e mercanti toscani nella Barcellona del Quattrocento, Consejo Superior de Investigaciones Cientìficas, Barcellona, 2010.
[6] L. Fabbri, Alleanza matrimoniale e patriziato nella Firenze del ‘400. Studi sulla famiglia Strozzi, Olschki, Firenze, 1991.
[7] A. Macinghi Strozzi, Lettere di una gentildonna fiorentina del secolo XV ai figliuoli esuli, a cura di C. Guasti, Sansoni, Firenze, 1877, cit., p. 3-4.
[8] A. Molho, Marriage alliance in Late Medivial Florence, Harvard University Press, Massachusetts, 1994.
[9] A. Macinghi Strozzi, Lettere di una gentildonna, cit., p. 4.
[10] A. Molho, Marriage alliance.
[11] www.treccani.it/enciclopedia/piero-parenti_%28Dizionario-Biografico%29/
[12] A. Macinghi Strozzi, Lettere di una gentildonna fiorentina, cit., p. 459.
[13] J. Couchman, A. Crabb, Women’s letters across Europe, 1400-1700: form and persuasion, Routledge Londra, 2005.
[14] A. Macinghi Strozzi, Lettere di una gentildonna fiorentina, cit., p. 592.
[15] A. Macinghi Strozzi, Lettere di una gentildonna, cit., p. 438.
[16] A. Strozzi, Selected letters of Alessandra Strozzi, a cura di H. Gregory, University of California Press, Los Angeles, 1997, cit., p. 172.
[17] http://www.treccani.it/vocabolario/allogare/
[18] A. Macinghi Strozzi, Lettere di una gentildonna, cit., p. 432.
[19] A. Macinghi Strozzi, Lettere di una gentildonna, cit., p. 316.
[20] M. L. Doglio, Lettera e donna. Scrittura epistolare al femminile tra Quattrocento e Cinquecento, Bulzoni, Roma, 1993, cit., p. 4.
[21] M. Doni Garfagnini, Conduzione familiare e vita cittadina nelle lettere di Alessandra Macinghi Strozzi, in Per lettera: la scrittura epistolare femminile tra archivio e tipografia. Secoli XV-XVII, a cura di G. Zarri, Viella, Roma, 1999, pp. 387- 412.
[22] M. L. Doglio, Lettera e donna, cit., p. 5.

Valentina Falanga
È nata a Torre del Greco, provincia di Napoli, il 10 gennaio 1991. Da sempre appassionata di storia, arte e letteratura il 24 novembre 2017 si è laureata con il massimo dei voti in Scienze Storiche, indirizzo medievale-rinascimentale, all’università Federico II di Napoli.
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