Libro II – Le strade dei pellegrini. La Colomba e i Leoni di Cristina M. Cavaliere

Avventure e protagonisti sulle grandi rotte della cristianità

Il viaggio nel Medioevo: “Eppur si muove…”

Uno dei molti luoghi comuni che affliggono il Medioevo è che le persone non viaggiassero, o limitassero i loro spostamenti a causa delle strade dissestate e delle piste imprecise, dei fiumi spesso in piena e con ponti pericolanti, delle estese foreste da cui potevano uscire pericoli di ogni sorta, delle avverse condizioni climatiche e dei rischi di incidenti anche mortali.

Vi è dunque l’idea di comunità immobili e rinchiuse dentro villaggi, monasteri, abbazie e castelli, da cui si esce di rado e soltanto se strettamente necessario.

Invece ci si sposta, e si muovono tutte le classi sociali, dai re ai contadini, dai mercanti ai cavalieri, dai chierici ai soldati, dai briganti agli artigiani. Si percorrono i tracciati delle grandi arterie consolari romane, come la via Francigena, una delle strade più note, che da Canterbury attraversa la Francia, giunge in Italia, e arriva fino a Roma e, in un’ideale prosecuzione, fino ai porti di Bari e Brindisi che permettono l’imbarco per la Terra Santa; ma anche la via Egnatia che collega il basso Adriatico e l’Egeo. Si viaggia lentamente e faticosamente, a cavallo o a piedi, tra quantità eccessive di pedaggi, agevolati da frontiere spesso labili oppure ostacolati da elementi naturali come fiumi e foreste, organizzati in gruppi numerosi per meglio difendersi dagli assalti di animali selvatici e bande d’uomini. Ci si sposta per le ragioni più svariate, come raggiungere le fiere per acquistare o vendere mercanzia, andare in cerca di lavoro, visitare i confini dei propri domini, accompagnare nobili e importanti personaggi, partecipare a spedizioni belliche.

E, soprattutto, ci si sposta in segno di penitenza. Uno degli scopi primari del viaggio medievale è quello squisitamente religioso, che ha come destinazione i grandi santuari della cristianità fioriti in tutta Europa, dove ci si raccoglie in preghiera, si venerano le sacre reliquie e si impetra al Signore il perdono e l’assoluzione dai peccati, o l’ottenimento di un miracolo. Si tratta dunque del viaggio santo per eccellenza, tanto più santo in considerazione della meta finale, se questa è Roma o Gerusalemme; infine, se si ha la grazia di rimanere vivi, da questi luoghi si torna migliorati, o almeno cambiati e senz’altro carichi di notizie, di leggende e di colorite narrazioni destinate a essere ascoltate dalle orecchie avide dei propri conterranei.

Il tempo storico e il luogo geografico

Nel nuovo romanzo Libro II – Le Strade dei Pellegrini, appartenente alla saga crociata de La Colomba e i Leoni, l’avventura, la fuga, lo spostamento sono dunque i motori principali delle vicende. Ci troviamo nel 1104, qualche anno dopo la cosiddetta Prima Crociata dove i cristiani hanno assalito e conquistato la Città Santa di Gerusalemme, dopo una marcia a tappe forzate dall’Europa verso Costantinopoli e poi attraverso l’Anatolia. Anzi, ci troviamo in un segmento temporale che, secondo alcuni storici, è il principio del Pieno Medioevo destinato a produrre i frutti migliori nel campo delle invenzioni, della filosofia, della spiritualità, della letteratura.

I regni attorno al Mediterraneo subiscono ancora i contraccolpi per effetto del turbolento e sanguinoso passaggio degli eserciti cristiani, che hanno messo a ferro e fuoco il Vicino Oriente. I due mondi, quello musulmano e quello cristiano, si affacciano sullo stesso bacino d’acqua, quello che per i cristiani è il Mare Nostrum e per i musulmani è il Mar Bianco di Mezzo, e si fronteggiano, aspettando l’occasione per nuovi scontri: il Mediterraneo, tornato di tragica attualità proprio in questi decenni per via delle migrazioni e delle sue drammatiche conseguenze.

Jamil la Colomba

Il romanzo ha una rosa di personaggi principali che rimangono fissi e che ruotano attorno a un protagonista-cardine. Si tratta di un giovanissimo schiavo, rapito bambino dalle coste della Sicilia, e convertito all’Islam. Il suo nome è Francesco de’ Nardo, chiamato dai musulmani Jamil (che vuol dire bello), e al-Hamamat (che vuol dire la colomba). È apparentemente fragile nel corpo, dato che si tratta di un esile ragazzo di quindici anni; non grande combattente con la spada ma impareggiabile arciere. Come tale, viene sottovalutato da chi lo incontra in favore di personaggi più appariscenti e nerboruti. Lui è la Colomba che dà il titolo complessivo alla saga, mentre i Leoni sono coloro che incontra e con cui si confronta, di volta in volta in modo più intenso ed esclusivo. E questo personaggio ha una caratteristica che lo rende unico: la facoltà di aprire un collegamento con il mondo superiore e celeste, altrimenti invisibile agli occhi. Un collegamento che egli non sollecita, ma che gli viene incontro in maniera spontanea, e perciò tanto più incredibile.

La storia di una fuga

Le strade dei pellegrini è il ricordo della fuga di Jamil dal Maghrib – il Marocco, “la terra dove il sole tramonta” – quattro anni addietro. Nel Marocco egli vive a Taroudannt, città dalle mura rosseggianti al limitare del deserto, presso l’Amīr o emiro di nome Ghassan ibn Rashid, colui che lo rapì bambino dalle coste della Sicilia e con cui ha ormai un rapporto conflittuale destinato a conflagrare in maniera drammatica.

La sua sparizione adolescenziale inizia come una ripicca nei confronti del suo signore Ghassan, e diventa man mano una fuga a rotta di collo attraverso tutta la parte nordafricana dell’impero, in un territorio dalla geografia estremamente variegata. La sua magnifica avventura si svolge così tra deserti e gole petrose, oasi e palmeti, tempeste di sabbia e piene inattese, vestigia di città romane, leoni, e drappelli di guardie sguinzagliategli dietro da Ghassan, ed è costellata dagli incontri con un enigmatico giovane che sembra sbucare dal nulla per assisterlo.

Nel seguente estratto Jamil si trova davanti all’oceano nei primi momenti della sua fuga, ed è notte. Ha riflettuto sul mistero che c’è al di là delle acque inesplorate. Il titolo del capitolo è L’uomo delle stelle e del mare:

Jamil era ancora intento a fissare le tenebre, quando sentì una voce rivolgersi a lui: “Non è saggio pensare di dormire troppo vicino al mare. Con l’alta marea, le acque potrebbero distendersi sopra di te.” Balzò in piedi e, girandosi, scorse la figura di un giovane vestito d’una lunga tunica bianca, con le spalle rivolte al mare. Non l’aveva sentito arrivare, forse perché la soffice sabbia aveva spento il rumore dei suoi passi e perché non indossava calzature. I suoi piedi nudi spuntavano sotto l’orlo della tunica. Aveva capelli lunghi fin sulle spalle, ma il ragazzo non avrebbe saputo dire con certezza di quale colore fossero. Sopra il suo capo, si riflettevano le stelle, e la luce della luna brillava sulle chiome, come se le punteggiasse di piccole gemme. “Chi sei?” chiese il ragazzo. “Sono un pescatore.” “Non ne ha l’aria,” pensò il ragazzo. Non riusciva nemmeno a vedere il colore dei suoi occhi o le fattezze del viso, dato che non aveva acceso il fuoco per paura di attirare l’attenzione; intravedeva solamente il loro bagliore specchiante simile a quello dei felini, e il viso aguzzo, quasi triangolare. Tuttavia, quegli occhi e quel viso non gli incutevano nessuna paura.

Due mondi che si incontrano

Tutto il percorso di fuga, in virtù del fatto che Jamil è una persona speciale, è costellato da incontri stra-ordinari, cioè fuori dall’ordinario, vissuti in maniera pressoché normale. Può trattarsi del misterioso giovane che appare e scompare, e che gli fornisce una mappa per muoversi con maggior sicurezza, oppure indicazioni salvifiche; segni e sogni nelle foreste o in luoghi impervi e pericolosi che spetta a lui interpretare e cogliere; anche il bene di avere compagni del tutto inconsueti con cui discorrere per vincere il peso della solitudine e il rischio sempre incombente. In questi momenti cielo e terra si toccano, e l’uno si riversa nell’altro come vasi comunicanti; e si aprono portali dove il meraviglioso transita e fluisce.

La compagnia dei cavalieri

In questo modo il ragazzo fuggiasco arriva fino allo stretto di Gibilterra e approda ad al-Andalus o Andalusia, che nel 1104 è ancora parte dell’impero musulmano almoravide. Da lì, fugge lungo la costa e attraversa il confine dei regni cristiani, sempre inseguito da coloro che intendono riacciuffarlo. S’inoltra così in quel mondo, il mondo cristiano che, pur frantumato in contee, ducati e marchesati, abita dall’altra parte del Mediterraneo, e che a stento ricorda.

Nel corso del suo viaggio, Francesco fa un incontro determinante. In una fortezza semidistrutta sui Pirenei, che ha nome Montségur, s’imbatte in una compagnia di cavalieri ed ex-crociati che si sono accampati là. Stanno viaggiando per arrivare fino in Italia, imbarcarsi e ritornare in Terra Santa. Tra di loro c’è il conte fiammingo Geoffroy de Saint-Omer, che è il vero padre del ragazzo, e, non da ultimo, uno dei due cofondatori del futuro ordine dei cavalieri templari insieme al suo sodale Hugues de Payns. Un castello e un incontro che ha sognato durante la sua fuga:

Fissò la fiamma danzante del fuoco, e pensò. Pensò al castello visto in sogno, al suo volo vertiginoso d’uccello, alle sale sventrate che, in qualche modo, assomigliavano alla città romana abbandonata, quella dove si trovava ora. Qua, solo la curvatura di archi, pareti sbucciate dal vento e dall’arsura, pavimenti divelti dai saccheggi, statue decapitate. Là, finestre occhieggianti stelle, feritoie sbriciolate, squarci e ferite nei muri. Ripercorse quel volo, stavolta con la memoria, e ritornò al punto in cui si era interrotto. Era di nuovo nella stanza dove l’ara s’alzava dal pavimento. Sopra quell’altare, un crocifisso di legno. Sostava, andava oltre, passava nella stanza successiva…
E fu allora che li vide, nella fiamma del fuoco: due uomini mescolati con le ombre dei muri sbreccati e i raggi vorticanti, in una stanza dove gli agglomerati di buio erano oscuri come le profondità di pozzi e il sole era oro liquefatto. Uno era alto e muscoloso, con capelli inanellati e biondo-rossicci, l’abito da cavaliere e una spada, enorme, appesa alla cintura, una mano posata sopra. Gli venne ancora in mente Ercole, il semidio che, alla fine, conquistava l’immortalità. Ma non era lui a interessarlo particolarmente, bensì l’altro. L’altro, che non riusciva a veder bene, se non che era più basso, e aveva i capelli come un fiume biondo. Erano sciolti sulla schiena, per vanità, o forse no… no, erano chiusi da un legaccio di cuoio. Il ragazzo-uccello aguzzò la vista, sforzandosi di bucare quell’oscurità indistinta, dove a ogni passaggio di nuvola, ad ogni respiro di sole, la luce si trasformava in tenebre, e le tenebre in luce, per vedere in faccia il cavaliere dai capelli biondissimi.

Molti viaggi in uno

Da questo momento in poi, nel viaggio reale si innervano altri viaggi:

  • una sorta di educazione sentimentale del protagonista, per la prima volta allo sbaraglio e senza la protezione assicurata da Ghassan, che non è soltanto il suo padrone ma anche una sorta di guardiano;
  • un ripercorrere eventi alla riscoperta delle proprie origini attraverso i ricordi e la lingua. Infatti Francesco le ha dimenticate come ha dimenticato gran parte della sua infanzia, a causa del trauma subito;
  • una narrazione Pur senza muoversi, si può viaggiare tramite il ricordo o una storia fantastica ed è un viaggio che cambia dall’interno;
  • il cammino di tipo spirituale di Francesco, aiutato dalla figura del padre Geoffroy de Saint-Omer, che però non può rivelare la propria identità di padre del ragazzo e che lo ricondurrà, forse, alla fede delle origini.

Soprattutto per Francesco, che deve ritornare a quello che era un tempo, ogni tappa contribuisce a fornirgli quella tessera necessaria a ricostruire il mosaico distrutto nella sua infanzia; e, di più, ogni confine che attraversa, a cominciare da quello di Gibilterra, e poi quello tra regno musulmano e regno franco, e via procedendo, gli consente di mutare pelle come i serpenti. Alla fine, non sarà più lo stesso, e ugualmente trasformerà chi lo accompagna.

L’ultimo confine

Nel romanzo, in bilico tra sogno e realtà, passato e presente, mondo terreno e regno celeste, visioni e concretezza, si snodano i molteplici itinerari sia spirituali sia geografici di tutti i protagonisti. Essi compiono il viaggio per eccellenza: quello della vita. Viaggio che sfocia per tutti gli esseri umani in un nuovo, enigmatico percorso… e che nel romanzo si traduce nel colpo di scena finale.
***

Il blog dell’autrice è “Il Manoscritto del Cavaliere”.
Libro II – Le strade dei pellegrini. La Colomba e i Leoni, ISBN 978-88-99220-71-6
Libro I – La terra del tramonto. La Colomba e i Leoni. ISBN 978-88-96701-84-3
L’elenco completo delle librerie appartenenti al circuito di Libro.Co Italia s.r.l., che distribuisce i romanzi, è presente sul portale ibuk. I romanzi della saga sono anche disponibili su tutti i principali siti di vendita come:
– Amazon
– Internet Bookshop
– Mondadori Store
– Libreria Universitaria

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