Ho trascorso quattro giorni a Roma. Da quando ho iniziato seriamente a interessarmi di medioevo è la permanenza più prolungata nella stessa città. Eppure, mai come questa volta ho avuto la sensazione di averla appena scalfita. Un po’ come se avessi visto un breve trailer di un film estremamente interessante. Molte sono le chiese paleocristiane che ho potuto visitare. Alcune di esse hanno subito pesanti rimaneggiamenti nel tempo, che le rendono quasi irriconoscibili. Altre, invece, hanno mantenuto l’anima tardo antica, e quel sapore “romano” che le caratterizza. Ho potuto ammirare chiese come la splendida San Clemente ed i suoi sotterranei che portano il visitatore più indietro nel tempo, man mano che si scendono i livelli. Fino al più basso che corrisponde al tempio dei primi cristiani. Santa Maria in Cosmedin (all’interno del suo pronao si trova la famosa Bocca della Verità”) e i pavimenti cosmateschi fra i più belli che si possano trovare a Roma. Il monastero femminile dei Quattro Coronati, Santa Maria in Trastevere (e tutte le chiese del trasteverino, che sono una più bella dell’altra), San Bartolomeo all’Isola, anche lei con i suoi insospettabili sotterranei. Non potevano mancare Santa Maria Maggiore e Giovanni al Laterano, Madre e Capo di tutte le chiese della Città e del Mondo. San Pietro, Santa Sabina.
Eppure…ancora moltissime sono le chiese medievali che ancora restano da vedere. Ciò che ho potuto ammirare però, costituisce un bagaglio d’esperienza notevole ed è frutto di riflessioni. Notevoli i pavimenti cosmateschi. Si lasciano ammirare in tutta la loro bellezza anche se, praticamente, nessuno di essi è “originale” nel vero senso della parola. Tutti, infatti, sono stati restaurati e riposati in epoche diverse e con metodi diversi. Innumerevoli sono i mosaici. Antichissimi alcuni, come quelli che si trovano all’interno di Santa Maria databili addirittura V secolo, o quelli leggermente successivi e di un bello da lasciarci il cuore della Basilica di Santa Prassede, poco distante, fino ad arrivare a quelli del XIII secolo che si trovano sulla facciata di Santa Maria Maggiore, visibili in modo straordinario grazie ad una suggestiva visita guidata, che porta sulla loggia di facciata. Qui, ad esempio, ho potuto osservare due piccoli rosoni, che si trovano a pochissimi metri da chi li osserva e sono giunto alla conclusione che si tratti di elementi riutilizzo. Uno dei due sono quasi certo sia stato un pannello di pluteo di epoca longobarda. L’altro ha un disegno leggermente diverso, e, pur essendo, a mio avviso dello stesso periodo, si discosta leggermente dalla tipologia tipica longobarda di bassorilievo. Ho trovato pareri discordanti riguardo questa mia supposizione. Certo è che, se come credo, si tratti davvero di un elemento longobardo, resterebbe da domandarsi come abbia potuto l’arte longobarda giungere a Roma. Non solo in questo rosone, ma in tanti frammenti architettonici trovati in tante chiese, e nello splendido pluteo, quasi integro, di Santa Sabina.
I Longobardi ufficialmente non sono mai stati a Roma, e per tutta la loro esistenza erano anche mal visti dalla Chiesa, tanto che fu un Papa, Stefano III a recarsi alla corte di Pipino il Breve per supplicarlo di liberare il Patrimonio di San Pietro dall’oppressione longobarda. Ecco però, che se per la facciata di Santa Maria Maggiore ho dei dubbi, per gli altri frammenti di plutei, e per quello di Santa Sabina, ho la quasi certezza si tratti di elementi longobardi. Si tratta di influenza? Sono loro la matrice da cui è nata l’arte longobarda? Hanno un “progenitore in comune”?…ecco, il mio puntiforme sapere si ferma all’osservazione e alle supposizioni. Spero di far luce il più presto possibile su questo argomento che ha ulteriormente valorizzato la mia visitta alla Città Eterna.

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