L’opera storico-agiografica del gesuita Ottavio Gaetani (1566-1620) nel quadro storico del suo tempo

di Maria Stelladoro.

L’OPERA STORICO-AGIOGRAFICA DEL GESUITA OTTAVIO GAETANI (1566-1620) NEL QUADRO STORICO DEL SUO TEMPO[1]

A. INTRODUZIONE

In queste pagine dedicheremo un cenno alla presentazione biografica di Ottavio Gaetani, dotto Gesuita di Siracusa, al contesto storico in cui visse e operò, al complesso problema della genesi, elaborazione e stesura della sua Opera Storico-Agiografica, e in particolare a quello delle vicende che ritardarono la stampa della monumentale Opera Vitae Sanctorum Siculorum, vicende che furono tanto lente e contrastate da consentirne la pubblicazione solo nel 1657 (mentre, invece, il lungo lavoro di ricognizione delle fonti agiografiche era incominciato quasi un secolo prima), esattamente trentasette anni dopo la morte dell’A. Permettono di ricostruire le vicende, che accompagnarono l’ambizioso e assai difficoltoso progetto di raccolta dello sparso patrimonio agiografico, siciliano le Censurae Librorum e alcune lettere inedite, che abbiamo rinvenuto nell’ARCHIVUM ROMANUM SOCIETATIS IESU.

Quantunque il Gaetani sia ricordato soprattutto per avere scritto le Vitae Sanctorum Siculorum, tuttavia grande importanza ebbe anche per l’altra opera: l’Isagoge e Arnaldo Momigliano colloca il dotto Gesuita nel clima culturale dei grandi repertori del sec. XVII affiancandolo a Filippo Paruta, Georg Walter (Gualterus) e Rocco Pirri, inquadrando questa letteratura in una tendenza, che, egli ritiene, della cultura della Controriforma. Chiara era l’impronta controriformistica nell’opera del Gaetani, che non trovò molta fortuna nel Settecento anche per la sua appartenenza all’ordine religioso della Compagnia di Gesù, che, proprio in quegli anni veniva prima espulsa dalla Sicilia (1768), poi soppressa (1773) e infine richiamata (1814) in pieno clima di restaurazione (mancando, invece, all’appuntamento con la Rivoluzione Francese.

In questa cornice di non benevolenza verso i Gesuiti si inquadrano proprio le polemiche insorte sull’Isagoge e sulle altre opere pubblicate postume. L’Isagoge, oltre a fare emergere il cristianesimo sulla mitologia pagana, ebbe il pregio di presentare una storia ininterrota di uomini, annullando le barriere spazio-temporali, illustrando, assieme alle Vitae Sanctorum Siculorum, la storia del popolo di Sicilia, senza fratture, dagli anni 40 del sec. I al sec. XV d.C. Il Gaetani accolse, infatti, il ciclo di s. Pancrazio e la cronaca della venuta di Marciano in Sicilia inviatovi dagli Apostoli per iniziare la predicazione evangelica e quindi ebbe il merito di avere rivalutato le origini dell’apostolicità della Sicilia. Così, al posto dei templi incominciarono a sorgere chiese, al posto di grotte abitate da ninfe oratori, e a Taormina proprio s. Pancrazio istituì nel 40 un collegio di sacre vergini e diaconesse (fra cui: Paolina e Crise, Maria e Seia). In tal modo, ribadendo una continuità spazio-temporale, come modello da proporre nel presente, il Gaetani sottolineava, nelle sue opere, come la Sicilia del Seicento, che con i suoi granai alimentava le armate spagnole, era la stessa Isola in cui era nata Cerere e che aveva fornito alle laboriose popolazioni, che vi abitavano, i primi rudimenti dell’agricoltura; sottolineava pure come gli spazi, che nella Sicilia spagnola brulicavano di fondazioni di monasteri per le figlie della nobiltà siciliana, erano gli stessi in cui erano vissuti e avevano operato i primi martiri cristiani e dove erano state costruite chiese degne del loro martirio; sottolineava, infine, come anche le donne pie, che custodivano le reliquie dei santi martiri, ungendone e lavandone i corpi, erano prefigurazione delle monache secentesche. E’ chiaro, infine, che il Gaetani perseguiva un duplice obiettivo: dava rilievo, nelle sue opere, sia all’immagine del siciliano sia a quella del santo. Il dotto Gesuita, padre dell’agiografia siciliana e storico del cristianesimo dell’Isola, si proponeva di dare fondamento storico all’antichità del cristianesimo isolano sottolineandone precocità e vitalità nel contempo ed evidenziandone anche un forte senso di identità nazionale, regionale e municipale, anche se, a nostro avviso, la dimensione municipalistica si dilata fortemente perché la silloge, in quanto raccolta di vite di più santi, supera i confini del singolo luogo per dare lustro e decoro, attraverso i suoi santi, a tutta la Sicilia.

Quindi, il progetto del Gaetani (tipicamente umanista: risalire alle origini della Sicilia per sottolinearne la cesura operata dal messaggio evangelico) prevedeva nel suo iter storico-culturale un’unica opera monumentale, che doveva essere aperta dall’Isagoge, continuata dalle Vitae e ultimata dalle Icones, nella quale il dotto Gesuita rendeva omaggio alla pietà mariana illustrando 38 immagini venerate nell’Isola. Attraverso la riscrittura dell’agiografia isolana il Gaetani mirava alla costruzione di una forte identità nazionale rivendicando il primato del cristianesimo in Sicilia: vittorioso sul paganesimo e sulla mitologia, pur essendo intriso della barbarie di popoli stranieri, cioè dei popoli germanici, musulmani e turchi.

B. CENNI BIOGRAFICI

Discendente da Barnaba Gaetani, marchese di Sortino, e di Girolama Perno della famiglia baronale dei Floridia, Ottavio Gaetani nacque a Siracusa il 22 aprile 1566 e morì a Palermo l’8 marzo 1620. Il 20 maggio 1584 professò i suoi primi voti nella Compagnia di Gesù di Palermo (nella quale entrò il 20 maggio 1582), dove compì i suoi studi umanistici e filosofici e dove insegnò per due anni. Dopo essere stato al Collegio Romano, chiamatovi dal padre generale Claudio Acquaviva, fu ordinato prete l’11aprile 1595 e inviato a S. Andrea al Quirinale. Nel febbraio del 1597 ritornò in Sicilia prima come rettore del Collegio Massimo di Palermo e, dopo tre anni, come operarius a Siracusa; dal 1602 al 1606 fu nominato rettore del Collegio di Messina, il 23 dicembre 1606 lo fu al Collegio di Catania, nell’aprile del 1608 fu nominato nuovamente rettore del Collegio Massimo di Palermo e, dopo un ultimo soggiorno a Messina, negli anni 1612-13, ritornò di nuovo a Palermo, dove rimase fino alla morte. Negli anni 1614-1616 fu superiore della Casa Professa e nell’aprile 1616 ritornò al Collegio Massimo come rettore fino all’8 marzo 1620, giorno della sua morte, dopo lunga malattia

Gaetani avvertì le istanze del rinnovamento critico-filologico della nascente ecdotica bollandista in quanto fu attento alla verificabilità storica dei santi e del loro culto, al valore documentario dei testi che andava raccogliendo, alla loro provenienza e diffusione, alle vicende legate alla loro trasmissione, anche se radicate consuetudini umanistiche contrastavano con la sua vocazione critica e con la sua adesione alle nuove teorie bollandiste. Quindi, da un lato intervenne frequentemente sui testi (originali o tradotti) per migliorarne il dettato, per correggere indicazioni a suo avviso errate e/o inopportune, per spezzare un testo troppo lungo in numerosi e brevi racconti dedicati ciascuno a una o più figure minori affiancanti il protagonista principale, dall’altro respinse elaborazioni tardive di vite agiografiche perché di insicura origine o per il racconto eccessivamente fabuloso. Per queste ragioni è stata più volte sottolineata l’opportunità di ripubblicare in edizione critica e con criteri moderni le Vitae Sanctorum Siculorum mediante un lavoro di paziente restaurazione filologica e testuale. Si aggiunga, infine, che tutte le opere attribuite al Gaetani, ad eccezione dell’Oratione, dell’Idea Operis e del Die natalis s. Ninphae videro la luce solo dopo la morte dell’A.

C. L’OPERA STORICO-AGIOGRAFICA

Diamo qui un elenco delle opere che gli sono attribuite, distribuendole in ordine cronologico ed evidenziandonem le principali vicissitudini e problematiche:

1) Oratione funerale del P. Ottavio Gaetano rettor del Collegio di Palermo della Compagnia di Gesù nelle esequie del Cattolico Re don Filippo II nella Cattedral Chiesa per lo Senato Palermitano, Palermo 1601. Il Gaetani inseriva Filippo II di Spagna nella tradizione dei grandi prìncipi cristiani cui da sempre stava a cuore il recupero dell’agiografia di Sicilia, esaltando la pax ispanica, attraverso la quale l’Isola poteva ricostruire la propria identità nazionale e religiosa, recuperare il proprio passato attraverso i suoi santi eroi e ricercare le origini più remote, nella piena convinzione che la Sicilia spagnola potesse ricostruire le tessere del suo passato e riannodarle a quelle del presente per impostare il futuro in un modello d’insieme.

2) De die natali S. Ninphae v. et m. Panormitanae , Panormi 1610.

3) Idea Operis de Vitis Siculorum Sanctorum famave sanctitatis illustrium Deo volente bonis iuvantibus in lucem prodituri, Panormi 1617.

Nell’Idea Operis il Gaetani pubblicava, quindi, il Martirologio Siculo. L’Idea Operis, dedicata a Francisco Fernandez de Castro, viceré di Sicilia dal 1616, fu censurata nel 1611. Ne fu bloccata la pubblicazione dal padre generale Claudio Acquaviva, in seguito al giudizio negativo espresso per due volte di seguito dal p. Giovanni Camerota. Solo nel 1617 fu espresso parere favorevole dalla Censura. L’Idea Operis aveva, per il dotto Gesuita, un duplice scopo: da un lato intendeva annunziare la prossima pubblicazione delle Vitae Sanctorum Siculorum e il piano complessivo dell’opera; dall’altro sostituiva lo stesso Gaetani nel suo lavoro di ricognizione delle fonti agiografiche manoscritte e nelle sue richieste di materiali agiografici dispersi nelle varie biblioteche di Francia, Germania, Italia e Spagna prima ancora che i Bollandisti Henskens e Papebroch iniziassero i loro viaggi di ricognizione delle fonti agiografiche. L’Autore annunziava al pubblico fruitore che aveva diviso la silloge agiografica in due parti, avendo organizzato i suoi manoscritti secondo precise suddivisioni tematiche (non condivise, tuttavia, dai suoi editori) e operando quindi una netta distinzione fra vite di santi e vite di uomini morti con odore di santità. Per ciò che concerneva le biografie di uomini e donne morti con odore di santità i censori proponevano che una commissione di periti, appositamente allestita, verificasse se veramente godevano di culto i nomi raccolti dal Gesuita. Nell’Idea Operis dava inoltre notizia di avere composto un’Isagoge ad historiam sacram et profanam siculam, della quale, come vedremo in seguito, sarà pubblicata di fatto solo l’Isagoge ad historiam sacram siculam nel 1707 e cioè ottantasette anni dopo la morte del Gesuita e cinquant’ anni dopo la pubblicazione delle Vitae Sanctorum Siculorum.

4) Vitae Sanctorum Siculorum ex antiquis Graecis Latinisque Monumentis, et ut plurimum ex MSS. Codicibus nondum editis collectae aut scriptae, digeste iuxta seriem annorum Christianae Epochae, et Animadversionibus illustratae a R. P. Octavio Caietano Siracusano S. I., Panormi 1657, 2 voll. in folio. Ogni volume è, a sua volta, suddiviso in due parti: nella prima sono riportate le vite dei singoli santi con l’indicazione dei manoscritti dai quali sono mutuate; nella seconda, invece, (dal titolo Animadversiones) l’apparato critico-filologico.

Le Vitae raccolte sono disposte in ordine cronologico, come suggerito a Costantino Gaetani, fratello di Ottavio, dai cardinali Baronio e Bellarmino: la Vita più antica è quella di s. Marciano (40 d.C.), la più recente è quella della beata Eustochia Calafato di Messina (morta nel 1491). Assai variegato è il ventaglio della santità isolana presentato dal Gaetani sia dal punto di vista cronologico, sia tipologico, sia, infine, per fama di santità.

La Vita di s. Marciano pare attestare che il Gaetani abbia accettato il mito dell’apostolicità della Chiesa di Sicilia, legata alla predicazione apostolica dei ss. Pietro e Paolo, durante la breve permanenza (durata tre giorni) in Sicilia, dopo l’approdo a Siracusa. L’agiografia siciliana del Cinque-Seicento rivelava l’ossessione degli scrittori siciliani di risalire alle origini del cristianesimo e al suo impatto con il paganesimo locale proprio per legittimarne l’identità attuale continuamente minacciata da un passato (fortemente devastato da popoli demoniaci: Vandali, Goti e Saraceni) di cui si cercava di ricostruire la genealogia in funzione del presente, usando le biografie dei santi come exempla sui quali costuire il futuro. Già nell’Idea Operis il Gaetani prospettava un’interpretazione della storia della Sicilia cristiana intenzionalmente legata alla prosecuzione, in un ideale di continuità, dei tre imperi di Roma, Bisanzio e Madrid, dopo una parentesi determinata dall’occupazione islamica mentre ne sembrano dimenticate le lunghe vicende intermedie tra Arabi e Spagnoli (Normanni, Svevi, Angioini e Aragonesi).

Ecco il principale problema sollevato da quest’opera: Come mai un’operazione agiografica e culturale come le Vitae Sanctorum Siculorum iniziata verosimilmente nel sec. XVI ex. vide la luce solo tra il sec. XVII ex. e il XVIII in., nonostante la collaborazione di studiosi e confratelli nella ricerca dei manoscritti e nella traduzione, anche se vennero utilizzate traduzioni precedenti del Lippomano, del Maurolico, del Sirmond e del Rajati? Eppure, alla morte del dotto Gesuita (l’8 marzo 1620) l’opera era quasi ultimata mancandovi solo l’introduzione! Sui motivi del lungo ritardo della pubblicazione dell’Idea operis e delle Vitae possono offrire qualche elemento chiarificatorio da un lato alcuni manoscritti inediti da noi rinvenuti nell’ARCHIVIUM ROMANUM SOCIETATIS IESU e dall’altro le due prefazioni: quella all’Idea operis e quella alle Vitae Sanctorum Siculorum. Dopo la morte del Gaetani le Vitae passarono ancora attraverso varie vicissitudini e furono ulteriormente rimaneggiate a diverse riprese fino a quando un altro confratello, Pietro Salerno, non le corredò di prefazione e le diede al tipografo, che conservò il manoscritto per altri sette anni ancora pubblicandolo solo nel 1657 nella tipografia Cirillo di Palermo in due volumi in-folio.

5) Icones aliquot et origines illustrium aedium Sanctissimae Deiparae Mariae quae in Sicilia insula coluntur, Panormi 1657 (opera pubblicata nel 1657 assieme alle Vitae e poi ripubblicata separatamente nel 1663). Dapprima l’opera fu censurata, in quanto il testo raccoglieva miracoli di cui nessuno era a conoscenza a Roma e che pertanto non erano stati sottoposti ad un’apposita verifica istituzionale; fra gli altri punti controversi la censura segnalava anche due punti fondamentali: quello di avere parlato della Madonna di Siracusa, come della più antica icona fra quelle venerate nel Regno di Sicilia e quello di non usare per Ruggero il Normanno l’appellativo di principe cristianissimo. Sono raccolte nell’opera 38 immagini mariane venerate in Sicilia e in un primo momento pubblicate in latino assieme alle Vitae Sanctorum Siculorum e poi ripubblicate in italiano nel 1663 con l’aggiunta di alcune meditazioni mariane ad opera del Gesuita Agostino Confalonieri di Milano. Il dotto Gesuita raccoglieva nell’ed. del 1663 le immagini, disponendole in ordine cronologico a partire dall’epoca Normanna alle più recenti, così raggruppate: 20 avevano visto la luce tra l’XI e il XIV secolo e 18 nel XVI secolo. La più antica era, come abbiamo già ricordato, quella della Madonna di Siracusa, e la più recente quella di s. Maria delle Grazie di Modica del 1615. Nell’avvertenza al Pio Lettore il curatore ricordava che il Gaetani aveva fatto incidere a Roma le immagini mariane venerate in Sicilia e che i prototipi erano rimasti all’incisore a causa della morte dell’A. per cui la prima edizione dell’opera (1657, pubblicata contestualmente alle Vitae Sanctorum Siculorum), raccoglieva solo la descrizione, fatta dal Gesuita, e non le immagini; in seguito il curatore si era recato a Roma per recuperare le incisioni, custodite dall’incisore per circa quarant’anni e, dopo averle confrontate con gli originali presenti in Sicilia, le aveva incluse nella seconda edizione (pubblicata separatamente nel 1663). Ma, anche in questo caso, i confratelli erano intervenuti sulle fonti iconografiche individuate dal Gaetani, come attesta un puntuale confronto tra le immagini mariane registrate dal Gaetani nell’Idea Operis e quelle successivamente editate.

6) Ragguagli delli Ritratti della Santissima Vergine Nostra Signora più celebri che si riveriscono in varie chiese dell’Isola di Sicilia. Aggiuntavi una breve relazione dell’origine e miracoli di quelli, Palermo 1663.

7) Isagoge ad historiam sacram siculam,Panormi 1707.

L’opera fu dapprima censurata dall’allora generale della Compagnia di Gesù Vincenzo Carafa. Ottavio Gaetani aveva promesso anche l’Isagoge ad historiam profanam della quale, tuttavia, pubblicò solo l’indice nell’Idea Operis. Inoltre, l’Isagoge ad historiam sacram fu ristampata dal Grävius nel Thesaurus Antiquitatum et Historiarum Italiae. In un primo momento l’opera era stata pubblicata autonomamente a Palermo nel 1707 e curata dal Gesuita André Massa, l’anno successivo fu segnalata nel Journal des savants e due anni dopo, negli Acta eruditorum. Nell’Isagoge il dotto Gesuita evidenziava lo splendore del naturale paesaggio siciliano e ricostruiva il passato mitico e storico dell’Isola: scossa da un intenso terremoto alla morte di Cristo, la Sicilia, teatro di divinità pagane e terra di arcani sortilegi, era rappresentata dal Gaetani contemporaneamente come magica, fabulosa e diabolica attraverso 23 isagogi sacre e 5 profane. Aspre polemiche insorsero dopo la pubblicazione dell’opera, nella quale presero corpo perplessità e dubbi sul lavoro del dotto Gesuita e già nel 1712 vide la luce a Messina un’opera di pubblica accusa dell’Isagoge da parte di un autore, che si nascondeva dietro lo pseudonimo di Partenio Grafiofilo, poi identificato con il confratello Girolamo Ragusa. Le accuse rivolte al Gaetani poggiavano sull’autenticità del culto messinese della Madonna della Lettera (entrando pienamente nell’aspro campanilismo tra Messina e Palermo), che, secondo una tradizione popolare del XVI secolo, la Vergine stessa avrebbe scritta personalmente e consegnata all’apostolo Paolo, perché se ne facesse latore agli abitanti di Messina. Veniva così sollevato il delicato problema della datazione dell’identità sacrale della Sicilia, in un momento assai cruciale, quello in cui l’Isola passava dalla dominazione spagnola a quella piemontese e infine a quella austriaca. Certamente l’appartenenza del Gaetani (e del Ragusa) alla Compagnia di Gesù strideva fortemente con l’atmosfera antigesuitica di un momento storico, che avrebbe portato all’inevitabile conseguenza della soppressione dell’Ordine.

Assai precoce era stata, per Ottavio Gaetani, l’origine dell’istituzione di luoghi solitari e monastici nell’Isola, rivalutando la priorità del monachesimo in Sicilia. Ma, nel 1741 il padre Agostiniano Bonaventura Attardi rimproverava al dotto Gesuita tale primaria datazione del monachesimo isolano e ciò a causa della scarsa preparazione filologica, che l’Agostiniano contestava al Gaetani il quale avrebbe reso istituzionale ciò che sarebbe stata, invece, una semplice scelta di vita.

Merito dell’Isagoge, i cui risultati più concreti si colgono nel campo dell’epigrafia, è senza dubbio quello di avere parlato di sovrapposizioni di culti pagani a quelli cristiani evidenziando la prevalenza di questi ultimi sui primi e quindi il pieno trionfo del cristianesimo.

D. CONCLUSIONI

Sono ormai trascorsi oltre tre secoli da quando nel 1657 furono date alla luce, eppure le Vitae Sanctorum Siculorum fanno ancora discutere per le lunghe, varie, intricate e non del tutto precipue vicissitudini legate alla loro progettazione, (collocabile intorno al sec. XVI ex.) elaborazione, stesura e pubblicazione nonostante l’assidua collaborazione di studiosi e confratelli nella ricerca e nella traduzione dei manoscritti e nonostante venissero utilizzate precedenti traduzioni ad es. del Lippomano, del Maurolico, del Sirmond e del Rajati. I principali problemi connessi con la pubblicazione postuma dell’opera sono individuabili nel complesso rapporto raccolta/fonti e nello sforzo di disseppellire dall’oblìo la civiltà cristiana dell’Isola e pubblicarla secondo coordinate già tracciate dal Concilio Tridentino, che, però, contrastavano inevitabilmente con tradizioni locali assai radicate, con le conseguenti modificazioni nella relazione società civile-vita relgiosa e con il contesto storico, sociale e culturale dell’epoca (caratterizzata soprattutto dal campanilismo fra le maggiori città di Sicilia, dal problema della Legazia Apostolica, dai problemi connessi con il Tribunale dell’Inquisizione, dalla nuova compagine venutasi a creare con e per la pax hispanica, dai problemi di ecdotica e da quelli legati al reperimento e uso delle fonti, di cui diremo). In quel particolare periodo (Cinque-Seicento) di storia religiosa della Sicilia, in cui da un lato si assisteva alle conseguenze, in ambito provinciale, di un complesso rapporto fra S. Sede e Corona di Spagna, dall’altro alla penetrazione dei Gesuiti (a far data dal 1546) in tutte le ramificazione della società locale e infine al recupero di una tradizione filologicamente corretta da parte delle forze politiche e intellettuali locali, Ottavio Gaetani non si prefisse solo finalità meramente edificanti e/o devozionali ma applicò anche il metodo critico alle fonti, riverificò tutto quanto era attinente al culto dei santi siciliani e tracciò la genealogia del cristianesimo in Sicilia. La sua opera è, infatti, considerata la prima sistematica raccolta agiografica siciliana di età moderna doppiamente innovativa sia perché venivano date per la prima volta alla luce Vitae di santi inedite, sia perché a quelle conosciute se ne aggiungevano altre di nuove.

Le Vitae Sanctorum Siculorum furono pubblicate, a cura del confratello Pietro Salerno ed ebbero a modello: Baronio, Bellarmino, Bollando, Rosweide e Surio, com’è affermato nella prefazione alle Vitae Sanctorum Siculorum, malgrado contrastassero con la moderna ecdotica e il sobrio rigore filologico bollandista radicate consuetudini umanistiche. C’è chi crede, invece, che il Gaetani abbia accettato le fonti reperite senza sottoporle ad una verifica storico-filologica, pubblicato in traduzione latina le fonti in greco recependo passivamente le traduzioni dei confratelli precedentemente incaricati e raccolto testimonianze tarde per la perdita delle fonti originali dovute alla dispersione di buona parte del patrimonio archivistico siciliano in seguito a calamità naturali (incendi, inondazioni e terremoti), dominazioni e invasioni nell’Isola; ma c’è chi crede pure che abbia voluto eludere le fonti della Sicilia bizantina perché saccheggi e invasioni in realtà rappresenterebbero solo dei pretesti. Il progetto bollandiano, all’interno del quale si inserisce quello del Gaetani, era espressione di una cultura religiosa e l’accertamento della storicità del santo era una condizione fondamentale per accettarne anche il culto e che l’opera dei Bollandisti non è mai stata solo un’opera di erudizione storica ma anche di edificazione. Nel suo lungo e faticoso lavoro il Gaetani attinse al De rebus Siculis del Fazello per ciò che concerne notizie di ordine topografico, storico e antiquario, come si desume dalle Animadversiones poste in calce alle singole Vitae agiografiche in cui ricorre sovente il nome del Fazello anche se non è la sola opera che fa da sfondo alla monumentale raccolta del Gesuita. Eppure, molti sono i contrasti tra il De rebus Siculis e le Vitae Sanctorum Siculorum come ad es. la dignità di documento che il Gaetani conferiva ai testi agiografici cui invece il Fazello aveva dato scarsa importanza storica e ancora l’infittirsi di scritti agiografici sui primi secoli del cristianesimo in Sicilia e il vuoto presente, invece, nell’opera del Fazello.


[1] Cfr. M. STELLADORO, Contributo allo studio delle Vitae Sanctorum Siculorum di Ottavio Gaetani: inventario delle carte preparatorie, in G. LUONGO (a cura di), Erudizione e devozione, Roma, Viella 2004, pp. 221-312; EAD., Le “Vitae Sanctorum Siculorum” di Ottavio Gaetani: i manoscritti conservati a Palermo e a Roma, Roma 2006 [Supplemento a Studi sull’Oriente Cristiano 10/1].

Maria Stelladoro

Maria Stelladoro è docente ordinario di lettere classiche e specialista in paleografia e codicologia greca presso la Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatistica e Archivistica. Ha pure conseguito un perfezionamento in Studi Patristici e Tardo Antichi presso l’Istituto Patristico Augustiniano della Pontificia Università Lateranense e due perfezionamenti in Paleografia e Codicologia Greca e titolo equipollente al dottorato di ricerca.

Ha pubblicato saggi di agiografica siciliana greco-latina e di paleografia greco-latina su riviste specializzate (Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata, Analecta Bollandiana di Bruxelles, Codices Manuscripti di Vienna, Hagiographica del SISMEL, Studi sull’Oriente Cristiano) e ha partecipato a Convegni Internazionali i cui Atti sono stati pubblicati in Studia Ephemeridis Augustinianum di Roma) e a progetti di ricerche pubblicate in Raccolta di Studi Internazionali su Pecia Resourcess en Médiévistiques a Saint-Denis.

Socio ordinario dell’Associazione Italiana per lo Studio dei Santi, dei Culti e dell’Agiografia promossa dal Dipartimento di Studi Storici, Geografici e Antropologici della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma Tre.

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