Madonna Bambina

Quelli che potrebbero essere stati i veri volti di Maria, Madre di Gesù, da bambina, a 5 e 10 anni. Ricostruzione artistica sviluppata e prodotta da Átila Soares in base all’esperimento di R.Downing sul “Cristo nella Sindone” (Immagini: Átila Soares).

Culto medievale trova a Milano il suo epicentro

di Átila Soares da Costa Filho / tradotto da Valéria Vicentini

Se è già molto difficile accedere alle vaghe informazioni storiche sulla persona di Gesù Cristo, lo è ancora di più nel caso di Sua Madre… e più ancora da bambina. Un compito talmente arduo che neppure la devozione alla Madonna Bambina raggiunge, in scala mondiale, lo stesso status che siamo abituati a vedere in centinaia di altre manifestazioni.
Poiché gli scritti apocrifi sono stati scartati come fonti storicamente affidabili (il Proto-Vangelo di Giacomo è un buon esempio), non ci resta che inquadrare il periodo dell’infanzia di Maria in ciò che conosciamo sul modo di vita di una ragazzina palestinese intorno al primo secolo a.C. E, molto probabilmente, la realtà della piccola “Miriam” non sarà stata diversa da tale scenario.
Comunque sia, l’immagine della “Bambina” nelle diverse manifestazioni cattoliche ha assunto forme particolari e nel nord d’Italia troviamo la sua espressione più emblematica.
Molto popolare tra le giovani coppie italiane per ricevere protezione in procinto di avere figli è la peculiare effigie in cera di “Maria Bambina” in fasce che si trova a Milano dalle Suore di Carità. Il simulacro fu modellato da una suora francescana di Todi, suor Isabella Chiara Fornari. Nel 1876, dopo varie peripezie, fu riportato alla sua destinazione attuale, nella chiesa in Via Santa Sofia, e da allora Maria Bambina è venerata pubblicamente sin dal giorno della Sua festa, l’8 settembre, data determinata da una rivelazione di San Maurilio ad Angers nell’anno 430. Oggi le suore sono note come le “Suore di Maria Bambina” e ogni anno, in occasione della Festività della Nascita di Maria, l’effigie santa viene toccata con dei pezzi di cotone che saranno poi distribuiti ai devoti.
Un fatto curioso è che Milano accolse la “Bambina” come patrona della città, il cui culto sembra essere iniziato nel X secolo – a sua volta “preso in prestito” dalla Chiesa greca orientale. Lo stesso Duomo di Milano è noto anche come “Basilica Cattedrale Metropolitana di Santa Maria Nascente” – la più grande chiesa italiana e la quarta più grande d’Europa.
Nel pieno della seconda guerra mondiale e per timore delle bombe, così come fece Maria con il Suo bambino, Milano decide di proteggere la sua “Bambina” trasferendola a Lecco, precisamente nel quartiere di Maggianico, nel febbraio del 1943. La permanenza provvisoria del simulacro a Lecco durerà poco più di due anni. Il 4 settembre 1945, ritornerà a Milano, in attesa della ricostruzione della sua antica Casa, distrutta tra le macerie dopo un brutale bombardamento.
Sebbene legata a questioni simboliche e alla soggettività di molti ordini, la figura di Maria Bambina si discosta molto da quella che, in una prospettiva storica, sarebbe stata inserita nella problematica e torrida Nazareth di duemila anni fa. Ma ciò non impedì, inoltre, a diversi artisti tardo-medievali, rinascimentali e barocchi di rappresentarla come espressione religioso-mistica: Giotto, Pietro Lorenzetti, Vittore Carpaccio, Maestro dell’Osservanza, Giuseppe Prepositi, Francesco Mancini, Francisco de Zurbarán e Bartolomé S. Murillo, per citarne alcuni. Ma… veniamo ai fatti:

Nazareth, al tempo dell’infanzia della Madre del Messia, era una città di minore importanza, notevolmente ridotta di dimensioni, confusa, caotica ed eretta su una collina nella Bassa Galilea – caratteristiche che aumentavano ancora di più la sua precaria situazione urbana. A giudicare dai racconti biblici, i nazareni erano visti dagli ebrei come persone inferiori, meticce, non raffinate e impure per il Giudaismo. I suoi abitanti (25 famiglie o circa 480 persone) erano persone molto semplici, con uno stile di vita ancora ereditato dall’Età del Ferro. Sotto un sole spietato, gli abitanti del villaggio si dedicavano al duro lavoro nei campi, all’agricoltura e all’allevamento del bestiame, soprattutto capre e galline. Non erano soliti rimanere lungo tempo in casa, che di solito era molto piccola, poco ventilata (più fresca di notte) e scomoda. Le case erano per la maggior parte composte da soggiorno, camera da letto e cucina nello stesso e unico vano dove la parte “centrale” (come lo è oggi la TV) era il focolare. C’erano anche adiacenze per gli animali e gli strumenti di lavoro. Tali abitazioni venivano spesso scavate nella roccia sulla collina.
In tale contesto, è molto probabile che i primi anni di vita di Maria siano stati vissuti all’aperto accompagnati da giochi d’infanzia, che venivano praticati anche in compagnia dei genitori durante le attività lavorative nei campi o – meno spesso – nelle attività domestiche. Nei loro momenti di divertimento, non saranno mancate le partite e i giochi di gruppo, poiché era comune che si svolgessero in collettività.  Tra i giochi di strada o cortile, ce n’era uno in particolare in cui si cercava di riprodurre passaggi cerimoniali degli adulti – come riportato in Matteo 11:16-17 e Luca 7:32 – quando fanno riferimento ai bambini che suonano strumenti e ballano, come facevano i grandi. Mentre tra i giochi tradizionali c’era l’universale nascondino – che poteva comprendere il tocco sulla testa o l’uso di canzoni e intonazione di rime per la definizione del prossimo cercatore – e tra quelli femminili, il gioco della “hajla”, che consisteva nel disegnare sul terreno o sul pavimento una colonna composta da un certo numero di caselle nella cui direzione una delle bambine doveva dare un calcio a una pietra. A seconda della casella su cui si fermava la pietra, si otteneva un punteggio – ovviamente, quanto più lontana la casella più punti si avevano. Se la pietra si fosse fermata fuori dalla casella o dal quadrato, la lanciatrice sarebbe stata eliminata.
Per quanto riguarda l’aspetto fisico di Maria negli anni della sua infanzia, non è difficile supporre che avesse un corpo compatibile con l’energia richiesta dalle vivaci attività di una bambina pre-TV, videogiochi e internet, sostenuto da una sana ed equilibrata alimentazione. Le proteine provenivano da latte di capra, formaggio, cagliata, pollo, uova, agnello e pesce essiccato del lago Genesaré. Come frutta e ortaggi, il menu comprendeva olive, olio d’oliva, semi, cereali, cipolle, lenticchie, miele, melone, melograno, datteri e fichi. Basta pensare alle “arrampicate” della ragazza sulla topografia irregolare e sconnessa nei dintorni di casa…che le dovevano servire da costante allenamento per tutta la struttura fisica. In questi termini, si potrebbe anche dire che Maria avrà avuto una costituzione fisica simile a quella di una giovane sportiva. E il fatto di essere riuscita a sopportare, senza grossi problemi, la lunga ed estenuante fuga in Egitto in fase successiva può essere un indizio della sua preparazione corporea. Sulla fisionomia della giovane Maria, c’è un curioso racconto, pervenutoci per mano di un cronista (Egesippo, I-II d.C.), che ci porta un prezioso riferimento: “In questa città (Nazareth), le donne ebree sono così graziose che non si vedono più belle nella regione. E dicono che questo sia un dono della Vergine Miriam, di cui sono fiere di essere parenti”.


Maria Bambina secondo l’Intelligenza Artificiale

Seguendo questi passi, in questa impegnativa e stimolante ricerca su una probabile immagine infantile della Madre del Redentore, e dopo aver ricostruito i volti di Maria da adolescente e adulta, vi presento ora i volti di Maria da bambina, all’età di 5 e 10 anni. L’esperimento si è basato soprattutto sulla ricostruzione dei volti che ho presentato in precedenza, affidandomi sempre alla Sacra Sindone e allo studio del designer Ray Downing, e dopo un’analisi antropologica della realtà storica di quel periodo.
Per la ricostruzione di questo nuovi due volti, da bambina, ci sono voluti 4 mesi: partendo dai volti di Maria da adulta e adolescente, ho condotto diversi esperimenti con software di intelligenza artificiale e alta tecnologia di reti neurali convoluzionali per la regressione dell’età. Inoltre, ho utilizzato un programma di edizione di immagini e un altro per la definizione della forma del viso e, infine, alcuni ritocchi artistici manuali da parte mia per ottenere una fisionomia antropologicamente verosimile a una bambina palestinese di 2000 anni fa, in due momenti della sua infanzia. Da sottolineare che questo progetto ha il sigillo di Barrie Schwortz, il più grande sindonologo di fama mondiale, ricercatore, docente e fotografo ufficiale dello storico progetto STURP.
Ma come si arriva alla fisionomia della Madre solo dai tratti del Figlio?  La dottrina di fede della Chiesa cattolica professa che Gesù Cristo fu concepito di Spirito Santo e nacque da Maria Vergine. Per cui Maria concepì Gesù in maniera soprannaturale per opera dello Spirito Santo, senza unione carnale con un uomo, in una concezione completamente immacolata. Secondo le Scritture, Giuseppe, essendo il padre adottivo di Gesù, non ebbe alcuna partecipazione biologica alla formazione carnale del Messia. Quindi, solo a Maria, Sua madre, spetterebbe questa attribuzione riguardo alla natura umana di Cristo.
Naturalmente avremo sempre discussioni al riguardo, ma è abbastanza ragionevole supporre che il materiale biologico che avrebbe definito l’aspetto di Gesù, trovando il Suo patrimonio genetico solo in Maria (perché è umana e non immateriale), avrebbe definito l’aspetto di Quello – il ‘frutto del seno’ – molto simile a Questa, la Sua unica genitrice carnale.
Se si crede che la Sindone abbia davvero avvolto il corpo del Messia, allora, secondo la fredda comprensione dell’intelligenza artificiale, i volti di Sua madre sarebbero stati questi, in due fasi dell’infanzia. Il risultato ottenuto è anche frutto delle basi teoriche che ho acquisito con i miei studi sull’antropologia, nonché del punto di vista del Catechismo della Chiesa, dei dibattiti nei concili, del pensiero greco sull’Estetica e della filosofia medievale sulla Bellezza.
La mia ricerca non ha solo lo scopo di presentare Maria come sarebbe stata in base al ‘modello fisiognomico della gente comune’ della Giudea o della Palestina di due millenni fa. Vuole puntare a qualcosa di speciale, esclusivo: presentare non una comune donna di Nazareth, ma la donna scelta fra tutte le donne per dare alla luce il Figlio di Dio. Solo Lei avrebbe avuto questi volti. Nessun’altra.
Ci sorprende l’aspetto vispo e vivace della bambina intorno ai 10 anni. Il che è naturale e sano a quella età. E per la bambina più piccola, sui 5 anni, si rimane colpiti dall’incantevole dolcezza del suo sguardo. Che si tratti dell’una o dell’altra, esplorare queste nuove possibilità per quanto riguarda l’aspetto fisico che avrebbe avuto Maria è sempre molto stimolante e gioioso.
In ultima analisi, concludo che dal volto tormentato e sfigurato di Gesù nella Sindone emerge il volto angelico di Sua Madre. Una Maria che ci vuole ricordare che da dure prove nasce il rinnovamento.
Átila Soares da Costa Filho è brasiliano, ricercatore, scrittore e valutatore di opere d’arte. Ha una laurea in Disegno Industriale conseguita presso la Pontifícia Universidade Católica di Rio de Janeiro e titoli di specializzazione post laurea in Storia, Filosofia, Chiesa Medievale, Storia dell’Arte, Antropologia, Sociologia, Archeologia e Beni Culturali. È, inoltre, collaboratore nella rivista Humanitas (Ed.Escala, São Paulo) e nei siti web Italia Medievale (Milano) e Nova Acrópole (Lisbona). Fa parte del comitato scientifico della Mona Lisa Foundation (Zurigo) e del progetto L’Invisibile nell’Arte (Roma). È autore di quattro libri: “La Giovane Monna Lisa” (2013); “Leonardo da Vinci’s Earlier Mona Lisa” (co-autore, 2016) – a cura dello storico dell’arte, Stanley Feldman; “Leonardo e la Sindone e altre domande curiose sull’Arte e la Storia” (2016); e “Leonardo Da Vinci’s Mona Lisa: New Perspectives” (co-autore, 2019) – a cura del Prof. Jean-Pierre Isbouts. Per visitare il suo sito clicca qui !

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