I mercanti bizantini scomparsi

mercanti_bizantiniDopo “La cucina medievale: umori, spezie e miscugli” di Laura Malinverni, uscito a marzo 2016, Italia Medievale ha appena pubblicato “I mercanti bizantini scomparsi” di Maria Luisa Ghianda, seconda classificata con il racconto “La vidua velata” alla decima edizione 2015 di Philobiblon, Premio Letterario Italia Medievale per racconti, brevi e inediti liberamente ispirati al Medioevo.

Questo articolo (scritto dall’autrice) non è una recensione, ma un’integrazione vera e propria del volume molto utile per chi voglia avventurarsi nella sua lettura con tutte le informazioni possibili per poterlo apprezzare in ogni suo aspetto, storico e narrativo.

I mercanti bizantini scomparsi” è un’opera di fantasia che scaturisce unicamente dall’immaginazione dell’autrice, sebbene si riconnetta a fatti storicamente accaduti.

La vicenda narrata si svolge nell’arco temporale di ventuno giorni, dall’ 11 al 31 agosto del 1165, a cavallo della fiera di san Bartolomeo[1], evento commerciale di origine altomedievale.

Il contesto storico

Gli eventi con cui i personaggi hanno indirettamente a che fare sono l’assedio di Benevento da parte Guglielmo d’Hauteville[2], lo scisma papale, la cattività francese di papa Alessandro III e la rivalità tra Benevento e Capua, che l’autrice ha posdatato per esigenze narrative.

L’ostilità dei beneventani contro i Normanni, alla quale si fa continuamente riferimento, è ampiamente riportata da un autore medievale locale, Falcone Beneventano[3] che, nel suo “Chronicon”, ha narrato le vicende della città dall’anno 1102 al 1144. Nella finzione narrativa, all’astio dei beneventani contro i Normanni ho liberamente unito il loro rifiuto ad utilizzarne la lingua, preferendole l’idioma longobardo. L’idea mi è stata suggerita dalla constatazione che nel dialetto locale sono ancora oggi in uso numerosi lemmi d’origine longobarda, in ragione del fatto che nel ducato di Benevento la loro dominazione si è protratta per circa cinquecento anni[4], perdurandovi molto più a lungo che altrove in Italia. Anche lo Ius Langobardorum restò in vigore in città ben oltre la data del 1165, presa a prestito per la vicenda narrata, e vi aveva la precedenza sul diritto romano. Il codice delle Leggi longobarde risultava ancora praticato nel 1202, come si evince dagli Statuti cittadini[5] di quell’anno.

Fin dal tempo del principe longobardo Arechi II[6], la città di Benevento fu un importante crocevia di scambi commerciali, soprattutto con Costantinopoli. A questa sua vocazione si ispirano le vicende del romanzo e la partecipazione di mercanti bizantini alla più importante delle sue fiere.

Fra le tradizione longobarde[7] descritte e, se pure in modo immaginifico, fatte perdurare al di là del loro tempo storico e calate nella Benevento del XII secolo, ho annoverato la cavalcata di san Bartolomeo, che, attestata ancora nel XVII secolo, è molto più antica e doveva riconnettersi all’uso longobardico di festeggiare gli eventi importanti con una cavalcata.

Nel corso dei secoli, molti dei documenti medievali beneventani sono andati perduti e, laddove le testimonianze erano inesistenti o incerte, l’autrice si è fatta guidare dall’immaginazione. La cosa più affascinante per chi scrive romanzi storici sono proprio le lacune dei documenti, perché lasciano libero spazio alla fantasia. In fondo questo è soltanto un racconto immaginario, non un capitolo di storia e sono io l’unica responsabile di qualunque errore, grave o piccolo, commesso nel tentativo di ricreare fedelmente il tempo e i luoghi che gli fanno da sfondo.

I personaggi

Alcuni dei personaggi del romanzo hanno evidenza storica, altri sono inventati, come il protagonista Pietro, ma la nobile famiglia comitale dei Roffredo, cui lo faccio appartenere, è documentata in Benevento fin dal IX secolo[8]. Anche la famiglia Maccabeo di Montescaglioso è attestata dai documenti ed era realmente imparentata con il re normanno Ruggero II d’Hauteville, del quale Raidulfo Maccabeo aveva sposato la sorella Emma. Nella vicenda narrata non ho attribuito alcun nome proprio al barone Maccabeo del 1165, preferendo indicarlo solo con quello del casato[9].

Raone di Ceppaloni è un personaggio realmente esistito, come narra Falcone Beneventano, e morì nel 1127. Per esigenze narrative, l’ho fatto nascere ventisette anni prima.

La figura di Alberto Obertenghi è fittizia, ma la potente famiglia da cui lo faccio discendere è attestata al tempo di Ottone I e governava su Luni e sulla Liguria.

L’arcivescovo Arrigo[10] è un personaggio storico, così come lo sono l’arcidiacono Rainulfo, il decano Aliberto[11], la badessa Bethlem[12], lo scultore Oderisio da Benevento,[13] i papi[14], i re, gli imperatori (e l’imperatrice) citati nel romanzo.

Nel 1166, l’arcivescovo Arrigo fu inviato come legato papale a Costantinopoli e in quell’occasione lasciò il governo della Chiesa beneventana all’arcidiacono Rainulfo[15]. In quegli anni contrassegnati dallo scisma fra pa­pato e impero, la fedeltà di Benevento e del suo arcivescovo al papa legittimo è comprovata dal fatto che lo stesso pontefice Alessandro III, per sfuggire al Barbarossa che si era impossessato di Roma, scelse Benevento come proprio rifugio. Vi arrivò il 29 luglio 1167 coi pochi cardinali a lui fedeli e vi rimase tre anni. In tre punti del romanzo menziono la Bolla Magnus Ordo in Ecclesia, da lui emanata nel 1163, in cui si vietavano al clero e ai monaci l’esercizio e lo studio del Diritto e della Medicina.

L’abate Giovanni III, detto il Grammatico, fu eletto nel 1120 e resse il cenobio di santa Sofia fino al 1128. Qui, gli ho prolungato il mandato e la vita, facendo coincidere la sua figura con quella dei suoi due successori: Franco[16] e l’omonimo Giovanni IV[17]. In questo lasso di tempo fu costruito il chiostro della chiesa di santa Sofia, capolavoro dell’arte romanica meridionale.

Iderno da Montefusco è realmente esistito, ma morì nel 1137, cadendo in battaglia nella guerra tra Ruggiero II d’Hauteville e il potente conte di Alife, Rainulfo[18]; io ne ho preso a prestito solo il nome, interpretandone la biografia e adattandola alle esigenze del racconto.

Il capo dei mercanti amalfitani, Rufulo Tafuri, è un personaggio inventato, ma il cognome Tafuri è attestato in Benevento nel XII secolo.

Per quanto concerne la consuetudine di uccidere i neonati indesiderati, assai diffusa nel Medioevo, mi sono ispirata al testamento dall’arciprete milanese Dateo che fondò a Milano, il 22 febbraio 787, il primo brefotrofio conosciuto in Occidente[19].

Il principe Yi Jing Song è, invece, un personaggio immaginario. E’ del tutto improbabile che un cinese possa aver raggiunto Benevento nel XII secolo. Tuttavia, l’idea mi è stata suggerita da recenti studi che tendono a dimostrare come viaggiatori cinesi transitassero nel mondo occidentale ben da prima che Marco Polo compisse la sua spedizione nei territori del Gran Kan. E’ frutto di pura congettura l’aver attribuito ad Yi Jing Song l’idea di copiare l’urbanistica di una città medievale europea, suggerendone l’uso all’imperatore Xiao Zong. E’, però, storicamente documentato che proprio durante la dinastia Song[20], in Cina, si sia formata la disposizione dei negozi collocati lungo le strade e la destinazione delle strade a singole categorie di attività, prima del tutto sconosciuta e diffusa, invece, in Europa. La città di Hangzhou, da cui proviene il mio personaggio, fu una delle sette antiche capitali della Cina.

Molti dei nomi propri che ho impiegato nel romanzo ricalcano l’uso beneventano del tempo e sono tratti dalla cronaca di Falcone e da un documento beneventano coevo[21].

I luoghi

I luoghi descritti sono quelli della Benevento medievale, sui quali ho avuto la fortuna di condurre alcuni studi in anni recenti.

L’esatta ubicazione del Sacrum Palatium beneventano, sede del potere dei duchi e dei principi longobardi, è ancora al vaglio degli archeologi e degli storici. Contrariamente all’opinione diffusa fra gli studiosi locali, che lo vorrebbe sito in Piazza Piano di Corte, le ricerche da me condotte, avvalendomi dei documenti medievali e delle ipotesi avanzate dalla Soprintendenza Archeologica, lo situano, invece, nell’area attualmente occupata dal palazzo della Prefettura, lì dove lo colloco nel romanzo. Il Sacrum Palatium[22] beneventano avrebbe avuto ragione[23] di sorgere prossimo alla cappella palatina del ss. Salvatore, nella parte più alta e antica della città, una zona fortificata di origine remota, il cui destino difensivo perdurò inalterato per secoli. Lì nei pressi sono state rinvenute tracce archeologiche dell’arce sannita[24] – di cui parlo nel romanzo – poi sostituita dai baluardi romani e in seguito dalle fortificazioni longobarde, con le torri menzionate dal cronista medievale Falcone[25]. Fittizio è invece il camminamento sannita, attestato altrove nel Sannio, ma non a Benevento.

Nel Sacro Palazzo si svolgono molte delle vicende narrate, così come nella cattedrale e nel perduto monastero di santa Maria di porta Somma[26].

Nel Medioevo, il ghetto ebraico di Benevento (il serralium) sorgeva fra le attuali piazza Piano di Corte (l’antico planum curiae della città romana) e la Porta Somma. Presso il Museo del Sannio si conserva una lapide ebraica, datata 1153, che attesta la presenza in città di una fervida comunità israelitica. Questa lapide, unitamente ad altre suggestioni, ha stimolato la mia fantasia.

Nel XII secolo, Benevento contava anche una ricca comunità di mercanti amalfitani, citata nel Chronicon di Falcone. Le loro botteghe si concentravano nella parte bassa della città, verso sud-ovest. Dal medesimo autore[27], ho anche preso spunto per narrare dei paramenti di teli preziosi allestiti dagli amalfitani durante la solenne processione descritta nel romanzo.

I Longobardi, durante i cinquecento anni del loro dominio, circondarono Benevento, capitale della Langobardia Minor, di castelli e villaggi fortificati, come Ceppaloni, Chianche, Torrioni, Tufo e Montefusco, con i loro manieri che si ergono ancora oggi a sfidare il tempo. In tre di questi castelli sono ambientati alcuni degli episodi narrati (Ceppaloni, Tufo e Montefusco), così come in tre dei dieci[28] casali in cui la città era divisa e che le risultavano ancora annessi nel XIII secolo[29].

Alcuni avvenimenti della vicenda narrata si svolgono nella valle del fiume Sabato, zona dove la leggenda situa l’albero magico sacro alle ianare, ovvero alle streghe (cfr. glossario). La riva meridionale di questo fiume ha conservato per lungo tempo il nome di Ripa delle Ianare. Secondo la leggenda, diffusasi a partire dal XVII secolo, nei pressi dello Stretto di Barba, sarebbe sorto il “noce di Benevento”, un albero magico, attorno al quale i Longobardi avrebbero compiuto riti satanici prima della loro conversione al Cristianesimo. Tuttavia, si tratta di una leggenda tarda, non documentata prima del Seicento. Colui che la tratteggiò per primo fu lo storico beneventano Pietro Piperno[30].

La lapide romana inscritta nella pietra miliare cui faccio cenno, collocandola al Decimo Miglio della Via Traiana[31], è oggi conservata nel Lapidarium del teatro romano di Benevento.

Questo il suo testo completo:

  1. M. IMP(ERATOR) CAESAR / DIVI NERVAE F(ILIUS) / NERVA TRAIANUS / AUG(USTUS) GERM(ANICUS) DACIC(US) / PONT(IFEX) MAX(IMUS), TR(IBUNICIA) POT(ESTATE) / XIII, IMP(ERATOR) VI, CO(N)S(UL) V / P(ATER) P(ATRIAE) / VIAM A BENEVENTO / BRUNDISIUM PECUN(IA) /SUA FECIT.[32]

Il motivo iconografico riprodotto nel ricamo dell’altare di san Bartolomeo è realmente ispirato al portale marmoreo del grande scultore Oderisio da Benevento, del quale oggi sopravvive solamente un lacerto, conservato al Museo del Sannio, da cui ho tratto ispirazione[33].

Il porto fluviale di Cellarulo sorgeva, in realtà, lungo la riva del Calore, là dove il fiume formava un’ansa; l’averlo collocato sul Sabato è una licenza arbitraria, dettata da esigenze narrative. Che il porto fluviale di Benevento – aperto in età romana, probabilmente per volontà dell’imperatore Traiano – fosse in contrada Cellarulo è stato confermato dagli ingenti ritrovamenti archeologici portati alla luce in quell’area[34], taluni dei quali farebbero supporre l’esistenza di vasti depositi per le merci, destinazione peraltro implicita nel toponimo stesso[35]. Il porto cadde in disuso nel IV-V sec. d. C., l’averne prolungato il funzionamento nel XII secolo è frutto della mia immaginazione.

Il Sabato e il Calore, nel Medioevo, erano fiumi pescosi, come confermano gli scritti di Falcone[36].

L’iscla (cfr. glossario) appartenuta al cenobio di santa Sofia, citata nel romanzo, è realmente documentata in un’antica Platea[37] e nel Chronicon Sanctae Sophiae tra i possedimenti medievali sofiani, così come attestati da testimonianze medievali sono pure i numerosi mulini che sorgevano lungo il Sabato, ancora attivi alla fine del Settecento[38].

Riferimenti bibliografici

Il testo di Senofonte, L’arte della cavalleria (Perì Hippikès), scritto attorno al 370 a.C., costituisce, insieme a Il manuale del comandante della cavalleria (Hipparchikòs) del medesimo autore, il più antico trattato sull’equitazione pervenutoci. È pura invenzione l’averne attribuito a Yi Jing la conoscenza, ma è verosimile presupporre che l’opera fosse diffusa a Costantinopoli, dove, per l’appunto, il mio personaggio ne ha acquistata una copia.

L’opera di al- Khuwarizmi, chiamata Algoritmi de numero Indorum (“al-Khwārizmī sui numeri indiani”) è sopravvissuta in una traduzione latina, ma di essa è andato perduto l’originale in Arabo. La traduzione è stata fatta nel gennaio del 1126 da Adelardo di Bath, è, quindi, possibile ipotizzare che il protagonista del romanzo, uomo colto e curioso viaggiatore, l’abbia potuta consultare, magari, a Costantinopoli, così come ho supposto.

Gli articoli della Regola benedettina sono desunti dall’omonimo volume di Sergio Lentini, pubblicato dall’abbazia di Montecassino nel 1997.

Glossario

Adalingi = piccoli nuclei gentilizi longobardi, discendenti dalle schiatte più antiche, tra i quali l’assemblea popolare (gairetix) sceglieva i re, i duchi e i capi dei vari raggruppamenti dell’esercito e, in seguito alla territorializzazione, quelli delle circoscrizioni amministrative e giudizionali. I nobili Adalingi limitavano la loro attività all’impiego delle armi e alla caccia: la terra di cui erano proprietari veniva lavorata dalla popolazione dipendente.

arimanno = nella lingua longobarda, uomo libero, rappresentante dell’esercito (composto da haria-z, esercito + man, uomo) legato da un vincolo di fedeltà al re o al duca, caratterizzato dal possesso delle armi e tenuto agli obblighi militari (non poteva esercitare il commercio).

braccio = unità di misura corrispondente all’incirca a cm.60.

camauro = copricapo conico tipico dei pontefici, il cui uso fu concesso agli arcivescovi beneventani fin dall’Altomedioevo in virtù di un privilegio papale [39].

calzebrache = indumento maschile del Medioevo, di stoffa o di cuoio sottile, aderentissimo, che rivestiva le gambe, dal piede fino all’attaccatura della coscia, dove era trattenuto da una specie di panno che fasciava il basso ventre e i fianchi, o da ganci attaccati al farsetto.

canto beneventano = “Musicalmente, il canto beneventano è in molti modi distintivo rispetto agli altri dialetti del canto occidentale. Fiorì nel ducato longobardo di Benevento nell´VIII secolo. Nonostante le melodie appaiano semplici, compaiono dei melismi ornati, ricchi di dettagli. Il canto beneventano appare più arcaico rispetto al gregoriano e la prima cosa che salta all´occhio e all´orecchio nello stile beneventano è la ricchezza del dettaglio in superficie.” (Thomas Forrest Kelly, Harvard University, Musica e liturgia a Montecassino e Benevento, La liturgia beneventana e la sua musica come testimonianza della cultura longobarda, Freiburg, 2008.)

Cellarulo = probabile porto fluviale di Benevento, oggi scomparso. Recenti scavi archeologici hanno riportato alla luce le fondazioni di edifici, utilizzati senza soluzione di continuità dal il IV sec. a. C a tutto l’Alto Medioevo. L’area è da anni in attesa di un sistematico studio archeologico e di una sistemazione urbanistica.

Cubito = antica misura lineare in uso in Grecia e a Roma, corrispondente a cm. 44,4.

gairetix = supremo organo della sovranità logobarda; adunata dell’esercito in armi, assemblea solenne, atto giuridico compiuto nell’assemblea tramite la lancia. È una voce giuridica longobarda, composta da garo, gairi, (punta della) lancia + thinx, assemblea solenne. Il gairetix esprime la sua approvazione con il suono delle lance battute le une contro le altre. Anche i 388 capitoli dell’Editto di Rotari furono promulgati per gairetix nel 643. Questa arcaica concezione della regalità sopravvisse per i primi settantacinque anni successivi allo stanziamento dei Longobardi in Italia. Nel romanzo, la si fa perdurare molto oltre il suo limite storico. Il gairetix era una grande adunanza solenne, di stampo germanico, che vedeva riuniti i discendenti dalle schiatte più antiche, i nobili e i detentori delle cariche pubbliche, con il compito di sceglie i re, i duchi e i capi dei vari raggruppamenti dell’esercito e delle circoscrizioni amministrative e giudizionali longobarde.

ianara = Con il termine ianara (o janara), nel Sannio vengono denominate le streghe. L’etimologia è controversa, c’è chi fa risalire il termine ad una volgarizzazione del nome del dio Giano (divus Januarius) e chi, invece, lo avvicina al termine latino janua, porta. La tradizione popolare vuole, che per impedire alle ianare di entrare in casa, bastasse appoggiare dietro la porta una scopa di saggina, in tal modo le streghe sarebbero state costrette a fermarsi e a contarne le stoppie fino all’alba. Il levar del sole le avrebbe quindi indotte a fuggire via.

imam = può indicare tanto una guida morale o spirituale, quanto un semplice devoto musulmano esperto nei movimenti rituali obbligatori della preghiera canonica (salāt).

iscla = il termine è una sincope di insula, voce indicante una terra contigua a un fiume[40].

Letingi = antica aristocrazia longobarda che annoverava i discendenti di Leth, terzo re dei Longobardi, stirpe reale longobarda. La dinastia longobarda dei Lethingi, salvo limitate interruzioni, resse il regno longobardo dalla fine del IV secolo alle soglie dell’VIII secolo. La lancia regia, anche a prezzo di acrobazie successorie, rimase sempre nelle mani dei Letingi e dei loro affini, finché Ansprando, che era stato tutore e reggente del piccolo Liutperto, non strappò la lancia regia all’ultimo Letingo, e ottenne che fosse trasmessa al figlio suo Liutprando; questi, per la brevità del regno del padre, è in effetti il primo ad impugnare la lancia regia senza essere partecipe o congiunto della antica aristocrazia longobarda.

littera beneventana = grafia medievale originaria del ducato longobardo di Benevento nata in seguito alla florida produzione culturale dei monasteri benedettini, primo fra tutti quello di Montecassino. Restò in uso all’incirca dalla metà del VIII secolo fino al XIII secolo, anche se ne esistono esempi fino al tardo XVI secolo. Da Benevento, si espanse in buona parte dell’Italia meridionale, nelle isole Tremiti, in Dalmazia, a Zara e in altre località. È, di base, una corsiva, che si contraddistingue per alcune tipiche modalità di abbreviazioni e per particolari contrazioni: spezza le aste verticali e sovrappone le curve. Mostra, complessivamente, le caratteristiche di un tratteggio fluido, forme tondeggianti e tratti sottili tracciati da una penna a punta rigida. Ha forti effetti chiaroscurali.

marhpais = palafreniere, stalliere, scudiero; voce longobarda, composta da marha-z, cavallo + haitjan, mettere il freno, far mordere, domare.

scramasax = lungo coltello, ovvero sciabola ad un taglio corta e larga, propria del costume militare germanico che i guerrieri longobardi e franchi portavano appeso a una cintura riccamente ornata; era simile a un machete, aveva un lungo manico, segno che veniva spesso impugnata con due mani. Molti esemplari rinvenuti nelle tombe appaiono consumati dall’uso e non si esclude che lo scramasax venisse utilizzato come accessorio quotidiano oltre che come arma da guerra.

scudo umbonato = tipico scudo dei Longobardi che presentava una sporgenza pseudoconica nella parte centrale, detta umbone, utilizzata per deviare le armi da getto (frecce, lance) e per colpire l’avversario negli scontri corpo a corpo.

stolesayz = tesoriere, il capo dei dignitari della reggia del re longobardo o del duca; funzionario regio preposto alla risoluzione di delicate questioni di diritto prediale. La carica era particolarmente importante a Benevento. L’anonimo autore del Chronicon Salernitanum traduce così l’antica voce longobarda: “chi dispone i soldati all’uno e all’altro lato alla presenza del principe o dei re seduti in trono”, (Chron.Salern., c.38, 51).

trasenda = nei documenti medievali beneventani compaiono spesso i termini trasendae e stictolae per definire le strade. Le trasendae erano strade strette, ma sufficientemente ampie da consentire il passaggio di un carro, mentre le stictolae erano viuzze anguste, esclusivamente pedonali. Ne sopravvive ancora qualcuna. La trasenda più volte menzionata nel romanzo è l’attuale via dell’Annunziata che da porta Somma scendeva verso la porta Rufina. Entrambe le porte urbiche sono oggi scomparse.

vidua velata = La Chiesa consentiva alle vedove di velarsi in privato, restando a dimorare nella propria abitazione e portando come segno distintivo una veste nera[41] La condizione di vidua velata, detta anche vidua sanctimonialis, o ancilla Dei, fu ammessa dal Concilium Forogiuliense (a.796-797)

[1] Questa fiera, nel Medioevo, si teneva sulla piazza antistante l’omonima basilica (oggi piazza Orsini), e durava quattordici giorni, dal 15 al 28 agosto.

[2] riferito da Guglielmo di Tiro.

[3] CHRONICON BENEVENTANUM, prima metà del XII secolo.

[4] Dal 571 ca. al 1076

[5] P. Lonardo, GLI STATUTI DI BENEVENTO, Benevento, 1902; G. Gangiano, GLI STATUTI DI BENEVENTO DEL XIII SECOLO, Benevento, 1918.

[6] 758-787.

[7] S. Gasparri, LA CULTURA TRADIZIONALE DEI LONGOBARDI, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 1983; A. Cavanna, DIRITTO E SOCIETÀ NEI REGNI OSTROGOTO E LONGOBARDO, in MAGISTRA BARBARITAS, Scheiwiller, Milano, 1984.

[8] CHRONICON SALERNITANUM, 893, c. 147°. Questa famiglia, che la tradizione beneventana vuole discendente dal longobardo Rofrit, vissuto intorno al sec. IX, congiunto di Atenolfo conte di Capua, vanta un Dauferio, abate di Montecassino col nome di Desiderio, salito al soglio pontificio come Vittore III. Un Roffredo da Benevento sarà professore di diritto canonico all’Università di Bologna e autore, insieme a Pier delle Vigne e a Michele Scoto, alle COSTITUZIONI DI MELFI, il Corpus delle leggi promulgate da Federico II nel 1231. È lo stesso Roffredo, nelle sue Quaestiones Sabbatinae, a dichiararsi nativo di Benevento (“ego Roffredus beneventanus iuris civilis professor“), ignota resta la sua data di nascita, collocata dalla tradizione intorno al 1170.

[9] il toponimo Casale Maccabei esiste ancora oggi ed è riferito a una località del comune di San Leucio del Sannio.

[10] Enrico in alcuni documenti.

[11] Albertus nei documenti. In una pergamena datata 1116, vergata nel monastero di S. Sofia di Benevento e conservata presso l’Archivio storico diocesano di Napoli, si legge che la chiesa beneventana del SS Salvatore, in quell’anno, venne stata fatta oggetto di nuovi interventi edilizi per la creazione di un infirmarium destinato ai monaci sofiani. I lavori furono promossi dal decanus Albertus e patrocinati dall’arcivescovo Arrigo, (cfr. Maria Luisa Ghianda, LA CHIESA DEL SS. SALVATORE IN BENEVENTO, Benevento, 2005, p. 16). Durante gli scavi archeologici, condotti dalla Soprintendenza Archeologica nel 2000, all’interno delle medesima chiesa, è venuta alla luce una sepoltura del XII secolo, affrescata con motivi decorativi, tra i quali spicca la scritta: “Hic requiescit in somno pacis Auderisius Presbiter”. Per esigenze narrative, ho fatto coincidere la figura di Albertus con questo Auderisius, modificando,di conseguenza, il testo dell’iscrizione. La tomba era dotata di corredo funerario: tra gli oggetti, spiccava un paio di babbucce di seta ricamata che hanno colpito la mia immaginazione.

[12] Falcone, CHRONICON, anno 1121; Stefano Borgia, MEMORIE ISTORICHE DELLA PONTIFICIA CITTA’ DI BENEVENTO, DAL SECOLO VIII AL SECOLO XVIII , Salomoni, Roma, 1763, vol. II, pag. 190, nota 2; Evelyn Jamison, THE ABBESS BETHLEM OF S. MARIA DI PORTA SOMMA AND THE BARONS NORMANDS, (England – 1934). Revue historique, 1936. Come narra Falcone, Bethlem divenne badessa del monastero di Santa Maria di Porta Somma nel 1121. Figlia di Girardo conte della Greca, esponente della famiglia comitale di Ariano Irpino imparentata con gli Hauteville, mantenne sempre stretti contatti coi reganti normanni. Morì prima del 1188.

[13] Autore della porta bronzea della distrutta basilica di san Bartolomeo de Episcopio (1150), di sua mano sopravvivono in Benevento i frammenti dell’architrave che la sormontava (Museo del Sannio; cfr. Maria Luisa Ghianda, I LUOGHI BARTOLOMEANI IN BENEVENTO, 2005-2008), il cui motivo decorativo è stato preso a prestito nel romanzo per il soggetto del ricamo di Marsia. Di Oderisio si possono tutt’oggi ammirare le due porte bronzee realizzate per la cattedrale di Troja.

[14] Il papa inglese cui si fa cenno nel primo capitolo è Adriano IV, Nicholas Breakspear, l’unico papa inglese nella storia della Chiesa.

[15] Pompeo Sarnelli, MEMORIE CRONOLOGICHE DE’ VESCOVI ED ARCIVESCOVI DELLA S. CHIESA DI BENEVENTO, Napoli, 1691.

[16] 1128-1138.

[17] 1142-1176.

[18] In un documento dell’archivio dell’abbazia di Montevergine si legge che la moglie di Iderno, Proserpina, avendo saputo che il marito “mortuus in fidelitate Domini Roggerii” non aveva avuto degna sepoltura, si recò da Alberto, abate di Montevergine, e lo pregò di mandare in Puglia alcuni suoi monaci per raccogliere la salma e trasferirla nella chiesa di Montevergine.

[19] Ludovico Antonio Muratori, ANTIQUITATES ITALICAE MEDII EVI, Tom. III, p. 587.

[20] 960-1279.

[21] L’OBITUARIUM S. SPIRITUS, un manoscritto cominciato a scrivere nel 1198, attualmente conservato presso la Biblioteca Capitolare di Benevento (ms. 28), cfr. Alfredo Zazo, L’OBITUARIUM S. SPIRITUS DELLA BIBLIOTECA CAPITOLARE DI BENEVENTO (SECC. XII-XIV), Fiorentino, Napoli, 1963.

[22] Maria Luisa Ghianda, LA CHIESA DEL SS.SALVATORE…; op. cit.,. Il testo contiene una documentata teoria sull’ubicazione del Sacrum Palatium beneventano.

[23] “La curtis regia (o la curtis ducis) si trovava in genere in un luogo scelto secondo precisi requisiti, all’interno dell’area urbana, ma abbastanza appartato e vicino al circuito murario, venendo quasi a costituire un quartiere ben definito e difendibile: era generalmente prossimo ad una porta urbica legata ad una grande via di transito (come a Milano, Brescia, Pavia, Benevento, Salerno, Spoleto e Lucca, o ad un ponte di particolare valore strategico, come a Verona.)”, in Lusualdi Siena S., CIVIDALE LONGOBARDA, Isu, Milano 2002.

[24] Sopravvivenze dell’arce sannita sono state riconosciute dagli archeologi (Amedeo Maiuri) nel luogo dove ora sorge la Rocca dei Rettori.

[25] Falcone, CHRONICON, anno 1112.

[26] Il monastero fu demolito intorno al 1302 per fare posto all’erigenda Rocca dei Rettori.

[27] Falcone, CHRONICON, anno 1120.

[28] Bagnara, Montorso, Moccoli, Perrillo Sciarpa, Sant’Angelo a Cupolo, Motta e Pianelli, San Marco a Monte, San Leucio, Maccabei.

[29] come è attestato nel LIBER REGISTRI IURIUM, un documento datato 1291-92, conservato presso l’Archivio di Stato di Roma.

[30] Pietro Piperno, DE EFFECTIBUS MAGICIS, AC DE NUCE BENEVENTANA, Napoli nel 1635.

[31] La costruzione della via Traiana risale al II sec. d.C., quando l’imperatore Traiano, per agevolare le comunicazioni con l’Oriente, provvide alla monumentalizzazione di un antico tratto stradale che univa Benevento a Brindisi; si tratta di una variante della più nota via Appia, realizzata a partire dalla fine del IV sec. a.C. ad opera del censore Appio Claudio Cieco, allo scopo di collegare Roma all’Adriatico. Rispetto alla via Appia il nuovo tracciato consentiva di raggiungere Brindisi con maggiore facilità, abbreviando il tratto montagnoso e sfruttando, una volta superato l’Appennino, la comoda percorribilità del Tavoliere e della pianura costiera. Con essa si poteva raggiungere Brindisi da Roma in 13/14 giorni, per un percorso complessivo di 540 Km. La via Appia-Traiana, questo il nome, era in parte lastricata con grandi lastroni (basoli) di pietra basaltica. La strada fu inaugurata nel 113 d.C. e l’evento fu celebrato, a Benevento dove il tracciato aveva origine, con la costruzione di un arco trionfale, ancora oggi visibile; a Brindisi il tratto terminale della strada era segnato da un monumento dedicato nel 110 d.C. e noto soltanto da un’iscrizione onoraria.

[32] [Decimo Miglio. L’imperatore Cesare Nerva Traiano Augusto Germanico Dacico, figlio del divo Nerva, pontefice massimo, mentre rivestiva i poteri tribunizi per la tredicesima volta, acclamato imperatore per la sesta volta, console per la quinta volta, padre della patria, fece costruire la strada da Benevento a Brindisi a proprie spese.]

[33] Il testo dell’iscrizione in versi leonini è il seguente: “Intrans vota Deo tua fac Duce Bartholomeo, Est Domus ista Dei, Domus Pacis, et Requiei”; cfr. Maria Luisa Ghianda, I LUOGHI BARTOLOMEANI …, op. cit, pag. 24.

[34] Le campagne di scavo sono state condotte dalla Soprintendenza Archeologica negli anni Novanta, cfr. Mario Rotili, BENEVENTO NELLA TARDA ANTICHITÀ, DALLA DIAGNOSTICA ARCHEOLOGICA IN CONTRADA CELLARULO ALLA RICOSTRUZIONE DELL’ASSETTO URBANO, Napoli, 2006, pagg, 9 e passim.

[35] Il termine discende dal latino cellarium, che indica una piccola costruzione atta ad ospitare le merci.

[36] cfr. Falcone, Chronicon, anno 1122.

[37] PLATEA ANTIQUA SANCTAE SOPHIAE USQUE AD ANNUM 1382, Archivio Storico Provinciale di Benevento, Fondo Santa Sofia, Ms. 58=Plat.ant.

[38] Ancora oggi sopravvive il toponimo via dei Mulini.

[39] Stefano Borgia, MEMORIE ISTORICHE DELLA PONTIFICIA CITTA’ DI BENEVENTO, Roma, Stamperie del Salomoni, 1763-1769; ed anche Bernhard Schimmelpfenning, LA TIARA DELL’ARCIVESCOVO DI BENEVENTO, in STUDI BENEVENTANI, n. 4-5, Benevento, 1991.

[40] cfr. D’Ascoli F., DIZIONARIO ETIMOLOGICO NAPOLETANO, Edizioni del Delfino, Napoli, 1990.

[41] Delle Ancillae Dei tratta diffusamente La Rocca C., ne: LA LEGGE E LA PRATICA: POTERE E RAPPORTI SOCIALI NELL’ITALIA DELL’VIII SECOLO. La società longobarda tra VII e VIII secolo, Verona, in Il futuro dei Longobardi, Skira, Milano, 2000.

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A pochi giorni dalla pubblicazione il romanzo di Maria Luisa Ghianda ha già ottenuto diverse recensioni: su Otto Pagine, su Emozioni in Rete, sulla Gazzetta di Benevento, su Il Vaglio.it e sul Corriere Sannita.it.

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