Mogli e monache. Donne medievali tra doveri e poteri di Enrico Laurito
Quando si parla della società medievale, caratterizzata da una forte influenza religiosa e dall’immaginario cavalleresco, si pensa alle donne come figure marginali, legate ad archetipi che le vedono come perfette massaie, contadine, monache, anche se ci sono state importanti badesse e regine. Nel Medioevo, in ogni caso, per le donne sono più gli obblighi morali e familiari ad alternarsi nelle loro vite che non gli spazi dedicati alla libertà e all’autonomia. In questa sintetica rappresentazione della figura femminile medievale mi soffermerò sul tema del matrimonio e della carriera ecclesiastica.
Il codice di diritto canonico ritiene il matrimonio un legame esclusivo tra marito e moglie, uniti ad immagine e somiglianza di Adamo ed Eva, ma è solo la componente maschile delle coppia a tenere il potere. C’era poco spazio per l’amore e la passione, e le uniche cose ad avere importanza erano la giustizia e la cooperazione (Arnaldez); la letteratura medievale riflette sul fatto che l’amore ideale potesse difficilmente coincidere con quello carnale, matrimoniale, e che l’amore vero dovesse essere cercato fuori dal contratto nuziale (1). Chiara Frugoni afferma: in una società in cui il matrimonio ha solo fini utilitaristici, la sublimazione dell’amore (…) inizia inevitabilmente con l’idealizzazione dell’adulterio (2).
La donna poteva possedere delle terre, essere una vassalla e godere dei diritti propri di chi era in possesso di terre. Diritti che, in caso di matrimonio, le sfuggivano di mano, e tutto ciò che era suo diventava naturalmente del marito, incluso il patrimonio inalienabile. Se da una parte la Chiesa subordinava la donna all’uomo, il feudalesimo la subordinava al suo feudo. In questo modo l’istituzione ecclesiastica e l’aristocrazia hanno rafforzato quella dottrina di soggezione dell’uomo sulla donna, rappresentando in modo indiscutibilmente valido la sua essenziale inferiorità. Eileen Power riflette invece sulla possibilità che Chiesa e aristocrazia affermassero piuttosto la superiorità della donna: Il culto della Vergine e il culto della cavalleria sono cresciuti insieme e hanno manifestato il loro maggiore splendore nel periodo (…) in cui la cultura medievale ha raggiunto il suo livello più alto (3). In questo modo la Vergine, che spiritualmente compare sullo stesso registro di Cristo, in quanto donna ha il privilegio di collocarsi allo stesso livello di un uomo, se non di Dio stesso. Sempre su questa interpretazione afferma papa Innocenzo III nel 1210: non importa se la Beata Vergine (…) sia la più alta e la più illustre di tutti gli apostoli messi insieme messi insieme, non fu insieme, ma a loro, che il Signore affidò le chiavi del Regno dei cieli (4).
Una bambina poteva essere data in matrimonio e ricevere il consenso dai registri arcivescovili a dodici anni. Ma non solo le fanciulle correvano il rischio di diventare co-protagoniste passive dei matrimoni combinati: anche le donne adulte potevano sommariamente essere date in moglie, a meno che queste comprassero dal loro signore il diritto di scegliere con chi sposarsi. I sovrani ricevevano importanti somme nel concedere queste apparenti libertà a ricche donne desiderose di scegliere da sé con chi avviarsi alla pratica matrimoniale.
Scrive Dieudonné Dufrasne: la donna, fino al XI secolo, può scegliere solamente due stati di vita: sposa o monaca (..) La monaca possiede in sé uno statuto rispettabile (5). E’ chiaro quindi che le alternative a cui la donna poteva affidare la sua esistenza erano legate alla necessità di far parte di una istituzione: famiglia o Chiesa. E le istituzioni vivono di organizzazione, di regole, di gerarchie. La sposa era inferiore al marito e poteva essere inferiore ai propri beni, e la monaca, vivendo al cospetto del signore celeste, era legata non solo ad un’inferiorità spirituale, ma anche all’inferiorità rispetto ai vertici del proprio convento o della propria congregazione. Inoltre, per una monaca era necessario il perenne riferimento al potere pontificale o a quello curiale, quindi ad una gerarchia con un vertice sempre maschile. La donna, quindi, vista come generatrice del peccato, può salvarsi solo consacrando la propria vita e il proprio corpo a Cristo o alla vita coniugale.
Appena si entra in convento, che lo si faccia liberamente o per costrizione, si percepisce la protezione che la monaca può avere dal mondo e dagli uomini. La nobile monaca è aiutata da alcune religiose, quasi sempre di basso livello sociale.
La situazione che si presenta nel millennio medievale vede quindi la donna come una creatura da consacrare alla sudditanza, rendendola oggetto da inserire in contesti gerarchizzati con poche eccezioni. In Costanza d’Altavilla e Giovanna I di Navarra vediamo la straordinarietà di donne che diventano emblemi di potere, Ildegarda di Bingen fu un’influente badessa e scrittrice, Trotula de Ruggiero fu esperta in scienze mediche. E poi c’è la donna più nota del Medioevo, Giovanna d’Arco (6), che fu capace di risollevare la Francia dopo la Guerra dei cent’anni, e che venne condannata per eresia. Sono state poche, nel Medioevo, le grandi donne. Troppo poche. Forse per i limiti di una società maschilista, che ha idealizzato l’uomo come rappresentazione del bene, attribuendo alle donne la colpa originaria del male nel mondo. Tra le tante cose che l’età medievale ci può insegnare c’è quella di dare il giusto spazio ad ogni donna, liberandola dai vecchi tormenti e ponendola allo stesso livello degli uomini.
Note
1) M. ARNALDEZ, Statut juridique et sociologique de la femme en Islam, 1977;
2) C. FRUGONI, L’iconographie de la femme au cours des X-XII siecles, 1977;
3) E. POWER, Donne del Medioevo, 1978;
4) Papa INNOCENZO III, Epistole, 1210;
5) D. DUFRASNE, Donne moderne del Medioevo, 2009;
6) F. CARDINI, Giovanna d’Arco, 2019;
Enrico Laurito
Laureato in Storia Medievale, è appassionato di Storia della Chiesa nel Medioevo e nell’età contemporanea. Per L’Opinione delle Libertà scrive editoriali su storia, società e politica.
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