
Il medioevo non esiste. O quantomeno, parlando di medioevo (di ‘musica medievale’, in questo caso), bisognerebbe sempre tenere a mente la complessità che questa categoria storiografica — sintesi indispensabile quanto limitata — raccoglie sotto di sé: un panorama vastissimo e variegato di esperienze socioeconomiche e culturali anche molto distanti tra loro. Il medioevo è tutto e il suo contrario; come proporre, quindi, un programma da concerto a partire dai molteplici repertori che fioriscono in un arco temporale così esteso senza ricadere nei cliché e nelle banalizzazioni o, al contrario, in un iperspecialismo talvolta soffocante? Tra le vie possibili, l’Ensemble 400 ha scelto di lasciarsi guidare, in questa occasione, dal tema della ‘Musica delle Sfere’, una concezione scientifico-filosofica (le due discipline, com’è noto, vanno spesso di pari passo) ereditata dall’antichità classica e più volte riproposta — con variazioni e integrazioni — dai grandi pensatori della Storia, da Macrobio fino, addirittura, a Keplero.
Semplificando, necessariamente, una questione estremamente complessa (tanto da essere ritenuta oscura persino dai commentatori medievali), alla base del concetto vi sono le teorie matematiche di scuola pitagorica — e successivamente platoniche — relative alle proporzioni armoniche intese come principio costitutivo dell’universo; tali principi teorici, trasmessi al mondo latino, si intersecano con le antiche ipotesi di un neopitagorico, Nicomaco di Gerasa, secondo il quale ogni corpo in movimento emette suono: allora, sostiene Boezio nel celeberrimo De Institutione Musica, se la causa del suono è il moto, l’universo produce necessariamente armonia, dal momento che è in costante movimento. Uno dei codici che trasmettono l’opera boeziana (il latino 7203 della Bibliothèque Nationale de France) reca nel foglio di guardia un inno, Naturalis concordia vocum cum planetis, accompagnato da un diagramma rappresentativo delle sette schiere angeliche, nonché dei pianeti. L’incipit rende chiaro sin da subito l’argomento: «Est planetarum similis concordia vocu / A terra caelo divinus scanditur ordo» (vale a dire «L’ordine dei pianeti dalla Terra al Paradiso è simile all’armonia dei toni»). Ed ecco che va rinsaldandosi quel nodo tra aritmetica, astronomia, geometria e musica che è alla base della Scolastica e che fornisce la chiave d’accesso alla conoscenza del mondo sensibile; di conseguenza, se l’origine del movimento (e quindi dell’universo, e della vita) è Dio, l’armonia dei suoni è essa stessa emanazione divina.
La complessità dell’intreccio fisico-filosofico è portata all’estremo nel mottetto politestuale trecentesco Apollinis eclipsatur / Zodiacum signis / In omnem terram: nella versione a tre voci, il triplum (la voce più acuta) intona un testo ricco di riferimenti agli auctores ritenuti più abili nell’arte dei suoni, metaforicamente definita «luce di Apollo»; la voce mediana (il duplum) richiama esplicitamente la teoria dell’armonia cosmica, menzionando Boezio e Pitagora; il tenor, come frequentemente accade nei mottetti, costituisce una sorta di didascalia riassuntiva del contenuto del brano, a mo’ di epigrafe. Il fitto gioco musicale di riprese e microvariazioni dei segmenti ritmici e melodici trova corrispondenza nella natura quasi ‘enigmistica’ del testo, che si presta a ricomposizioni anagrammatiche e cela continui rimandi alla simbologia numerologica.
Il percorso proposto dall’Ensemble 400 si snoda principalmente attraverso composizioni nate in ambito monastico: è un elemento particolarmente interessante, perché fornisce una duplice chiave di lettura. Innanzitutto, fino a tutto il Trecento — e oltre, sebbene in misura minore — i monasteri e le abbazie furono i principali centri di diffusione della cultura (anche nell’ambito delle scienze naturali), quindi non deve destare stupore la congerie di riferimenti matematici, fisici e astronomici di cui sono costellati i testi messi in musica; inoltre, le comunità religiose erano e sono tuttora fondate su una rigida scansione del tempo, una successione reiterata di momenti rituali, lavorativi, contemplativi, che segue l’eterna ruota dei mesi (lo zodiaco) e delle stagioni (l’alternarsi di luce e tenebra). Non a caso, l’Ensemble 400 ha individuato come trait d’union del programma una selezione di brani tratti da una raccolta di musica liturgica polifonica compilata e utilizzata nella prima metà del XIV secolo presso il monastero femminile cistercense di Las Huelgas, in Spagna; e dall’abbazia benedettina di Fleury, sulle rive della Loira, proviene la composizione che dà l’avvio all’itinerario: l’alba bilingue Phebi claro nondum orto iubare; il significato allegorico del testo, che pure lascia spazio a differenti interpretazioni, fa intravedere una fitta trama di simbologie astronomiche e numeriche che si intrecciano alla dottrina cristiana. Su tutto domina l’eterna lotta tra luce e tenebre (ovvero tra la Grazia divina e il peccato), resa ancor più aspra dalla minaccia delle tentazioni.
di Sara Maria Fantini
Testo completo su associazionenoema.it dal 20 giugno 2021