Numerazione araba in Europa

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Numerazione araba in Europa di Gaetano Dini
I numeri arabi, così chiamati in Europa perché trasmessi attraverso il lavoro di matematici ed astronomi arabi, erano chiamati a loro volta dagli arabi numeri indi “arqam hindiyya” in quanto provenivano dall’India che era stata in parte conquistata dai musulmani.
I numeri indiani erano i numeri utilizzati dalla classe sacerdotale indù, i Brahmini, secoli prima dell’era cristiana. Diffusore della matematica indiana nell’era cristiana, è stato l’indiano Brahmagupta che scrisse due opere di matematica nel 628 e nel 665.
Precedentemente all’uso dei numeri indi, gli scienziati arabi utilizzavano il sistema di numerazione babilonese mentre i mercanti arabi utilizzavano il sistema di numerazione decimale “abjad” che dava ad ognuna delle 28 lettere dell’alfabeto arabo un valore numerico.
Studiò per primo e diffuse nel mondo arabo l’uso dell’algebra con lo sviluppo delle equazioni lineari, le equazioni di 2° grado e gli algoritmi (algoritmo è il termine che deriva dalla traduzione del nome dell’autore), il matematico persiano Al-Khwarizmi (780-850 circa).
La parola algebra così come è conosciuta in Occidente, deriva da “al-jabr”, un’operazione usata per risolvere le equazioni di 2° grado descritta nei libri di Al-Khwarizmi.
Al-Khwarizmi visse a Baghdad presso la corte del Califfo Mamun che lo nominò responsabile della sua biblioteca, la famosa Bayt al Hikma, la “Casa della Sapienza”.

Una pagina dall’Algebra di al-Khwārizmī

I maggiori contributi di Al-Khwarizmi hanno riguardato i campi dell’algebra, della trigonometria, dell’astronomia.
Altri studiosi divulgatori della matematica indiana furono il matematico arabo Al-Kindi che scrisse intorno all’825 quattro volumi sull’utilizzo dei numeri indiani ed il matematico egiziano Ibn Aslam (850-930 circa). Nel X sec. matematici mediorientali diffusero l’uso delle frazioni.
Nel mondo greco-romano è stato il matematico Diofanto di Alessandria vissuto nella metà del III sec. a.C., a studiare le equazioni di primo grado a più variabili e le equazioni quadratiche.
La prima traduzione del suo libro “Aritmetica” uscì in Europa solo nel 1577.
Il manoscritto occidentale più antico contenente i numeri arabi è il “Codex Vigilanus” scritto in Spagna nel 976 e diffuso in seguito con il sistema delle università anche se per diverso tempo la conoscenza e l’uso dell’algebra in Europa è stata riservata ai chierici nel chiuso dei monasteri.
Gerberto di Aurillac (Aquitania) nacque circa il 950 d.C. da umile famiglia.
Attorno al 963 d.C. entrò nel monastero di San Geraldo sito nella sua città.
Nel 967 il conte Borrel II di Barcellona visitò il monastero e l’abate chiese al conte di portare Gerberto con se a studiare matematica a Barcellona, dato che era portatissimo per la materia.
Negli anni seguenti Gerberto studiò matematica nella città di Barcellona (controllata dai cristiani in quanto appartenente alla Marca Spagnola fin dall’epoca dell’impero di Carlo Magno), entrando qui in contatto col mondo culturale islamico. Studiò oltre le discipline occidentali del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica) l’algebra araba e fin da giovane la fama della sua cultura si era diffusa nel mondo cristiano. Eccellendo nell’uso dei numeri arabi, Gerberto poteva eseguire mentalmente calcoli estremamente difficili per le persone dell’epoca che pensavano in termini di numeri romani.
Lasciò dei quaderni di calcoli eseguiti coi numeri arabi.

Papa Silvestro II

Gerberto è stato l’esempio più lampante del miglioramento imposto dagli imperatori germanici ai rappresentanti della Chiesa, dominata fino allora dalla pornocrazia e dalla simonia.
Gerberto divenne papa col nome di Silvestro II dal 999 al 1003.
Leonardo da Pisa o Leonardo Fibonacci (1170-1240 circa) era figlio di Guglielmo dei Bonacci (Fibonacci è la contrazione di Filius Bonacci), facoltoso mercante pisano che aveva ricevuto la nomina di rappresentante dei mercanti della Repubblica di Pisa nella città di Bejaia in Algeria.
Leonardo vi era andato col padre e studiò per alcuni anni nelle scuole di quella città i procedimenti matematici che studiosi musulmani andavano diffondendo nelle varie regioni del mondo islamico.
Qui Leonardo ebbe precoci contatti con il mondo dei mercanti ed apprese tecniche matematiche sconosciute in Occidente.
Al fine di perfezionare queste conoscenze, Fibonacci viaggiò molto arrivando fino a Costantinopoli, alternando l’attività del commercio con gli studi matematici.
Racconta Fibonacci che a Bejaia suo padre gli fece ricevere una conveniente istruzione alla scuola di Ragioneria; “là fui introdotto all’arte dei nove simboli indiani attraverso un insegnamento ragguardevole; la conoscenza di quest’arte ben presto mi piacque sopra ogni altra cosa ed io ebbi modo di comprenderla …”.
Ritornato Fibonacci in Italia, la sua notorietà giunse anche alla corte dell’imperatore Federico II, soprattutto dopo che Leonardo risolse alcuni problemi del matematico di corte.
Per questo motivo Federico II gli assegnò un vitalizio che gli permise di dedicarsi completamente ai suoi studi.
Leonardo Fibonacci scrisse il “Liber abaci”, la “Practica geometriae”, il “Liber quadratorum”.

Statua di Fibonacci nel Camposanto di Pisa

Il “Liber abaci” è un’opera di 15 capitoli nella quale sono introdotte le nove cifre, il numero zero, i radicali quadratici, cubici, l’uso delle frazioni. Uno dei capitoli tratta dell’aritmetica commerciale e dell’uso dei cambi. Il libro è stato pubblicato una prima volta nel 1202, poi nel 1228, portando larghi strati di popolazione europea a conoscere per la prima volta questo tipo di matematica.
Fibonacci è noto soprattutto per la sequenza dei numeri da lui individuata, conosciuta come “successione di Fibonacci” in cui ogni termine (esclusi i primi due) è la somma dei due che lo precedono.
Sembra che questa sequenza sia presente in diverse forme in natura, un esempio le spirali delle conchiglie.
Il numero Zero in latino è chiamato “Zephirus”, adattamento dell’arabo “Sifr” che significa Vuoto.
Zephirus in lingua veneziana è diventato “Zevero”, da cui il nome Zero.
All’epoca in Europa si usavano i numeri romani ed i calcoli si facevano con l’abaco.
Il sistema a numerazione araba stentò ad essere accettato in Occidente tanto che nel 1280 la città di Firenze proibì l’uso delle cifre arabe da parte dei banchieri in quanto si riteneva che il numero zero apportasse confusione nei calcoli e che venisse impiegato anche per mandare messaggi segreti; poiché il sistema di numerazione arabo era denominato “Cifra”, da questa denominazione deriva il termine “messaggio cifrato”.
La diffusione dei numeri arabi in Europa fu favorita dall’invenzione della stampa a caratteri mobili.
I numeri romani rimasero in uso solo per i quadranti degli orologi, per le meridiane, per la numerazione dei nomi dei pontefici, per le pagine di prefazione ai libri.
Bibliografia:
Enciclopedia Vallardi

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