Occhi che parlano di Átila Soares da Costa Filho. Traduzione di Valéria Vicentini

Notevole praticamente in ogni centimetro di esecuzione, capolavoro assoluto, la “Monna Lisa” (1517), oltre all’elevata tecnica con cui è stata realizzata, rivela una cura per gli elementi principali al miglior stile del genio di Leonardo da Vinci. Quell’atmosfera eterea che tanto aveva segnato la sua produzione si vede qui, per la prima volta, in versione fortemente intensificata: per mezzo della tecnica dello sfumato, al suo più alto livello, ha conferito alla composizione un’aura di mistero stupefacente.
Nonostante abbia elevato la tecnica dello sfumato a un nuovo livello, unendolo alla pittura a olio, Leonardo da Vinci non ne è il creatore, come comunemente si ritiene. Questo termine italiano significa “trasformato in fumo”, “fumoso”, “evaporato”, perché era quello che succedeva con i segni dei pennelli su un dipinto: praticamente sparivano. La tecnica, in realtà, ha un’origine remota e imprecisa, la cui applicazione sistematica è dimostrata da millenni, soprattutto nel disegno e nelle tecniche a secco. In ogni caso, con Da Vinci, lo sfumato (compresa una nuova tecnica, il glacis) consisteva nell’applicare uno strato di olio mescolato con una minima quantità di pigmenti colorati su una base bianca nel supporto pittorico. Da ciò si ricavava uno strato sottile che riproduceva una tonalità di colore eterea, evanescente. Tale procedura permetteva alla luce, attraversando questo “velo”, di colpire il fondo del supporto e di riflettersi sullo spettatore. Le varie sfumature d’ombra nelle ultime opere dell’artista, infatti, sono dovute ad applicazioni successive di questi strati. Contenendo ciascuno di essi una pigmentazione specifica, si otteneva, uno sopra l’altro, un effetto di vibrante costanza.

Una tecnica rivoluzionaria
La peculiare procedura sarebbe sorta solo nelle ultime opere dell’artista e, probabilmente, la “Monna Lisa” fu la prima in cui fu utilizzata. Qualche evidenza in tal senso è stata confermata dalle recenti scoperte sul dipinto fatte dall’esperta Mady Elias, del Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica in Francia, e dall’ingegnere Pascal Cotte della Lumière Technology (scansione multispettrale). Da un punto di vista artistico, era un compito che richiedeva una dose extra di pazienza e scrupolosità dell’autore. D’altra parte, attraverso le sue mani, aveva raggiunto una sfera magica, al di là di tutto ciò che si era visto in termini di produzione visiva umana.
Artificio per creare effetti di volume molto caratteristici del Rinascimento italiano, lo sfumato viene utilizzato nell’arte post-medievale con lo scopo di creare un’atmosfera soprannaturale. Le rappresentazioni a effetto bidimensionale tipiche del medioevo, pur portando segni e codici propri, erano molto lontane da qualunque risultato più realistico che si volesse considerare. Non è quindi molto difficile immaginare la reazione di chi, grazie allo sfumato, ha assistito al passaggio in questo drammatico capitolo della Storia dell’Immagine.
Considerando la filosofia e gli interessi di Leonardo negli studi dell’Ottica, della Natura e delle loro varie implicazioni dimensionali, questa risorsa può essere vista come una necessità nella sua produzione artistica. Da segnalare anche qui quegli appunti (nell’Itinerario) del De Beatis, in occasione dell’incontro con Leonardo e la “Monna Lisa” nel 1517. Riferendosi alla figura della donna come “perfetta” e “apparentemente viva”, il segretario descrive il momento come la scoperta di un’immagine affascinante e straordinaria. Per il pubblico dei secoli XV-XVI, l’impressione sarà stata proprio questa: di spaventoso realismo.

Ed è qui che il piano bidimensionale si trova in crisi, perché, insieme all’uso della sezione aurea, la figura centrale nella composizione pittorica diventerebbe parte del tutto, nel suo insieme. Vale a dire che l’immagine del già schematico modello iconografico della “Monna Lisa”, immaginato da Leonardo, nasce dal desiderio di questo “Uomo Universale”, rinascimentale, che vede il proprio genere in modo integrato con la Natura… in cui entrambi gli elementi sono rappresentazioni di Dio.
Come in altre opere d’autore, anche la “Monna Lisa” segue l’uso della sezione aurea. Ampiamente utilizzata nel Rinascimento, la sezione aurea è una risorsa strutturale per le composizioni matematiche nell’arte e nell’ingegneria, scoperta nell’antichità, che si oppone al principio degli assi incrociati. Così, l’artista ha fatto sì che, dalla suddivisione strategica dell’immagine in più rettangoli, si producessero parti più grandi e più piccole che si sarebbero autogenerate all’infinito. In un certo senso, questo artificio aspira alla stessa “illusione psichedelica” della geometria nell’arte islamica e, quindi, l’effetto porterà la nostra visione a un orientamento a spirale risultante in un ordinamento trascendente nello spazio, come farebbe il ritmo naturale. A proposito, l’osservazione e lo studio della natura (logos scientifico) sono sempre stati i pilastri delle realizzazioni rinascimentali. Infatti, il pensiero matematico di Da Vinci – in un senso più di “astrazione platonica” che, necessariamente, di “fredda precisione” – verrebbe confermato in maniera innovativa anche attraverso la Tesi di Goldblatt.

Il padre di questa scoperta, Maurice H. Goldblatt, è stato un esperto e critico d’arte nella Chicago dell’inizio del XX secolo, avendo anche agito per smascherare i falsi della “Monna Lisa”. Questa tesi assicurava che solo negli autentici “leonardi” si vedeva che la linea della bocca di un sorriso femminile era disegnata nell’arco di un cerchio che, una volta estesa, avrebbe toccato l’angolo esterno di uno o entrambi gli occhi. Sottolinea inoltre che, nei casi in cui la testa della modella fosse scoperta (come nella “Monna Lisa”), il suo contorno è “l’arco di un altro cerchio due volte il diametro del primo cerchio”.
È noto che Da Vinci difendeva il concetto che il Creatore si manifestava e riposava in tutto ciò che fosse Creazione – dentro o fuori dei nostri sensi, di ciò che siamo in grado di comprendere. È anche qui che percepiamo il percorso aperto dalla mente dell’artista: siamo inseriti nella stessa Natura di cui siamo il frutto. Tuttavia, l’Uomo la modifica in quanto crea altri punti di vista che non si limitano alla prima impressione da essa fornita. In ciò risiede la polidimensionalità del “reale”, qualcosa che la concezione medievale del potere agente – e spesso limitante – di Dio rendeva del tutto impossibile.

Con la “Monna Lisa”, Leonardo inaugura un’“alchimia elettrica” nell’atmosfera, ricreando un universo “irreale” (o “una nuova realtà”) al di fuori del nostro tempo-spazio. A livello di impatto sociale, bisogna considerare che saper valutare e riflettere sugli elementi circostanziali o determinanti di questo dipinto dovrebbe certamente ampliare e rivoluzionare la nostra comprensione di tutti gli aspetti che coinvolgono l’opera: l’artista e la sua produzione artistica nel suo insieme, la modella stessa, la città e il tempo in cui è stata prodotta e l’universo in cui tutti questi elementi si armonizzano, l’affascinante mondo che circonda gli studi del passaggio dal Medioevo alla Modernità, cioè alla vita come la conosciamo oggi. Ed è proprio in quest’opera così unica, speciale – anzi, una pietra miliare nella Storia – che, per la prima volta, si è ipotizzata la presenza di un codice negli occhi della più grande musa del genio. Scoperto da Silvano Vinceti, avrebbe svelato qualcos’altro nel già controverso dipinto. Per questo ricordiamo come dovettero essere gli ultimi anni di Leonardo nella sua fase artistica più creativa, audace.

Il giovane Salaì e il vecchio Leonardo
A un certo punto, in età avanzata, e senza molto sperare, Da Vinci si è permesso di essere “filosoficamente scorretto” e ha cominciato a meditare sulla sua omosessualità intendendola più come un superamento dell’io (come vuole la gnosi). L’idea sarebbe quella di assumere, in modo sincero e spontaneo, il fenomeno dell’amore e del sesso come manifestazioni di natura più spirituale e vibrazionale che come strumenti di procreazione… e, in questo senso, non è necessario parlare esclusivamente di eterosessualità. Vuole vedere nella condotta solo una possibilità in più nel complesso ordine delle cose, del cosmo: qualcosa che dovrebbe essere naturale, libero da essere vincolato a qualsiasi convenzione… questa, sì, è un’artificialità umana generata da interessi e convenienze. Quello che però ci interessa è che Leonardo, poi, si sentirà più a suo agio ad applicare sulla “Monna Lisa” un altro elemento per sintetizzare la dimensione della complessa e multiforme natura umana: la “Monna Lisa” è androgina, un prodotto dell’HOMO UNIVERSALIS, un essere umano perfetto. In altre parole, la sua identità è giovane (versione di Isleworth”) e matura (versione del Louvre), come è anche… maschio e femmina. A dire il vero, la “Monna Lisa” siamo tutti noi. Ma non fermiamoci qui…
Studi da me condotti di recente hanno potuto individuare alcuni segni oscuri in alcuni degli ultimi dipinti di Leonardo, più precisamente negli occhi dei rispettivi modelli. Un dettaglio curioso che li collega direttamente alla “Monna Lisa”. Mi riferisco alla presenza delle lettere L e S poste nelle iridi dei ritratti – esattamente come dimostrato nel 2010 da Vinceti – e, recentemente, scoperte anche da me nel Cristo del “Salvator Mundi” saudita in immagine, dopo la profonda pulitura e prima del restauro eseguito dalla dottoressa Diane Modestini… e sì, ci sono buone ragioni per ripensare l’evento come una mera coincidenza:
1) Le lettere L e S si trovano, rispettivamente, in ciascun occhio dei modelli in modo simile alla “Monna Lisa”: destra – L e sinistra – S (dal punto di vista del soggetto del ritratto);
2) Per ogni caso, entrambe le lettere sono esattamente nella STESSA REGIONE in entrambi gli occhi, e in posizione angolare simile: il che rivela un modello estetico – cioè, difficilmente accadrebbe per coincidenza;
3) Inoltre, se tutto fosse solo una coincidenza, la lettera S apparirebbe anche nell’occhio sinistro, così come la L nell’occhio destro, alla stessa angolazione (e in forma speculare) – data la simmetria organica che esiste in ogni paio di occhi… ma, definitivamente, non è quello che vediamo in questi esempi.

Conclusione: la probabilità che le lettere L e S siano state prodotte intenzionalmente – e poi aggiustate – è abbastanza considerevole e non andrebbe ignorata. A questo proposito occorre tener conto che, proprio nell’incidenza sulla sanguigna del “Cristo di Lecco” recentemente rivelato, il fenomeno si ripete due volte (dentro e sotto gli occhi) – manifestando ancor più un’intenzione circa l’adeguamento di queste lettere. Ora, quello che vediamo qui è anche un fatto che rende ancora più stretta la correlazione tra tutte queste opere.

Ho anche selezionato per questa presentazione due opere che, se non di Leonardo, almeno della sua cerchia: la prima, il “San Giovanni Battista” del Museo d’Arte di Basilea, e il “Salvator Mundi” del Museo Doma, di San Domenico Maggiore (Napoli), un dipinto attribuito a Girolamo Alibrandi, suo discepolo a Milano. Ma qua e là abbiamo, come nel Giovanni Battista, il fatto che la presenza di tali iniziali avvenga, probabilmente, a coppie per ogni occhio. Qualcosa di volutamente schematizzato, che potrebbe rivelare un’interferenza più diretta di Da Vinci – non scartando l’ipotesi che le lettere fossero lì dalle sue stesse mani.
Le ragioni per cui Leonardo volesse le due lettere negli occhi di questi personaggi è ancora oggetto di dibattito. La più probabile, a mio avviso, deve essere quella di perpetuare il suo avvicinamento al giovane discepolo Giacomo Caprotti, detto “Salaì” (“diavoletto” in arabo). Quindi, L per Leonardo e S per Salaì.
Le tracce, infatti, non sono sempre facili da individuare, ma una sommatoria sequenziale-grafica delle evidenze sembra indicare qualche “intenzione” dietro a quelli che potrebbero sembrare segni a caso. In verità, sarebbero un’interferenza del genio per perpetuare la sua grande passione per Caprotti – il quale, dall’età di 10 anni, conviveva con il maestro – sotto forma di un lascito di opere artistiche tecnicamente inedite. Le analisi antropometriche, infatti, possono rivelare che i volti “giocondeschi” sono una combinazione tra la metà sinistra di un volto femminile (Caterina, sua madre? Un androgino Salaì?), e la metà destra, di un volto maschile.
Il compito, ovviamente, è arduo e, in alcuni casi, praticamente impossibile, per la naturale impossibilità di un esame diretto del materiale originario. E ciò è particolarmente drammatico nel caso del “Salvator Mundi” di Abu Dhabi, poiché proviene da un accurato restauro dopo gravi danni alla vernice originale. Tuttavia, con le migliori riproduzioni dopo la pulitura e prima del restauro, è possibile, grazie all’intervento di un avanzato software di editing di immagini – mediante la regolazione di curve, contrasto, luminosità, saturazione, negativo e altro -, rilevare le linee che inducono fortemente al riconoscimento di quelle lettere. È vero che il punto che vogliamo sottolineare è proprio il fatto di una possibilità di evidenza su qualcosa che vale la pena vedere (piuttosto che tracce casuali). Le possibilità di una coincidenza fra tracce e lettere, ovviamente esistono e c’è ancora il fatto – come detto – dell’interferenza a favore di un’errata interpretazione dovuta alla qualità non ottimale di alcune delle foto disponibili. Ebbene, tutto questo lascia automaticamente la questione aperta: quindi, qualsiasi contributo accademico volto ad approfondire quello che, per ora, è solo un sospetto, sarà interessante. I miei studi proseguono, più che mai, ispirati dalle stesse parole di Leonardo: “Chi ha occhi, che vedano”.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Argan, Giulio Carlo. Arte e crítica de arte. Lisboa: Estampa, 1988.
Costa Filho, Átila Soares da. A Jovem Mona Lisa. Rio de Janeiro: Multifoco, 2013.
Pomilio, Mario; Chiesa, Angela Ottino della. “L’opera completa di Leonardo pittore”. Collezione Classici dell’arte, vol.12. Milano: Rizzoli, 1978.
Santillano, Giorgio de et al. Leonardo da Vinci (An Artabras Book). Nova York: Reynal & Co. e William Morrow & Co., 1965.
Vasari, Giorgio. Vidas de pintores, escultores y arquitectos ilustres. Buenos Aires: El Ateneo, 1945.
Vinceti, Silvano. Il segreto della Gioconda. Roma: Armando Editore, 2011.
Átila Soares è brasiliano, insegnante, stimatore di opere d’arte, ricercatore e autore di quattro libri. Ha una laurea in Disegno Industriale conseguita presso la Pontifícia Universidade Católica di Rio de Janeiro nonché titoli di specializzazione post laurea in Storia, Filosofia, Chiesa Medievale, Sociologia, Storia dell’Arte, Antropologia, Archeologia e Beni Culturali.
È, inoltre, collaboratore nella rivista “Humanitas” (Ed.Escala, São Paulo) e nei siti web “Italia Medievale” (Milano) e “Nova Acrópole” (Lisbona). Fa parte del comitato scientifico della Mona Lisa Foundation (Zurigo), della Fondazione Leonardo da Vinci (Milano) e del progetto L’Invisibile nell’Arte (Roma). Per visitare il suo sito clicca qui !