Paure medievali

Paure medievali di Chiara Frugoni – Recensione di Vincenzo Roberto Cassaro
Il grande storico Peter Burke, nel suo volume What is Culture History? (trad. it. il Mulino, 2006), si era domandato se le emozioni avessero una storia. Rispondendo positivamente all’interrogativo, lo storico britannico ricordò che, già alla fine dell’ottocento, il filosofo Nietzsche si lamentava della mancanza di una storia che prendesse in considerazione i perturbamenti dell’animo umano.  Ed effettivamente, prima degli anni ’80 del XX secolo, tranne poche eccezioni, sono stati pochissimi gli storici che abbiano dato importanza alle emozioni nelle proprie ricerche, soprattutto in Italia. Chiara Frugoni, studiosa e medievista di fama internazionale, con decine di pubblicazioni all’attivo, nel suo saggio Paure medievali (ed. il Mulino, 2020), pone al centro della propria indagine storiografica un sentimento ancestrale del genere umano: la paura.
Tante sono le ragioni per cui il saggio merita certamente di essere letto. Innanzitutto, come possiamo ben capire, siamo di fronte ad un lavoro piuttosto innovativo, in quanto la studiosa offre, probabilmente per la prima volta, un affresco complessivo delle paure più diffuse tra gli uomini dell’epoca medievale e non sono tantissime, specialmente nel panorama nazionale, pubblicazioni con un simile approccio d’indagine. Il saggio è suggestivo e appassionante non soltanto perché viene proposta una storia delle emozioni (branca della storia culturale), ma anche perché Frugoni riesce a proporre con grande maestria un costante parallelismo tra passato e presente, invitando implicitamente il lettore a riflettere criticamente sul mondo e sulla società in cui si trova a vivere. D’altra parte Benedetto Croce, nella sua Teoria e storia della storiografia (prima trad. it. Laterza, 1917), scriveva che “ogni vera storia è storia contemporanea”, nel senso che la ricerca storiografica è mossa solo se c’è un interesse presente (mancando il quale la storia è morta, quindi cessa di esistere diventando cronaca), quest’ultimo a sua volta generato dalla vita, da qui il rapporto unitario che esisterebbe tra la storia e la vita. Non è un caso se Frugoni cerchi di sottolineare le differenze e allo stesso tempo le somiglianze tra le paure medievali e le paure di oggi. Quando la studiosa iniziò a scrivere Paure medievali, non avrebbe mai potuto immaginare che ben presto sarebbe scoppiata la pandemia di Covid-19, traghettando gli uomini del XXI secolo dinanzi a paure e panorami psicologici collettivi che ormai, almeno nei Paesi occidentali, si pensava fossero scomparsi per sempre dall’esperienza quotidiana. Pertanto, il saggio merita di essere letto anche per il paragone coinvolgente proposto dalla studiosa tra l’epidemia di peste del 1348 e la pandemia odierna.
Numerose sono le prospettive d’indagine intraprese dalla studiosa, che nel realizzare una storia culturale delle emozioni si è ritrovata a frequentare diversi campi di studio: dalla storia di genere (per es. affrontando il ruolo delle donne nel parto o la loro capacità di preparare rimedi e pozioni per diversi malanni fisici) alla storia dell’infanzia (per es. il destino degli orfani o l’alta mortalità neonatale), dalla storia dell’alimentazione (per es. le basse rese del frumento) alla storia della medicina (per es. la condizione dei malati in un ospedale), dalla storia culturale dell’alterità (per es. gli stereotipi attribuiti agli ebrei) alla storia delle rappresentazioni (per dirla all’anglosassone) o dell’imaginaire social (per dirla alla francese) (per es. pensiamo al Paese della Cuccagna), fino alla storia culturale della Chiesa (per es. l’invenzione del Purgatorio). Emerge tutta la capacità analitica di una studiosa che riesce a destreggiarsi con lucidità e profondità tra diversi ambiti della storia medievale, un peregrinare necessario per tentare di ricostruire una storia delle paure medievali dotata di spessore tematico e profondità interpretativa.
D’altra parte, la caratura di Frugoni traspare anche dal sapiente uso delle fonti iconografiche, una sensibilità già più volte manifestata dalla studiosa in altre precedenti pubblicazioni, una capacità rara da ritrovare in uno storico. Le immagini, infatti, costituiscono una fonte molto ostica da adoperare, il loro uso implica molte problematiche interpretative e, nonostante i passi in avanti, persistono ancora parecchi dubbi sulle metodologie utilizzate, motivo per cui gli storici spesso evitano di usare simili testimonianze, che però diventano fondamentali quando s’intende affrontare determinati temi, come le emozioni e le paure. Paure medievali è costellato e impreziosito da oltre duecento immagini, alcune davvero straordinarie nella loro bellezza estetica e chiarezza espressiva, preziose per comprendere il mondo psicologico ed emotivo degli uomini medievali. Immagini che accompagnano con equilibrio la scrittura, senza mai interferire con quest’ultima, ma anzi fungendo da fondamentale sostegno alla comprensione della stessa. Frugoni, per esempio, dedica molte pagine al timpano collocato sulla porta d’ingresso dell’abbazia di Sainte-Foy di Conques, in Francia, risalente all’inizio del XII secolo, dove viene rappresentato il Giudizio Universale con scene di estrema violenza e dai toni minacciosi e intimidatori. Oppure pensiamo alla stupenda pagina miniata di un Libro d’Ore di origine francese, risalente alla seconda metà del XV secolo, oggi custodito a Baltimora, dove vengono rappresentate verosimilmente le diverse fasi che separavano la morte dalla sepoltura. Oltre ad un ampio uso delle immagini, la studiosa ha anche ampiamente analizzato le fonti letterarie, tra queste soprattutto quelle cronachistiche (es. Cronache dall’anno Mille di Rodolfo il Glabro; Itinerarium Terrae Tartarorum di Guglielmo di Rubruck o ancora la Cronaca fiorentina di Marchionne di Coppo Stefani). Non manca l’uso di poesie (es. Divina Commedia di Dante Alighieri), novelle (es. Decameron di Giovanni Boccaccio), racconti (es. Roman de Renart), testi teologico-dottrinali (es. Liber contra sectam sive haeresim Saracenorum di Pietro il Venerabile) e lettere private (es. lettera del Gran Khan Guyuk a papa Innocenzo IV).
Cronologicamente la studiosa prende in considerazione soprattutto l’arco temporale che si estende dall’anno mille, o poco prima, fino a tutto il XIII secolo. Potremmo dire che Frugoni concentri la propria analisi sui secoli centrali del medioevo, anche se non mancano temi relativi ai primi e agli ultimi due secoli dell’epoca di Mezzo, specialmente per quanto riguarda il XIV secolo, con un’ampia riflessione sull’epidemia di peste del 1348.
Il saggio si apre con la leggenda dei terrori dell’anno mille, in riferimento alla quale viene affrontata la questione della datazione cristiana, poiché nel VI secolo il monaco Dionigi il Piccolo avrebbe commesso un errore nel calcolare la nascita di Cristo (avvenuta probabilmente tra i 4 e i 7 anni prima dell’anno zero), datazione che ancora oggi noi usiamo. All’errore di computo dell’età cristiana si aggiungerebbe una constatazione culturale: per gli uomini di quel tempo era più importante la Pasqua rispetto al Natale (a differenza nostra), in quanto veniva attribuito maggior significato al sacrificio e alla resurrezione di Cristo, rispetto alla nascita (tra l’altro incerta). È più probabile che per gli uomini medievali il millesimo anno fosse quello dell’Incarnazione, cioè il 1033, e non quello della Natività: in sostanza dovremmo parlare di un doppio millennio. Al di là di queste premesse, le fonti coeve non parlano mai per l’anno mille e per il 1033, come ci ricorda la studiosa, di una popolazione terrorizzata per l’immediata fine del mondo, anzi, addirittura nel 998, in uno scritto di Abbone, abate di Fleury, viene negata esplicitamente la possibilità della fine del mondo al sopraggiungere dell’anno mille. D’altra parte, anche nelle Cronache dell’anno mille di Rodolfo il Glabro, non c’è alcuna traccia né di terrori né di fine del mondo. In sostanza, Frugoni sottolinea che i terrori dell’anno mille sono una leggenda elaborata nel XVI secolo sopravvissuta sino a noi. Con grande lucidità la studiosa passa in rassegna alcune delle paure collettive di quegli anni, come la paura della natura e delle calamità naturali (che determinava l’invenzione di creature mostruose, ancora facenti parte del nostro immaginario collettivo, come il cetus, cioè la balena gigante, scelta, per esempio, come immagine di copertina dell’album del 2010 di Luciano Ligabue), la paura dei nuovi invasori, come gli ungari (addirittura identificati, da alcuni religiosi, con le popolazioni dell’Apocalisse dei Gog e dei Magog), la paura delle guerre. Per cui Frugoni giunge alla conclusione che gli uomini dell’anno mille avessero paura e preoccupazione per il proprio futuro, in un mondo ricco di pericoli, ma che non fossero minimamente proiettati ad una fine imminente.
Sempre nel primo capitolo (pp. 11 – 98), il più esteso e probabilmente il più importante del libro, Frugoni ricorda che comunque l’uomo medievale viveva nell’attesa della fine dei tempi, ma che avesse probabilmente più paura della morte improvvisa, per le implicazioni religiose che essa aveva: morire da un momento all’altro, senza aver confessato i propri peccati e senza aver scontato la corrispondente penitenza, significava finire all’Inferno. Proprio su questo tema la storica si sofferma con attenzione dedicando alcune decine di pagine, nelle quali emerge la volontà e la strategia messa in atto dalle gerarchie ecclesiastiche di far leva sulla paura della gente, per esercitare con efficacia il controllo sulla società e favorire l’osservanza dei precetti e delle pratiche religiose. Fino a tutto il XII secolo la paura del Giudizio Universale, quindi la paura dell’Inferno, dovette turbare la società della cristianità occidentale, poiché finire in Paradiso, luogo dei santi, era quasi impossibile: il mondo ultraterreno, dunque, era associato alla paura di subire una terribile punizione all’Inferno. L’invenzione del Purgatorio, a cavallo tra XII e XIII secolo, come sottolinea Frugoni, ebbe delle conseguenze importantissime sul rapporto tra mondo terreno e ultraterreno, determinando un cambiamento dell’atteggiamento emotivo dei fedeli nei confronti dell’Inferno.
In Paure medievali vengono anche affrontate la paura della miseria, per le difficili condizioni materiali in cui spesso le fasce della popolazione più deboli si ritrovavano a vivere, e la paura della fame, che apparteneva a tutti gli uomini medievali e non soltanto ai contadini o agli strati popolari delle città. La paura della fame è una condizione psicologica che coinvolge l’intera società medievale, insieme al costante timore delle carestie, generate spesso da intemperie climatiche, infatti l’autrice scrive chiaramente che “la fame fu un’ossessione che accompagnò in maniera costante la società medievale, per una fragilità strutturale della sua organizzazione, delle tecniche agricole e per l’assenza di intervento dei poteri pubblici” (p. 110). Da queste paure nacquero i miti di compensazione, come il fantastico Paese della Cuccagna, nel quale venivano proiettati molti desideri insoddisfatti degli uomini medievali, tra cui la possibilità di mangiare sempre e a sazietà, dove il cibo dei ricchi era gratuitamente disponibile a tutti.
Se la paura di rimanere senza scorte di cibo era un’ossessione per l’uomo medievale, non meno paura suscitava l’altro, il diverso, lo straniero. Frugoni affronta il tema in un capitolo fondamentale per l’economia del saggio (pp. 167 – 250), dove la studiosa sviscera i meccanismi mentali che generano gli stereotipi negativi sul diverso e i canali attraverso cui essi vengono alimentati e diffusi nella società. Grande attenzione è rivolta alle leggende antiebraiche finalizzate a costruire l’immagine stereotipata dell’ebreo perfido, usuraio, profanatore dell’ostia, infanticida, assassino, antropofago e alleato del demonio. Un’immagine che suscitava allo stesso tempo paure e odio, una miscela molto pericolosa, le cui conseguenze furono sconcertanti. Frugoni mostra come fin dall’inizio delle crociate, quindi dalla fine dell’XI secolo, la condizione degli ebrei in Europa fosse diventata sempre più difficile, intensificandosi le persecuzioni e i massacri collettivi nei loro confronti, per cui da una crescente intolleranza si passò alla violenza verbale e ben presto a quella fisica. Allo stesso tempo, la storica sottolinea le radici antiche dell’ostilità ideologica nei confronti degli ebrei, poiché si riteneva che non soltanto essi avessero rinnegato Cristo, opponendosi alla diffusione del suo messaggio, ma che ne avessero anche voluto la morte. Meccanismi simili alimentarono anche le paure nei confronti dei musulmani, che specialmente dall’epoca delle crociate vennero dipinti come aggressori, nemici, infedeli, alleati del demonio, depravati, lussuriosi, addirittura, per il cronista Guglielmo di Tiro, Maometto sarebbe stato il primogenito di Satana, che viene raffigurato sempre con colori scuri. Frugoni, infatti, attraverso una raffinata capacità analitica delle immagini, mostra come i musulmani venissero raffigurati con lo stesso colore con cui veniva rappresentato il diavolo: il nero. Per cui si creò una relazione tra il nero, il colore del peccato, il demonio e i musulmani, raffigurati sempre con la pelle scura. I Mongoli o Tartari, termine che alludeva all’Inferno, furono percepiti con toni ancora più spaventosi rispetto ai musulmani, addirittura, da alcuni furono identificati con le popolazioni bibliche dei Gog e Magog, quindi con le forze dell’Anticristo e vennero descritti con tratti semiumani e mostruosi, esseri non appartenenti al mondo della civiltà, abituali antropofagi, violentatori di donne e usurpatori di terre altrui. Tale era il terrore al concilio di Lione del 1245 per la possibilità di una nuova eventuale invasione mongola, che da quel momento iniziarono a moltiplicarsi le missioni diplomatiche dei cristiani presso i mongoli.
Se gli stranieri suscitavano così tante paure, certamente, la possibilità di contrarre una malattia generava tanti altri timori negli uomini del medioevo. La paura di ammalarsi era giustificata dalle poche armi a disposizione dei medici, che si limitavano a tastare il polso e ad osservare le urine del malato, pochi gesti ritenuti sufficienti per fornire una diagnosi, a cui si poteva giungere anche attraverso la consultazione di libri, mediante i quali veniva trasmessa la medicina antica con traduzioni spesso imprecise e fuorvianti. In questo capitolo (pp. 253 – 298) dedicato alle malattie e alla medicina, Frugoni si sofferma molto sulla lebbra, essendo una malattia a cui vennero attribuiti molti significati culturali: considerata allegoria di peccato, si riteneva che la corruzione del corpo del lebbroso (con il viso deformato, ricoperto di piaghe, con gli arti mutilati, una figura quindi disgustosa, spaventosa) rispecchiasse la corruzione della sua anima. La paura nei confronti di questi malati spinse le autorità ad imporre loro una divisa, in modo che fossero ben distinti dal resto della popolazione, e l’utilizzo di nacchere, il cui suono avvisava le persone per strada del loro imminente passaggio.  La lebbra poteva avere anche significati positivi, intesa come strumento di purificazione dai propri peccati.
Paure medievali si conclude con un capitolo dedicato all’epidemia di peste di metà Trecento (pp. 301 – 340), dove Frugoni, con un abile accostamento tra immagini e cronache, riesce a trasmettere l’idea della portata epocale di quella peste proveniente dall’impero mongolo e dalla Crimea, trovando in Europa un terreno fertile per diffondersi rapidamente e rendersi altamente letale. Sono due gli aspetti che colpiscono da queste pagine intrise di morte, disperazione e isolamento. Prima di tutto, la paura, anzi, il terrore di essere infettati determinò un incredibile allentamento dei legami familiari e affettivi e disarticolò le solidarietà tra amici e vicini: tanti in preda al panico arrivarono ad abbandonare il marito, la moglie, il fratello o il padre infettati, lasciando la propria abitazione e gli appestati al proprio destino, privati così di qualsiasi soccorso e della vicinanza dei propri cari. Tanti morirono soli in compagnia delle proprie sofferenze, magari gridando vanamente aiuto dal letto di casa, poiché spesso anche preti e medici si rifiutavano di entrare in casa di un infetto.  Il terrore del morbo generò crudeltà ed egoismo, mettendo a nudo il lato più misero del genere umano. E non mancarono coloro che credettero al complotto organizzato dagli ebrei, ingiustamente accusati di aver scatenato l’epidemia per distruggere il popolo di Cristo: migliaia furono, in tutta Europa, gli ebrei perseguitati, massacrati e condotti al rogo nella speranza di provocare, attraverso la loro distruzione, la fine della peste. L’altro aspetto che colpisce, a causa dello scoppio della pandemia di Covid-19, è l’incredibile attualità dell’epidemia di metà ‘300: in alcuni passaggi sembra di leggere le pagine di un giornale di oggi piuttosto che un saggio di storia sul medioevo. Una relazione tra passato e presente stringente, sottolineata dalla studiosa per la quale “per alcuni aspetti, non per tutti per fortuna, è un po’ come fossimo nel 1348. Non abbiamo medicine sicure né vaccini, – Frugoni scrive nel 2020 quando ancora non c’erano i vaccini anticovid – non c’è più spazio per i cadaveri: scompaiono nelle lunghe file dei camion dell’esercito che li avviano alla cremazione senza che nessuno possa saperne più nulla, onorarli con una cerimonia […] non bastano i medici e infermieri, alcuni di loro muoiono contagiati; chiudono le fabbriche e le imprese; molte persone, spaventate, fuggono dalle loro città, cercandone di più sicure, diffondendo il contagio” (pp. 339 – 340).
Paure medievali di Chiara Frugoni è un saggio da leggere per tutti coloro che amano meditare e comprendere la propria epoca, infatti, attraverso il passato, il libro fornisce innumerevoli spunti di riflessione sul presente. Il più grande merito del testo, probabilmente, consiste nell’offrire un rapporto quasi dialettico tra passato e presente, nell’ambito del quale molte questioni medievali sembrano assumere una dimensione attuale, che solo i più lucidi saggi storici riescono a conferire. E il lettore si rende conto di quanto gli uomini medievali siano molto più vicini a noi di quanto si possa credere: pensiamo alle paure odierne dinanzi allo straniero o alla paura della natura e delle calamità naturali o ancora alla paura delle malattie e della pandemia, che giustificano le parole dell’autrice “teniamo strette al petto tutte le paure medievali. Cosa potrebbe sciogliere questi lacci? Ragionare” (p. 250). Ma vengono sottolineate anche le differenze rispetto al medioevo, pensiamo alla paura della morte improvvisa, intorno alla quale le preoccupazioni sono cambiate rispetto a mille anni fa oppure pensiamo alla paura della fame, che ormai nel mondo occidentale è in gran parte scomparsa. Paure medievali è un libro sorprendente che conquista il lettore attraverso una fitta serie d’immagini stupende e coinvolgenti, conferendo piacere non solo alla mente, ma anche agli occhi. È un saggio emozionante che coraggiosamente pone al centro della propria indagine uno dei sentimenti più angoscianti dell’umanità, la paura, e proprio per questo è in grado di scavare nel nostro mondo interiore mettendoci a confronti con i nostri antenati “così lontani, così vicini (p. 340)”.

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