Qualche nota sulla strumentalizzazione della Storia nei Balcani: il caso del Kosovo

Nel 1938, poco prima che il mondo venisse stravolto dalla guerra mondiale, Jacques Ancel scrisse un bel libro storico sulla Geografia delle Frontiere, nel quale tra altri interessanti spunti metodologici si affermava che “Gli Stati balcanici medioevali non hanno nulla di nazionale, nel senso attuale del termine” (p. 59).

Ben si sa però che quando qualche storico cerca di dimostare quello che è un dato di fatto, ovvero la non-consistenza di ideologie nazionali, etniche e linguistiche in periodi antichi e medioevali, immediatamente molti altri si sentono chiamati alla battaglia e tirano fuori concezioni odierne (o perlomeno ottocentesche) riproponendo una storiografia dell’”esclusione dell’altro” che, trasformandoli in “convinti soldati del proprio popolo” (per usare un’efficacie espressione di Janez Persic), finiscono nel non poter più essere considerati degli storici ma degli scrittori inquadrati al servizio di un potere politico che fornisce loro i mezzi per potersi esprimere, soprattutto verso il largo pubblico. Si possono così modificare dati ed eventi del passato secondo la propria visione del mondo, facendone addirittura strumento della propria ideologia.

Secondo questa logica molto spesso oscuri personaggi, aventi solo un modesto rilievo regionale o zonale vengono elevati a simbolo stesso di “nazione”, e coloro che invece hanno contribuito in maniera rilevante alla formazione culturale di un gruppo umano specifico vengano privati addirittuttura della menzione sui libri di scuola utilizzati dai propri “discendenti”, siano questi ipotetici o veritieri.

Questo fà sì che vi siano gruppi umani che, pur avendo dato all’umanità geni e personalità di rilievo di ampio respiro, si crogiolano nel tributo ossessivo dell’omaggio a falsi o inesistenti “progenitori”, addirittura mistificandone mentalità e intenti, adattati all’uso che necessita in un dato momento.

Nei Balcani ex-ottomani, questo tipo di adattamento giustificativo della storia era ed è, oggi piu’ che mai, prassi comune. Il prof. Mihai Maxim, uno dei piu’ grandi esperti attuali di storia ottomana, ha ben specificato come i popoli balcanici soffrano di un “complesso di inferiorità” verso l’”Oriente”, colpevole nella mentalità collettiva di aver frenato e rallentato il normale sviluppo “evolutivo” degli Stati balcanici nei confronti delle “nazioni” d’Occidente.

Si imputa molto spesso all’Impero ottomano la stasi culturale e l’arretratezza dei popoli balcanici nei confronti dell’Occidente. Viene troppo frequentemente volutamente dimenticato da molti che l’essere ottomano e’ stato un concetto identitario storico-politico, al quale tutti i popoli balcanici hanno contribuito, musulmani e non.

Anzi, per secoli, l’Impero ottomano e’ stato un faro illuminante per gli Europei occidentali, sotto molti aspetti, non ultimi quello tecnico, giuridico e dell’amministrazione dello Stato.

Il complesso di inferiorità nei confronti dell’Oriente non colpisce solo i cristiano-ortodossi (attuali Rumeni, Serbi, Croati, Bulgari, Greci ecc.), ma anche gli stessi musulmani balcanici i quali, molto spesso identificati dalle popolazioni circostanti come “turchi”, e quindi invasori e colonizzatori hanno da più di un secolo e mezzo oramai assunto essi stessi il ruolo di capro espiatorio del presunto “ritardo” dell’Oriente europeo nei confronti dell’Occidente.

Le sedicenti vittime dell’”oppressione ottomana” hanno sviluppato ed elaborato una serie di miti e di mistificazioni storiche per giustificare massacri, deportazioni e pulizie etniche.

Il senso di vittimismo raggiunge addirittura il grottesco con l’auto-celebrazione della sconfitta: il 28 giugno 1989 viene festeggiato in Serbia il seicentesimo anniversario della sconfitta subita dai “Serbi” da parte dei “Turchi” nella battaglia del Campo dei Merli, ovvero di Kosovo Polje.

Nonostante questa battaglia sia descritta negli annali ottomani come un’evento periferico, assume per i Serbi un’importanza preponderante nella loro coscienza collettiva. E’ questo evento infatti fissato come punto cardinale della storia serba, ed è simbolo della plurisecolare difesa dell’Europa cristiana che i Serbi hanno condotto contro i “Turchi”.

Ma, al pari dei Serbi, anche gli Albanesi affermano di aver fermato i “Turchi” con Skanderberg e, praticamente tutte le varie altre nazioni attuali dei Balcani hanno almeno un eroe, una battaglia e un evento di riscatto e difesa dell’”Occidente” contro i “Turchi”.

Senza quell’eroe, battaglia o evento, i “Turchi” sarebbero penetrati in “Occidente” ed avrebbero ridotto in stato miserevole anche gli “Occidentali”, vanificando quindi il “progresso moderno” che gli “Occidentali” avrebbero conseguito rispetto agli “Europei Orientali”.

A titolo di sintetica e schematica menzione storica, durante la battaglia di Kosovo non sono stati sconfitti soltanto i Serbi ma anche alcuni dei loro attuali “nemici”, tra i quali Albanesi e Bosniaci, dato questo che viene il piu’ delle volte omesso dagli storici, dai giornalisti e dai politici nazionalisti serbi. Nel 1389 le forze del principe serbo Lazar Hrebeljanovic erano coalizzate infatti con quelle di Stephan Trvko I Kotromanic, re di Bosnia, con quelle valacche di Mircea Cel Batrin (il Vecchio), e con quelle dei signori albanesi Balsha e Jonima, contro gli Ottomani ed i loro sostenitori, tra i quali troviamo allo stesso modo, Albanesi, Valacchi e Serbi. La battaglia in questione è quindi da leggersi sotto la luce di un’evento balcanico lontano dal razzismo etnico e religioso e dal patriottardismo idiota dei giorni odierni.

Tra i nobili serbi impegnati nella lotta a fianco degli Ottomani, oltre allo Cnez Constantin di Velbujd spicca la figura di Marko Kralievic. Costui, nobile serbo figlio di un signore caduto a Cirmen sulla Maritsa nel 1371, è stato con la sua gente al servizio degli Ottomani e ha lottato, per i propri interessi contro i cristiani di Lazar Hrebeljanovic. Ciò nonostante, questo personaggio in realtà morto sul campo di battaglia per la “gloria dei pagani” è divenuto volens nolens prima uno degli “eroi della nazione” anti-ottomani, in seguito e’ stato trasformato in “eroe del popolo”, ed ora è idealizzato dalla propaganda nazionalista serba come angelo vendicatore di passate sconfitte, sconfitte da ripagare con il sangue degli ipotetici carnefici. Tutto ciò trae origine da quando i Serbi, nel XIX secolo ebbero bisogno di rivalutare i propri miti in funzione anti-ottomana e rispolverarono tutto il ciclo di poesia epica orale. Secondo i canti tradizionali serbi lo sconfitto Stephan Lazarevic scelse volontariamente la perdita della battaglia immolandosi contro gli Ottomani, poichè preferiva regnare in un regno celeste piuttosto che in un dominio terreno. Marko Kralievic divenne l’eroe cristiano sempre pronto a combattere i Turchi per difendere la sua gente. Marko non e’ morto ma riposa nella foresta di alberi sacri della Serbia, sull’altopiano di Urvina Planina e risorgerà dal suo sepolcro per liberare i Serbi dai Turchi. Ma nella poesia epica antica serba non c’e’ odio verso il nemico, anzi vi si trova il rispetto per il combattente.

Un’altra delle cose che vengono solitamente omesse dalla storiografia nazionalista serba (e da chi la usa come strumento per incitare all’odio razziale e religioso) è che i “difensori dell’Europa serbi” sette anni dopo la battaglia del Kosovo aiutarono gli Ottomani in una battaglia ben piu’ importante per le sorti dell’Europa, quella di Nicopoli. Durante quella battaglia il Sultano Bayezit Yildirim (la Folgore), insieme ai suoi vassalli balcanici non ancora islamizzati sconfisse duramente le armate cattoliche, stabilizzando il dominio ottomano in Europa. Come vassallo ottomano il principe serbo ortodosso Stefan Lazarevic avrebbe potuto restare neutrale, così come altri vassalli bulgari, ma probabilmente odiava piu’ i cattolici ungheresi che i musulmani turchi. Il suo apporto alla battaglia fu decisivo per la vittoria ottomana.

Se passiamo ora a volo di rondine sulla “difesa della Cristianità” da parte di Giorgio Kastriota (Skanderbeg) scopriamo anche qui alcune cose interessanti. Innanzitutto bisogna ricordare che la maggior parte degli Albanesi attuali sono di religione musulmana e vengono quindi percepiti dai loro vicini come “Turchi”.

Dei musulmani che celebrano un eroe apostata che li ha fermati? Anche qui come nel caso di Kralijevic dobbiamo ritornare ai fatti per avere un’opinione oggettiva e smitizzante.

La conquista ottomana dell’Albania, che avvenne in fasi graduali e progressive, iniziò con un invito a costoro da parte della famiglia albanese dei Thopia (cristiani) per combattere contro i propri rivali Balsha, sempre albanesi e cristiani.

Gli Ottomani occuparono nel 1396 varie località albanesi, ma se ne ritirarono per una ventina d’anni a causa degli avvenimenti relativi alla sconfitta ottomana di Ankara (1402) da parte di Tamerlano che generarono il fitret, ovvero l’interregno ottomano, caratterizzato dalle lotte per la successione.

Nel 1415 gli Ottomani conquistarono Kruja e nel 1423 i Kastriota, signori dell’Albania centrale, accettarono il vassallaggio ottomano. Giorgio Kastriota (1405-1468), figlio del sovrano in carica Giovanni andò, come d’uso, ad Adrianopoli (Edirne) come ostaggio e per essere educato insieme ai suoi fratelli Stanisha, Reposhi e Costantino. Ad Adrianopoli un suo fratello si fece monaco cristiano, due suoi fratelli morirono e Giorgio aderì all’Islam volontariamente, assumendo il nome di Skander (Alessandro) ed il titolo di beg (grossomodo capitano) e per circa venti anni combatte come ottomano per la gloria della Casa di Osman.

Nel 1443, presso Nish nella Serbia meridionale Skanderbeg dovendo affrontare una coalizione cristiana guidata dal signore cattolico di Transilvania Janos Hunyadi, decise di disertare con il fido Hamzah (anch’esso quindi musulmano) e altri trecento fedelissimi causando così la sconfitta ottomana poi, con un colpo di mano, conqusistò Kruja, fece apostasia e ridiventò cristiano. Intorno a lui cominciarono ad affluire numerosissime tribù e combattè contro gli Ottomani fino alla sua morte nel 1468 avvenuta nella veneziana Alessio.

Nonostante le varie attribuzioni da parte dei cattolici quali “Atleta di Cristo”, furono proprio i cattolici veneziani, e non i ripetutamente sconfitti ottomani, ad infliggere la prima cocente sconfitta militare a Skanderbeg, distruggendo la fortezza di Balsha nel 1463. Altro dato interessante è che un’armata ottomana, sconfitta da Skanderbeg nel 1452, era comandata da Hamzah Bey, che alcune cronache affermano sia stato stretto parente di Skanderbeg! Un altro terribile avversario ottomano di Skanderbeg fu Balaban Pasha, anch’esso di origine albanese (almeno secondo il biografo di Skanderbeg, Barletti). Albanesi contro Albanesi, quindi, al servizio di un potere o di un altro, senza riguardo all’origine etnica ed all’appartenenza religiosa.

Gli Albanesi di Skanderbeg quindi fermano i Giannizzeri ottomani, spesso guidati da albanesi ed appartenenti alla potente confraternita musulmana dei Bekhtashi che, guarda caso, ha un suo importantissimo sacrario (una delle tombe di Sari Saltuk, santo “islamizzatore”, altre sono disseminate in varie parti dall’Adriatico al Mar Nero) proprio a Kruja, la città-simbolo della difesa “cristiana” di Skanderbeg.

Dobbiamo considerare che nel 1443, lo stesso anno del cambiamento di fronte di Skanderbeg muore suo padre, il cristiano Giovanni e quindi il territorio in suo possesso avrebbe perso l’autonomia amministrativa vassalatica della quale godeva e sarebbe stato incorporato nell’Impero ottomano. A questo punto il musulmano Skanderbeg fece redigere un firman (ordine imperiale) falso ed entrò a Kruja da dove proseguì la sua vicenda anti-ottomana.

Ma, mentre un musulmano albanese diventa cristiano, un serbo ribadisce la sua fedeltà all’Impero ottomano. Costui è Giorgio Brankovic che, preoccupato dell’azione di Skanderbeg e della nuova armata costituita da Hunyadi, si mette dalla parte degli Ottomani! Quando Hunyadi viene sconfitto dagli Ottomani, sono i contadini serbi a catturarlo e a portarlo al cospetto di Brankovic.

Brankovic riallaccia però con Hunyadi nel 1453, tradendo gli Ottomani che avevano da poco conquistato Costantinopoli. Dopo essere stato sconfitto, ridiventa vassallo ottomano. Da qui, in pochissimi anni, buona parte dei signorati autonomi dei Balcani, vengono inglobati dall’Impero.

Ma quale è quindi il tipo di “ideologia politica” dominante nei Balcani medioevali? La risposta data un secolo fa da Nicolae Iorga è forse da tenere presente: la “dromocrazia”. E’ questa innanzitutto un’ideologia condivisa e pratica, tendente al controllo delle arterie di comunicazione commerciale: fiumi, vecchie strade romane, strade di passaggio per gli armenti. In quest’ottica è indifferente l’appartenenza “etnica” di chi abita il territorio o, perlomeno, è l’appartenenza religiosa a determinare il tipo di “patto” o di statuto territoriale dal quale deriva l’eventuale rapporto con l’entità egemone.

L’utilitaristica “dromocrazia balcanica” è quindi in netto contrasto con l’ideologia dell’eroe, della battaglia e dell’evento che ferma i Turchi (o i musulmani o il “nemico” in genere) si stà cristallizzando di nuovo prepotentemente in Italia ed in Europa Occidentale, ed avvenimenti isolati quali Lepanto, che segnano una vittoria ma poco cambiano sostanzialmente negli aspetti politici, vengono mitizzati acriticamente alla stessa maniera che nell’Oriente Europeo, segnale preoccupante di una società europea occidentale che si sente “regredita” e “minacciata” di nuovo dai “Turchi”?

Dedico questo breve articolo ad Aldo, Emiliano ed Ardita e alle nostre personali scorribande pacifiste ed antirazziste nei Balcani di una guerra fa.

Approfondimenti bibliografici:
Jacques Ancel, Géographie de frontières, Paris, 1938;
Giacomo E. Carretto, I Turchi del Mediterraneo. Dall’ultimo impero islamico alla Nuova Turchia, Roma, 1989;
AA.VV., Maometto in Europa. Arabie Turchi in Occidente 622-1922, Milano, 1982, specialmente il cap. “Volò un falco bianco, a cura di Giacomo E. Carretto;
Ettore Rossi, “Saggio sul dominio turco e l’introduzione dell’Islam in Albania”, estratto dalla rivista Albania, III, fasc. IV, 1942;
Bruno Meriggi, Le letterature della Jugoslavia, Firenze/Milano, 1970;
Noel Malcom, Bosnia. A short history, London, 1994;
F. Dvornik, Gli Slavi nella storia e nella civiltà europea, Bari, 1968;
R. Portal, Gli Slavi. Popoli e nazioni dall’VIII al XX secolo, Roma, 1975;

Giuseppe Cossuto

Giuseppe Cossuto nasce a Cassino nel 1966. Si Laurea in Islamistica (summa cum laude) nel 1993 presso l’Università “La Sapienza” di Roma con una tesi dal titolo: “I musulmani di Romania tra sopravvivenza e riscatto”. Dal 1990 compie numerosi viaggi di formazione, studio e ricerca prolungato nell’Est Europeo e in varie aree turcofone, lavorando anche come dirigente nella cooperazione internazionale e come corrispondente per note agenzie giornalistiche. Nel 1994 è vincitore di un corso di specializzazione nella ricerca storica presso l’Università “Ca’ Foscari” di Venezia: “Le popolazioni di origine turca nei secoli IX-XIII sul territorio dell’attuale Romania”. Nel 2002, dopo aver studiato negli archivi d’Istanbul e di Bucarest, riceve il Ph.D presso “La Sapienza” di Roma discutendo una tesi dal titolo: “La vicenda umana e politica di Kantemir Mirza e gli statuti giuridici di Moldavia e Valacchia e Crimea (Stati vassalli ottomani). E’ membro dell’Istituto per l’Oriente “C.A: Nallino” di Roma, del Centro di Studi Ottomani di Bucarest-Istanbul, ed è socio fondatore dell’Associazione culturale per la promozione degli studi orientalistici “Oxus” (Roma).

Ha all’attivo numerose pubblicazioni scientifiche e di divulgazione. Si occupa di relazioni tra il “mondo della steppa” e l’Europa, dell’identità e della storia delle minoranze dell’Est Europa.

Ha pubblicato due monografie:
Storia dei Turchi di Dobrugia, Istanbul, Isis, (2001);
Giovan Battista de Burgo. Viaggio di Cinque anni in Asia, Africa & Europa del Turco – Milano 1689, Istanbul, Isis (2003).

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