La Rus’ di Kiev nell’XI-XII sec.

Vladimiro Monomaco © Mondimedievali.Net
Vladimiro Monomaco © Mondimedievali.Net

di Aldo C. Marturano.

Adattato dal cap. VI. di Rasdrablienie, Storia della Rus’ a Pezzi, 2005.

Prendiamo una carta geografica della Pianura Russa.

Notiamo subito che tutti gli affluenti maggiori del Dnepr si versano in questa enorme corrente, proprio poco prima dell’ansa davanti a Kiev. Soprattutto vediamo la Desnà, che giunge dalla riva sinistra, e il Pripjat che invece arriva dalla riva destra. Altri affluenti scorrono verso il Dnepr, ma sono di minore importanza, salvo quelli più a sud che invece rappresentano delle “vie d’accesso” per chi proviene dalla steppa ucraina e quindi sono notevoli dal punto di vista strategico. Nel periodo di cui ci occupiamo (XI sec. d.C.) le vie d’acqua erano le uniche vie immaginabili per traffici e comunicazioni. Quindi chiunque fosse diretto a sud provenendo da qualsiasi parte più a nord doveva passare per Kiev e viceversa, chi venisse dalla steppa, sicuramente dirigendosi a nord veniva verso Kiev!

Con ciò è pienamente spiegata l’antichità di questo insediamento: proprio a causa della posizione dove oggi ancora si trova. Era qui che tutti i popoli che vivevano lungo i fiumi della Pianura Russa venivano ad incontrarsi principalmente per fare mercato e scambi.

La città sorge sulla collinosa riva sinistra del grande fiume e da queste alture, da un’altezza di quasi 60 metri, è possibile controllare il fiume per lunghi tratti!

La regione intorno è dominata dalla foresta e lungo le rive si trovano gli acquitrini poiché il Dnepr a causa del rallentamento della corrente fra anse e secche talvolta abbandona certi alvei e se ne crea altri dando così origine a laghi, pozze e simili bacini d’acqua di fiume, ricchissimi di pesce.

La foresta domina pesantemente invece tutto il bacino del Pripjat che con le sue acque fa vivere una regione chiamata appunto Poljesje (ossia La Foresta in russo) che si estende da Kiev fin nel nord sotto Minsk. In realtà però sono più le paludi e le marcite praticamente impenetrabili che altro. E la gente qui vive letteralmente sull’acqua!

Il Poljesje tuttavia rappresenta per Kiev una difesa sicura dalle invasioni dal nord data la sua scarsissima penetrabilità per quasi tutto l’anno. Erodoto tanti secoli prima addirittura, credeva che il Poljesje fosse un mare a causa della palude e della sua estensione. Solo d’inverno quando tutto gela, sebbene con moltissima attenzione per non affondare in sabbie mobili o in torbiere nascoste sotto la neve o il ghiaccio, è possibile attraversarlo!

Il Dnepr, inoltre è uno dei più grandi fiumi d’Europa e il suo bacino è estesissimo, visto che sgorga dalla sorgente convenzionale posta nel lontano Valdai, un’elevazione non molto alta a sud di Novgorod, a quasi mille km di distanza da qui. Dalla stessa altura, così vuole il caso, nascono il Volga e il Don…

Subito dopo Kiev il corso dell’acqua diventa impetuoso a causa del fondo non più in dolce pendenza e della portata d’acqua che è ormai divenuta enorme. La presenza di salti di basalto rendono inoltre la corrente non più navigabile con tranquillità. Ancora oggi per discendere il fiume bisogna “saltare” una chiusa col dislivello di ben 30 m!

Dunque nel Medioevo la navigazione appariva senza problemi fino sotto Kiev, ma dopo c’era la necessità d’avere a disposizione piloti esperti che indicassero la via più giusta o l’abilità di alare i carichi per qualche tratto o portarli a dorso d’animale (o d’uomo), dopo averli trasbordati dalle barche sulla terra! Tutto poi proseguiva verso il Mar Nero…

Era proprio necessario un viaggio così lungo e così pieno di difficoltà dal nord al sud? Valeva la spesa per l’impresa, come si suol dire? Evidentemente sì!

I traffici portavano verso i mercati europei, quasi esclusivamente, merci di altissimo valore: Schiavi di prima qualità, cera per illuminazione e per la fusione del bronzo, miele per le tavole ricche, avorio di tricheco, pellicce pregiate per gli abiti dei prelati, etc. E tutto veniva gestito da Kiev.

Tuttavia nelle mani dei Rjurikidi, i principi che governavano le terre Russe, la favola splendida di Kiev durò poco più di duecento anni. Dopodiché i centri politici mutarono e Kiev rimase un monumento nel deserto!

Quello che meraviglia lo storico è però altro. Al principio del XII sec. comincia una lenta e costante migrazione dei contadini che una volta erano appartenuti soprattutto alla tribù slava dei Poliani (quelli che poi avevano preso il nome più generico di Rus’) dalla regione kieviana verso il nordest, nel bacino del medio Volga…

Le Cronache Russe attribuiscono tutto questo a fattori, secondo noi, inconsistenti, quando, primo fra tutti, si nominano i nomadi della steppa, i quali con le loro continue razzie e devastazioni svuotavano e spopolavano i villaggi e rendevano perciò inabitabile questo hinterland kieviano.

Gli storici sovietici hanno addirittura spulciato le Cronache per contare quanti assalti all’anno questi nomadi facevano, in modo da correlare gli attacchi coi lavori agricoli e la mancata produzione con l’impossibilità di resistere e di superare queste disgrazie ricorrenti.

Tutto questo, a nostro avviso, è un’esagerazione dovuta anche al pregiudizio che solitamente ha il sedentario rispetto al pastore in movimento dietro i suoi animali. Il nostro modo di vedere invece è un altro: L’abbandono dei contadini era la più logica e più immediata reazione all’inasprimento della pressione “tributaria” dei Rjurikidi avvenuta proprio in quegli anni!!

Molti saranno i tentativi dei principi russi di ripopolare le regioni di confine e, dove prendere gente nuova, se non dalle steppe? E dunque anche i nomadi a poco a poco si russificarono…

A parte ciò, le società slave delle origini, come è noto dai documenti bizantini e da altre fonti del sec. VII, si distinguevano per la loro organizzazione “democratica”, per il loro senso di unità e per la loro indipendenza. Le sklavinìe (così erano conosciute dai greci le comunità slave che si trapiantarono in Grecia) oltre la riva sinistra del Danubio abitavano ciascuna il proprio villaggio e si univano fra loro solo per le feste religiose comuni o in caso di pericolo, ma non si ritenevano soggette a nessuno né accettavano sovrani che non fossero stati scelti da loro, salvo se erano costrette a pagare un tributo concordato per essere lasciate in pace.

Nell’ambiente della Pianura Russa in cui gli slavi provenienti dell’Europa Centrale si vennero a trovare durante le loro migrazioni verso nordest alla ricerca di terre vergini, naturalmente non incontrarono solo agricoltori autoctoni, ma anche raccoglitori dei prodotti della foresta e pescatori dei laghi e dei fiumi che in questo modo riuscivano a vivere in modo autosufficiente. E gli slavi li imitarono, ma non a tempo pieno (come si fa a far raccolta nella foresta quando nella stagione buona bisogna lavorare i campi?) pur rimanendo prevalentemente agricoltori…

Da sedentari gli slavi furono invece dei modelli da imitare per questi autoctoni. La loro visione della vita e della natura, la loro mitologia affascinava chi veniva a contatto con loro. Così anche il forte senso dell’unità famigliare, del vivere insieme ai membri parenti e del non possedere altra migliore risorsa rinnovabile che l’aiuto e l’assistenza della famiglia in tutte le occasioni della vita, era apprezzatissimo! La terra che si coltivava apparteneva a tutta la comunità e l’eventuale accumulo di ricchezza, addirittura, veniva periodicamente azzerato con i grandi festini in comune in cui tutti concorrevano con le proprie eccedenze regali ed altro in modo che alla fine si tornasse alla parità economica.

L’instaurazione di un regime autoritario di rapina come quello introdotto dai Variaghi svedesi e del concetto di vòtcina (concetto di demanio personale del knjaz – principe – della terra e di tutto ciò che esisteva sopra e dentro di essa) fu sicuramente uno choc per la società slava e per i popoli non slavizzati fino ad allora liberi nell’ambito delle loro tradizioni.

Fu un regime difficile da aaccettare durante tutto il X e l’XI sec. (e non solo nel mondo slavo) perché estraneo al concetto di società del mir (villaggio) e di conseguenza la resistenza all’imposizione con la forza del nuovo sistema fu forte e tenace.

Il primo tentativo di instaurare il regime fu fatto nel nord (Novgorod).

Qui il “potere” fu presentato come un minaccioso rapinatore, con le armi in mano disposto però a trasformarsi in protettore, purché si pagasse…

Il secondo tentativo (Kiev), volto a dominare territori molto più vasti e genti molto diverse fra di loro (non dobbiamo mai dimenticare che gli slavi nel nordest europeo erano probabilmente una maggioranza, ma che conviveva con altre realtà finniche baltiche e turche!), fu fatto con l’introduzione del Cristianesimo (988 d.C.) dove il “potere” adesso si presentava come scelto da un nuovo e più potente Dio rispetto agli dèi tradizionali.

La nuova religione avrebbe trovato terreno fertile fra gli slavi che erano molto sensibili al sentimento celebratorio e ai rituali nel loro mondo politeistico, da un lato, se, da un altro lato, non fosse identificata con la durezza del potere che si andava instaurando.

Ecco che la gente vi si oppose con tutte le proprie forze per impedire che gli antichi dèi fossero sostituiti da un Dio che imponeva tali inutili spietatezze! Anche, e soprattutto, la famiglia allargata slava resistette all’introduzione della nuova famiglia mononucleare cristiana…

Se nei villaggi lontani dai centri del potere prima dell’arrivo del Cristianesimo ci fu questa sorda e intensa lotta ideologica, nelle città il regime fu accettato più facilmente perché chi viveva qui dipendeva completamente dalle commesse di lavoro del potere stesso!

Quando però cominciarono le lotte fratricide fra i Rjurikidi per la conquista dei territori più ricchi proprio qui nel sud, Kiev si risvegliò ed è facile immaginarsi, ad esempio lo sgomento dei kieviani nel 1068 quando al Podol (la città bassa di Kiev) arrivarono i fuggiaschi dal sud con la notizia che i Polovzi (i nomadi della steppa o Cumani) erano dietro di loro.

Il Podol era indifendibile, essendo un porto e senza alcun muro o riparo, e l’unico posto dove rinserrarsi e difendersi era la città alta.

Che fare? Ci si rivolse al principe. Il principe di Kiev, Izjaslav, pur sapendo della minaccia… si rifiutò di armare la “sua” gente!

Questa è la prima brutta sorpresa per i kieviani: Invece di lottare coi cugini e coi parenti per sedersi sul trono di Kiev, quale buona occasione per un Gran Principe per mostrare il suo valore contro i nomadi?

La gente naturalmente respinge l’insensata decisione e di forza entra nel terem (palazzo-quartiere principesco) e saccheggia quel che può. E qui la seconda sorpresa: Come mai tanta ricchezza lì ammucchiata? Come mai il principe non ha neppur pensato di trattare coi Polovzi, magari facendo un dono adeguato traendolo da questo immenso tesoro, per fermarli? A peggiorare le cose, ci fu la fuga del principe di nascosto nella notte…

Non era questa l’unica rivolta.

Anche a Rostov sul medio Volga c’erano state sommosse per ragioni simili, anni prima…

Per vie traverse veniamo a sapere che pure a Novgorod ci furono rivolte contro il potere di Kiev che in quella città era rappresentato meglio dalla Chiesa e dal suo Arcivescovo che non dai bojari locali.

La situazione nel nord era però un po’ diversa. La ricchezza e il potere non erano tutti nelle mani della Chiesa e il principe mandato da Kiev era solo un capo “a stipendio” che non aveva il diritto di sfruttare a suo piacere e volere né le terre assegnategli per il suo compenso né le persone dategli in servizio, pena la rescissione immediata del contratto d’ingaggio!

Ma come cacciare l’Arcivescovo novgorodese che non ha un contratto rinnovabile con la città?

Con difficoltà riusciamo a capire dalle Cronache che c’era da tempo una sorda lotta fra i preti inviati dalla città nelle campagne e le religioni locali amministrate dai sacerdoti di sempre.

E’ vero! Questi sacerdoti “pagani” ora sono chiamati dalle fonti cristiane, diavoli o maghi perversi, ma la religione slava e degli altri popoli a loro vicini continuava a regolare, e bene, la vita della gente. Essa si conservò tanto a lungo da trasformarsi nel folclore della campagna russa fino ad oggi e creò allora una strana situazione: Quando c’è la presenza del prete cristiano, tutti a farsi il segno della croce, ma appena questo si assenta, ecco riapparire talismani e segni scaramantici e formule magiche.

Questo durerà per qualche secolo e sarà chiamata dalla storiografia russa la doppia religione (dvoeverie)…

Dovrebbe essere ora chiaro che uno stato Rus’ appare ancora un progetto-sogno-ambizione di un gruppo di parenti che si sono prefissi di far la bella vita alle spalle della gente minuta e che c’erano molte ragioni che mettevano il trono di Kiev in continua contestazione.

Attenzione! Quanto sopra, non è molto diverso dalle situazioni esistenti nelle altre regioni d’Europa nello stesso periodo!

San Vladimiro, al tempo del Battesimo di Kiev nel 988, aveva dichiarato pressoché apertamente come missione, sua e dei suoi uomini, la difesa del territorio dai “barbari” della steppa e ai suoi tempi aveva anche fatto costruire castelli fortificati nei punti strategici a questo scopo. Innanzi tutto aveva cercato di riattare il famoso Vallo Serpentino a sud di Kiev che, come un immenso mezzo anello fatto di mura di legno, circondava la zona oltre le cataratte del Dnepr, ma a questo aveva aggiunto tutta una serie di castelli costruiti sulle alture della riva sinistra, come Perejaslavl più a sud sul fiume Trubezh, affluente di sinistra.

Questa regione era stata tutt’intorno colonizzata dagli slavi fino ai fiumi Ros’, affluente di destra, e Sula, affluente di sinistra. Lungo questi fiumi, le rive rispettivamente destra e sinistra dei fiumi sopradetti, erano già la zona della steppa dei Polovzi.

Se notiamo poi che la steppa finisce proprio nel territorio dove si trova l’importantissima città di Cernìgov, possiamo renderci conto della situazione. Qui inoltre il paesaggio comincia a riempirsi di alberi e a cambiare d’aspetto diventando una foresta non più praticabile per dei cavallerizzi come i nomadi.

Molte campagne di scavi archeologici sono state condotte da queste parti e hanno rivelato la presenza delle postazioni fortificate risalenti all’epoca di san Valdimiro…

E’ stato ritrovato addirittura un porto fluviale che le Cronache nominano col nome tipico di “Guerra” (Voin’)!

Le postazioni di natura prettamente militare sono ad una distanza media l’una dall’altra, a seconda del terreno disponibile sulla riva destra del Dnepr, di ca. 15 km e una di esse è la famosa Vyticev. Questa era quella posta più in alto di tutte, tanto che da qui si riusciva a vedere Kiev in lontananza e siccome qui vicino ci sono secche e guadi per chi viene dalla riva opposta ecco che, allo scopo di evitare ogni sorpresa dalla steppa, era stato organizzato un servizio di guardianaggio ininterrotto e quando si vedevano estranei vagare sulla riva di fronte, su una delle torri più alte di Vyticev si accendeva un falò che metteva in allerta Kiev!

Dopo Vyticev c’era l’ultima fortezza che agli scavi è apparsa come un’enorme città-caserma. Questa era Belgorod. In pratica se si arrivava fin qui, Kiev era esposta agli attacchi senza quasi più speranze.

San Vladimiro inoltre, evidentemente ben consigliato dalla moglie bizantina, Anna, aveva coinvolto nella difesa della grande Kiev tutti i popoli del territorio sotto il suo governo e sappiamo dalle Cronache che prese nelle sue schiere uomini da tutte le diverse etnìe sottomesse. Non solo! Per riuscire a risolvere il problema dei figli cadetti dei signori locali rimasti senza risorse (in russo detti izgoi) e per non lasciare che questi si trasformassero in banditi e grassatori di fiume con nascondigli nelle foreste, coinvolse anche questi giovani nell’organizzazione militare della difesa del territorio.

Tutti i cittadini poi che non avessero attività particolari erano obbligati a prestar servizio nell’armata kieviana…

Il compito del principe era quindi ben chiaro e molto più ampio che nella testa dei successori di san Vladimiro. Il principe dirigeva il servizio militare e di difesa!

Aldo C. Marturano

Nato a Taranto, ha studiato nelle Università di Bari, poi di Pavia, infine di Amburgo, dove ha chiuso i suoi corsi di laurea in chimica industriale. Non ha mai lavorato come chimico e ha invece sfruttato le sue conoscenze linguistiche. Conosce infatti (parla e scrive correntemente) russo, inglese, tedesco, francese, spagnolo, ungherese e ne ha studiate un’altra decina che spera di portare a maggiore perfezione nel prossimo futuro. Si è diplomato in Lingua Russa all’Istituto Pusckin di Mosca dove ha avuto inizio la sua avventura nel Medioevo Russo. Lavorando sui mercati internazionali si era infatti appassionato al Medioevo, ma quando scoprì che non riusciva mai a sapere gran che su quello russo, colse l’occasione della tesi all’Istituto Pusckin e scelse di studiare un personaggio del Medioevo bielorusso, Santa Eufrosina di Polozk: di lì via via è entrato in quel mondo magico e nuovo.

Ha pubblicato il saggio storico in chiave divulgativa Olga La Russa, 2001 (che non è la sorella di Ignazio La Russa, per carità!), e poi per i ragazzi L’ombra dei Tartari, 2002, ovvero la saga di Alessandro Nevskii.

Altre sue opere sul Medioevo russo sono visibili nel portale delle Edizioni Atena.

Collabora attivamente con il portale Mondi Medievali curando la rubrica Medioevo Russo.

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