S. Agostino e la leggenda del bambino sulla spiaggia

Fra Filippo Lippi (1450-1460) Pietroburgo, Museo dell’Ermitage

S. Agostino e la leggenda del bambino sulla spiaggia di Maria Teresa Limonta

Aurelio Agostino d’Ippona, al secolo Sant’Agostino è nato a Tagaste il 13 novembre 354 e morto a Ippona il 28 agosto 430 era vescovo di Ippona, l’attuale Bone, in Algeria.
Conosciuto semplicemente con il nome di Sant’Agostino, è Padre, dottore e santo della Chiesa cattolica, detto anche ”Doctor Gratiae” ovvero “Dottore della Grazia”.
Il filosofo cattolico Antonio Livi ha definito San’Agostino d’Ippona «il massimo pensatore cristiano del primo millennio e certamente anche uno dei più grandi geni dell’umanità in assoluto»; il santo ha scritto moltissime opere tra cui le ‘Confessioni’ (”Confessionum libri XIII” o ”Confessiones”), un’opera autobiografica in tredici libri scritta nel 398 circa, dove Agostino rivolgendosi a Dio, narra la sua vita e in particolare la storia della sua conversione al Cristianesimo e ”La citta’ di Dio” (”De civitate Dei” o anche ”De civitate Dei contra Paganos”) opera latina in ventidue libri, in cui difende il cristianesimo dalle accuse dei pagani e analizza le questioni sociali-politiche dell’epoca; negli altri dodici libri ed esalta la salvezza dell’uomo.
Apparteneva a una famiglia del ceto medio, ma non facoltosa: il padre, Patrizio, piccolo possidente terriero e membro dei ‘curiales’ (consiglieri municipali) della città, era un pagano; di animo benevolo, anche se collerico, impetuoso e a volte infedele alla moglie Monica, madre di Agostino; proprio per influenza di quest’ultima alla lunga giungerà alla conversione, morendo cristiano verso il 371 d.C. Monica era infatti di religione cristiana, oltre a essere una donna intelligente, affettuosa e di carattere forte. Agostino ebbe anche un fratello, Navigio, che sarà a Cassiciaco in Brianza per battezzarsi, e una sorella di cui non si conosce il nome, ma della quale si sa che, rimasta vedova, diresse un monastero femminile fino alla morte .
Fin da bambino, Agostino manifestò un certo talento scolastico. Parlava e scriveva in latino e, anche se non amava molto il greco, dimostrava una certa eloquenza. Il padre, che fino a quel punto se n’era stato abbastanza in disparte, a quel punto s’impose. Desideroso di avviarlo alla carriera forense, risparmiò per molti mesi il denaro per mandarlo a studiare a Cartagine che, ricostruita dai romani, era il capoluogo della regione. Questa scelta non ebbe però, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, un grande effetto su Agostino. Visto che il padre impiegò circa un anno a raccogliere il denaro necessario, il futuro santo passò infatti i suoi 16 anni sostanzialmente a oziare a Tagaste accompagnandosi a quelle che oggi definiremmo delle cattive compagnie. La noia fece il resto.
Si legò così ad una donna, che divenne la sua compagna per 15 anni. Il nome di questa concubina, che non venne mai sposata, non viene fatto da Agostino nei suoi scritti e ci è quindi ignoto. Certo è però che da lei il futuro vescovo ebbe un figlio, nato nel 372 (quando il padre aveva appena 18 anni) e a cui fu dato nome Adeodato.
Una volta giunto a Cartagine, questo andamento si fece ancora più netto, complici le tentazioni della grande città. Come racconta in un celebre passo del secondo libro delle ‘Confessioni’, una notte con gli amici arrivò a rubare delle pere, solo per il gusto di infrangere la legge. Un gesto che a noi oggi pare abbastanza veniale, ma per il quale Agostino sentì rimorso per tutta la vita.
Nel 373 la sua ansia per la ricerca dell’assoluto lo fece approdare al Manicheismo, una religione fondata dal profeta iraniano Mani all’interno dell’Impero sasanide. Predicava un’elaborata cosmologia dualistica che descriveva la lotta tra il Bene e il Male rappresentati il primo dalla luce e dal mondo spirituale e, il secondo, dalle tenebre e dal mondo materiale; attraverso un continuo processo all’interno della storia umana, la luce viene gradualmente rimossa dal mondo materiale e restituita al mondo spirituale da cui proviene e influisce in ogni aspetto dell’esistenza e della condotta umana.
Una volta unitosi a questo gruppo, Agostino gli si dedicò con tutto l’ardore del suo carattere; ne lesse tutti i libri, adottò e difese tutte le sue idee. Il suo attivissimo proselitismo convinse anche Alipio e Romaniano, gli amici di suo padre che stavano sostenendo le spese dei suoi studi. Fu durante questo periodo manicheo che le facoltà letterarie di Agostino giunsero al loro pieno sviluppo, quando era ancora un semplice studente di Cartagine.
Nel 383 Agostino, all’età di 29 anni, cedette all’irresistibile attrazione che l’Italia aveva per lui; a causa della riluttanza della madre a separarsi da lui, dovette ricorrere a un sotterfugio e imbarcarsi con la copertura della notte. Non appena giunto a Roma, dove continuò a frequentare la comunità manichea, si ammalò gravemente. Quando guarì aprì una scuola di retorica ma, disgustato dai trucchi dei suoi alunni, che lo defraudavano spudoratamente delle loro tasse d’istruzione, fece domanda per un posto vacante come professore a Milano. Il ‘praefectus urbi’ Quinto Aurelio Simmaco l’aiutò a ottenere il posto con l’intento di contrastare la fama del vescovo Ambrogio. Dopo aver fatto visita al vescovo, però, si sentì attratto dai suoi discorsi e iniziò a seguire regolarmente le sue predicazioni.
La madre Monica intanto aveva raggiunto suo figlio a Milano e raccontò ad Agostino la storia della conversione del celebre retore neo-platonico Vittorino, a preparare la strada per la sua conversione. Questa sarebbe avvenuta all’età di 32 anni nel settembre 386, in un giardino di Milano, dove – come racconta lo stesso Agostino nelle ‘Confessioni’ – sentì la voce di una bimba o un bimbo che canterellava ”tolle lege”, ossia ”prendi e leggi”, invito che egli riferì alla Bibbia, leggendo dei passi di Paolo di Tarso.
Alcuni giorni più tardi, Agostino, mentre era malato, sfruttando le vacanze autunnali, si dimise dal suo lavoro di insegnante, andò con Monica, Adeodato, e i suoi amici a Cassiciacum, residenza di campagna di Verecondo, forse l’attuale Cassago Brianza. Lì si dedicò alla ricerca della vera filosofia che, per lui, ormai era inseparabile dal Cristianesimo: il santo ricevette il battesimo da S.Ambrogio a Milano nella Pasqua dell’anno 387, precisamente nella notte tra il sabato 24 e la domenica 25 aprile.
Vi è una leggenda molto famosa su Sant’Agostino, bella e simbolica.
Narra la storia che sant’Agostino in riva al mare meditava sul mistero della Trinità, volendolo comprendere con la forza della ragione. S’avvide allora di un bambino che con una conchiglia versava l’acqua del mare in una buca. Incuriosito dall’operazione ripetuta più e più volte, Agostino interrogò il bambino chiedendogli: «Che fai?» La risposta del fanciullo lo sorprese: «Voglio travasare il mare in questa mia buca». Sorridendo Sant’Agostino spiegò pazientemente l’impossibilità dell’intento, ma il bambino fattosi serio replicò: ”Anche a te è impossibile scandagliare con la piccolezza della tua mente l’immensità del Mistero trinitario”. E detto questo sparì.
Questo episodio miracoloso è stato studiato da moltissimi addetti ai lavori, tra i più autorevoli ricordiamo Louise Lefrancois-Pillion, che nel 1908 scrisse ”La Légende de s. Jérome” in ”Gazette des Beaux-Arts” L’episodio ha una storia millenaria, sappiamo infatti che circolava già nel XIII secolo, sotto forma di ‘exemplum” (gli exempla rappresentavano un genere letterario molto diffuso nel Medioevo), derivato da uno scritto di Cesare d’Heisterbach, abate e scrittore tedesco, ampiamente citato da Henri Irenee Marrou, storico francese, specialista in storia del cristianesimo antico. La vicenda che godrà di molta fortuna nella iconografia agostiniana riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo (cioè Cirillo di Gerusalemme, seconda meta’ V secolo d. C., teologo e vescovo di Gerusalemme) riconsiderato dallo stesso Agostino. E ricorda una rivelazione divina con queste parole: “Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?” che, tradotta, significa: “Agostino, Agostino che cosa cerchi? Pensi forse di poter mettere tutto il mare nella tua nave?” La fortuna dell’episodio attesta la sua profonda verità. Quando l’uomo si attarda a scandagliare misteri che non gli competono naufraga e annega nello stesso mare che vorrebbe solcare.
L’iconografia agostiniana legata alla Trinità trae le sue origini già dal ‘400 con Bernardino di Betto Betti (Pinturicchio) formatosi alla bottega del Perugino, nel particolare della predella di santa Maria dei Fossi dedicato alla visione di Sant’Agostino. L’artista rapprenta il santo vescovo con i tratti caratteristici della sua iconografia: il bastone pastorale ricurvo, la mitra simbolo della sua dignità episcopale, il pivale rosso con bordature dorate, tunica bianca ed abito nero (presumibilmente il saio degli agostiniani) che si intravede al di sotto della veste. In questa tela il bimbo della leggenda assume i tratti del Bambino Gesù, avvolto in una tunica indaco drappeggiata, che con in una mano tiene un cucchiaio e con l’altra indica una piccola buca nel terreno accanto a quella che sembra essere l’insenatura di un lago o un fiume circondato dalle montagne, su cui si affaccia una città circondata da ampie cinta murarie e con alcune navi attraccate al porto: probabilmente il mito della “città ideale”, modello di bellezza e perfezione. Da notare il bellissimo gioco di sguardi, quasi un fraseggio musicale, tra Gesù bambino inginocchiato a terra e Sant’Agostino, che la barba bianca e le mani aperte in segno di fiducia e accoglienza del messaggio salvifico di Nostro Signore, a significare come tutti in Cristo siamo chiamati alla pienezza di cui parla S.Paolo nella Lettera agli Efesini “radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Efesini 3, 18-19).
Anche molti altri maestri hanno prodotto opere ispirate al ‘miracolo’, ad esempio il dipinto di Filippo Lippi (1450-1460) conservato a Pietroburgo; oppure, nel ‘600, il maestro Marzio Ganassini produsse la sua opera conservata nel Chiostro della Chiesa della SS. Trinità a Viterbo. Recentemente, nel 1986, Martin Gallego ha riprodotto il miracolo dell’incontro. L’opera è custodita a Madrid.
Fonti:
– Per la biografia di Sant’Agostino, Virgilio Pacioni, ”Agostino d’Ippona. Prospettiva storica e attualità di una filosofia”, Milano, Mursia, 2004
– Antonio Livi, ”Storia Sociale della Filosofia”vol. I, pag. 242, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 2004
– ”Le confessioni”, traduzione di Carlo Vitali, Collana BUR, Milano, Rizzoli Editore, 1958; Introduzione di Christine Mohrmann, BUR, 1974-2020
– ”La Città di Dio”, traduzione e cura di Carli Carena, Roma, Città Nuova, 1982. – Torino, Einaudi, 1992.
– L.Pillion, ”La Légende de s. Jérome d’apres quelques peintures italiennes du XV siecle au Musee du Louvre” in ‘Gazette des Beaux-Arts’ ,1908. 4, p.303- 318
– H. I. Marrou,”Saint Augustin et l’ange, une légende médioévale”, in ”L”Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac”, II, 1964,

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