Sacra di San Michele e Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Sacra di San Michele e Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso di Carlotta Federica Zizzi, immagini di Mauro Piergigli

Monumento simbolo della regione Piemonte, candidata ad entrare nella lista italiana dei beni del Patrimonio Unesco, la Sacra di San Michele si erge maestosa sulla cima del monte Pirchiriano a 962 m slm, all’imbocco della Valle di Susa, vicino alle Chiuse dei Longobardi e si inserisce sia lungo la via di pellegrinaggio Francigena sia lungo la linea di culto micaelica che per 200 km collega sette luoghi di culto dedicati alla venerazione dell’Arcangelo, compresi tra Mont Saint-Michel, in Francia e Monte Sant’Angelo, in Puglia. Quest’ultima rappresenterebbe la traccia lasciata dalla spada del Santo guerriero nella lotta celeste contro il drago, il serpente antico, il diavolo o Satana, sconfitto e fatto precipitare all’Inferno, secondo quanto descritto nell’Apocalisse di San Giovanni.
Il culto dell’Arcangelo comandante delle milizie angeliche si diffuse in Oriente ad opera dell’imperatore Costantino I, che, nel 313 d.C., gli dedicò il ‘Micheleion’, un imponente santuario a Bisanzio. Alla fine del VI secolo d.C., la venerazione per San Michele raggiunse l’Europa e l’Italia, soprattutto nell’ambito dei possedimenti longobardi a Sud, dove l’Arcangelo veniva percepito come affine alle divinità guerriere di ascendenza norrena, attraverso la costruzione del santuario di San Michele nel Gargano, dove l’Arcangelo sarebbe apparso la prima volta nel 490 d.C., in un territorio allora parte del Ducato di Benevento ed oggi annoverato nel Patrimonio Unesco.
La costruzione della Sacra di San Michele si colloca tra il 983 ed il 987 d.C., grazie all’iniziativa del nobile francese Ugo di Montboissier, detto lo Scucito, come forma di voto fatta al Pontefice per ottenere l’indulgenza dei propri peccati, ma la fondazione dell’abbazia è avvolta dal mistero di antiche leggende, che si perdono nelle sabbie del tempo. Si narra che San Giovanni Vincenzo, discepolo di San Romualdo e vescovo di Ravenna, giunto in Piemonte per condurre una vita da eremita, avesse deciso di costruire il proprio luogo di culto sul Monte Caprasio, sul lato opposto del fiume Dora rispetto a quello dell’attuale sede della Sacra. Iniziati i lavori, però, il Santo si rese conto che le pietre posate di giorno, durante la notte venivano trasportate dagli angeli sulla cima del vicino Monte Porcariano ed, interpretando questo evento come un segno della manifestazione della volontà divina, decise di erigere la propria cappella secondo quanto indicato. Si dice che il nuovo luogo di culto fosse stato consacrato dagli stessi angeli e che una notte la popolazione avesse visto la cappella avvolta dalle fiamme e da qui derivarono i nomi di Sacra e di Monte Pirchiriano.
Mantenendo lo spirito dei pellegrinaggi medievali, il complesso è raggiungibile a piedi dal Castello di Sant’Ambrogio, il palazzo abbaziale costruito nel 1176 ed utilizzato dagli abati della Sacra come luogo di amministrazione della giustizia sul territorio circostante ed oggi sede di una residenza alberghiera, percorrendo l’antica mulattiera, con la quale si approda al cimitero dei monaci. Tale struttura è così chiamata perché ritenuta una cappella cimiteriale, ma oggi l’ipotesi più accreditata è che questa piccola cappella ottagonale, ancora intatta nel 1621, quando venne dedicata a Santo Stefano e la cui costruzione risulta coeva a quella della Sacra, sia una riproduzione di quella del Santo Sepolcro di Gerusalemme, anche se oggi si presenta solo come un rudere. Da qui, si giunge al complesso abbaziale, luogo di mistero e spiritualità, custodito originariamente dai monaci benedettini, poi sostituiti nel 1371 da abati commendatari scelti da casa Savoia ed attualmente in custodia ai Padri rosminiani, dopo circa due secoli di abbandono tra Seicento ed Ottocento e ci si imbatte immediatamente nelle foresterie. La foresteria grande fu costruita alla fine dell’XI secolo come zona per ospitare i pellegrini di passaggio lungo la via Francigena, ma la struttura odierna deriva da una ricostruzione dell’Ottocento-Novecento, durante la quale si pose erroneamente una merlatura di coronamento tipicamente ghibellina (a coda di rondine) e non guelfa (a parallelepipedo semplice), come in tutti gli edifici legati al papato. La foresteria piccola, sorta probabilmente come luogo di servizio, ospita oggi la biglietteria ed il bookshop.

Lo “Scalone dei Morti”

Dall’ingresso, si sale lungo un ripido scalone, noto come lo Scalone dei Morti, della metà del XII secolo, dove, fino al 1936, le nicchie ospitavano scheletri di monaci e dove oggi si possono osservare solo 5 tombe di personaggi illustri legati al monastero. Alla sommità dello Scalone, si attraversa il Portale dello Zodiaco, risalente al 1128-1130, opera del maestro Nicolao (che si firma lungo lo stipite centrale e che in questi anni lavora tra Torino e Piacenza) e raffigurante il più antico ciclo romanico dedicato allo zodiaco, lungo lo stipite destro ed alle costellazioni, lungo quello sinistro, tema cosmologico presente anche sul portale centrale del Duomo di Piacenza. In questi percorso di ascesi mistica e spirituale, sulle facce interne si osservano anche decorazioni floreali e di animali, che si ricollegano stilisticamente al tema wiligelmico del ‘tralcio abitato’, metafora del mondo, a Modena. Nell’attraversare il Portale, si incontrano un capitello con due figure umane che intrecciano le braccia e si afferrano reciprocamente i capelli, insieme ad una scritta che invita a rispettare la sacralità del luogo, uno con le sirene bifide, sulla cui rispettiva colonna due grifoni addentano la testa di un uomo baffuto, uno con le aquile, secondo una tradizione iconografica presente anche nel chiostro della Cattedrale di Sant’Orso ad Aosta, uno con più donne dai lunghi capelli i cui seni sono addentati da coppie di serpenti, simbolo della lussuria, secondo il classico motivo di età carolingia, uno con la morte di Abele ed uno con Sansone e Dalila, secondo un programma scultoreo che è un percorso narrativo, che ritroviamo anche a Piacenza e Modena.

Il Portale dello Zodiaco

Superato il Portale dello Zodiaco, si arriva ad un terrazzo aperto, che anticipa l’ingresso in chiesa e dove si possono ammirare gli archi rampanti progettati dall’architetto D’Andrade nel 1937 che furono realizzati per rafforzare una struttura in disuso e ormai decadente. Da qui, si giunge al portale d’ingresso della chiesa, progettato nei primi anni del 1000, con archi sostenuti da semicolonnine a capitelli floreali, sovrastato da un gocciolatoio, che sulla destra termina con la testa di un monaco e incorniciante una porta in legno di noce del 1826, con le armi di San Michele ed il diavolo.
L’interno della Chiesa, con le sue volte a crociera, è il risultato di più di un secolo di interventi: lo stile romanico di stampo normanno si impose con l’imponente basamento voluto dall’abate Stefano nel 1110-1120, mentre sul finire del XII secolo comparve quello di transizione di scuola lombardo-emiliana, caratterizzato dalla presenza di finestre bifore ed, infine, quello gotico piacentino della metà del XIII secolo, con la decorazione del finestrone dell’abside centrale e le due finestre delle navate minori. L’abside centrale ospita, nella cornice del finestrone, figure di profeti, l’Arcangelo Gabriele e Maria, i quattro Evangelisti con i loro simboli, mentre sul fondo della navata centrale si apre lo spazio del coro vecchio, che ospita oggi tesori pittorici (affreschi anonimi, affreschi di San Secondo da Poirino del XVI secolo e tavole di Defendente Ferrari dello stesso secolo).
Uscendo dalla chiesa, si percorrono le rovine del monastero nuovo, costruito tra il XII ed il XIV secolo e culminante nella Torre della Bell’Alda, la cui leggenda, dal forte insegnamento religioso, si diffuse nel 1500-1600. Scappata dal villaggio a valle verso il Monte in cerca di rifugio, inseguita dai soldati mercenari, Alda viene, infine, raggiunta sulla Torre, per cui decide di gettarsi nel vuoto, dopo aver raccomandato l’anima a Maria, che invia due angeli a soccorrerla. La superbia per l’accaduto induce Alda a vantarsi del favore divino ed a riproporre ai paesani il salto nel vuoto, ma viene punita, destinata a sfracellarsi sulle rocce sottostanti e lasciando come unica parte integra di sé un orecchio.

La facciata della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Scendendo verso Torino, all’altezza del piccolo centro abitato di Buttigliera Alta, immersa nel verde della via Francigena, si erge la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso (dal latino ‘rivus inversus’, corso d’acqua situato a nord rispetto alle colline moreniche), voluta dal beato conte Umberto III di Savoia, perché situata vicino ad Avigliana, suo territorio di nascita e frutto di vari interventi architettonici tra il XII ed il XV secolo, con un ultimo restauro conservativo del D’Andrade nell’Ottocento.
All’inizio dell’anno Mille, un nobile francese, Jocelin de Chateau Neauf, di ritorno dalla Terrasanta, portò nel Delfinato, a Vienne, le spoglie di Sant’Antonio abate, ricevute in dono dall’imperatore di Costantinopoli. Qui, nel 1095, nacque un ordine laicale con fini ospedalieri, noto come Ordine ospedaliero dei canonici regolari di Sant’Agostino di Sant’Antonio abate di Vienne, a cui va la paternità della fondazione di diversi complessi religiosi, tra cui la sopranominata Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, che come tale dipendeva dalla casa madre di Sant-Antoine-du-Viennois. L’ordine degli Antoniani venne inglobato in quello dei Cavalieri di Malta nel 1774 ed, infine, la proprietà del complesso passò alla Fondazione Ordine del Mauriziano, che tuttora lo gestisce.
Nel 1188, il conte Umberto III di Savoia donò agli Antoniani il terreno della Precettoria, per la costruzione di una foresteria per i pellegrini e un lazzaretto per coloro che venivano colpiti dal ‘fuoco di Sant’Antonio’.
Il complesso è costituito fondamentalmente dalla Chiesa, che nella facciata mostra influssi del gotico d’Oltralpe, dalla Sagrestia, dal Chiostro e dall’ospedale, che, come per la Chiesa, riprende il gotico fiorito.
Ghimberghe in cotto, pinnacoli e grandi rappresentazioni simboliche dell’Ordine (due grandi Tau vicino al rosone) caratterizzano l’esterno della Chiesa, mentre l’interno è un piccolo gioiello di pittura a fresco della seconda metà del Quattrocento, realizzato dal maestro torinese Jacquerio, attivo alla corte del duca Amedeo VIII di Savoia. Si osservano, nella terza cappella della navata sinistra, un ciclo pittorico dedicato alla Vergine ed a i Santi, mentre, nella navata di destra, il ciclo dedicato alla vita di San Biagio, sulla parete sinistra del presbiterio, una Madonna in trono con Santi e Profeti e su quella di destra, un ciclo dedicato a Sant’Antonio abate, con alla base Cristo in pietà tra i simboli della Passione e brani di vita contadina. Spiccano, per livello artistico, gli affreschi dell’ex sacrestia, dedicati all’Annunciazione, ai Santi Pietro e Paolo, all’orazione nell’orto ed alla salita al Calvario, dai toni fortemente realistici in termini di resa della crudeltà subita e del dolore vissuto.
L’altare risulta, inoltre, impreziosito dalla presenta un polittico della Natività di Defendente Ferrari, realizzato nel 1531 e raffigurante i Santi Rocco, Sebastiano, Antonio abate e Bernardino da Siena, con una predella di corredo relativa a scene di vita di Sant’Antonio abate.
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