
San Pietro Martire da Verona di Maurizio Penna
Pietro da Verona, o Pietro Martire, al secolo Pietro Rosini (Verona 1205 circa, Seveso 1252), è stato un predicatore appartenente all’Ordine dei domenicani ed è venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Nacque a Verona da famiglia catara. Compì i suoi studi all’Università di Bologna e decise di entrare a far parte dell’Ordine dei Frati Predicatori al tempo in cui Domenico di Guzman era vivente. È ricordato in particolare per la sua tenace opposizione alle eresie, soprattutto nei confronti di quella catara.
Nel 1232 fu inviato da Gregorio IX° in Lombardia, dove l’eresia catara era largamente radicata e praticata, con mandato e compito di reprimere l’eresia. Fece il suo ingresso nel convento di Sant’Eustorgio e pare che subito abbia fondato un’associazione di militanti detta “Società della Fede” o dei Fedeli, impegnata nella lotta contro i catari, ma di tale fondazione non vi sono riscontri storici certi. Pietro e i domenicani ottennero presto risultati grazie all’appoggio dei rappresentanti del Comune. Nel 1240 divenne priore del convento domenicano di Asti; nel 1241 in quello di Piacenza. Alla fine del 1244 fu inviato a Firenze, dove cominciò a predicare nella chiesa di Santa Maria Novella. Qui, nell’ambito delle sue iniziative per controbattere l’eresia, fondò anche una “Sacra Milizia” (o La società di Santa Maria) che ebbe il sostegno del popolo minuto, anche se di questa “fondazione” non pare vi siano riscontri storici certi.
Lo scontro inevitabile si ebbe quando Pietro e gli inquisitori domenicani ottennero la condanna degli eretici fiorentini Baroni e del podestà bergamasco che li proteggeva: secondo le Croniche dell’arcivescovo Antonino Pierozzi (Sant’Antonino da Firenze) in tale occasione avrebbero avuto luogo gli scontri cosiddetti “del Trebbio” e di “Santa Felicita”, (dal nome dei luoghi dove si svolsero e dove oggi si trovano due colonne celebrative erette alla fine del Trecento, rispettivamente la Colonna della Croce al Trebbio e la Colonna di Santa Felicita). La tradizione vuole che a Firenze Pietro abbia fondato la Venerabile Arciconfraternita della Misericordia di Firenze, anche se, pure in questo caso, non pare vi siano riscontri storici certi. Papa Innocenzo IV° nel 1251 lo nominò inquisitore per le città di Milano e Como.
Nel 1252 venne assassinato da alcuni sicari con un falcastro nella foresta di Seveso, precisamente a Barlassina (nel luogo del martirio ora è presente un piccolo altare), mentre si recava a piedi da Como a Milano. Le agiografie riportano che intinse un dito nel proprio sangue e con esso scrisse per terra la parola “Credo”, cadendo poi morto. Un suo confratello, Domenico, che si trovava insieme a lui, fu pugnalato mentre tentava di fuggire e morì dopo alcuni giorni di agonia. Uno degli attentatori, Carino Pietro da Balsamo, l’uccisore effettivo di Pietro, si pentì del gesto ed in seguito morì in fama di santità presso il convento dei domenicani di Forlì, avendo come padre spirituale il beato Giacomo Salomoni.

Anche Carino, ha oggi il titolo di beato. Il suo corpo è stato conservato fino al 1964 nella Cattedrale di Forlì e poi spostato presso la Chiesa Parrocchiale di San Martino in Balsamo (Cinisello Balsamo-MI).
Pietro venne canonizzato da papa Innocenzo IV° il 24 marzo 1253 con la bolla Magnis et crebris. Il coltello usato per ucciderlo è conservato a Seveso, presso il Santuario a lui dedicato. È sepolto nell’Arca di San Pietro Martire conservata all’interno della Basilica di Sant’Eustorgio a Milano, nella Cappella Portinari.
L’adozione del Rosario come forma popolare di preghiera da parte delle numerose Confraternite fondate da Pietro da Verona ne favorì la gran diffusione, al punto che la sua “invenzione” venne anche erroneamente attribuita a san Domenico di Guzmán.
L’Ordine dei domenicani ebbe un grande sviluppo e pretendeva che i suoi adepti fossero istruiti per cui molti si laureavano presso le Università italiane di Bologna, Padova, Pavia, Pisa e Napoli.
A differenza di quanto predicava San Francesco che vedeva nel sapere la possibilità di migliorare l’umanità, ma anche quella di inquinarla, l’Ordine dei francescani si adeguò ai domenicani privilegiando la teologia e la filosofia.
Che frate Pietro con la sua cultura teologica ed il suo carisma avesse una grande eloquenza era indiscutibile. Ciò che gli veniva riconosciuto anche dagli eretici stessi. Quale Capo dell’Inquisizione la sua missione contro i catari veniva svolta con grande, forse troppa, veemenza e accanimento che voleva trasmettere anche ai suoi confratelli. I suoi metodi effettuati con l’ausilio della tortura come per la maggior parte degli inquisitori potevano essere alquanto persuasivi come di seguito riportato.
Nel 1252 Pietro si trasferì a Como.
Fece agguantare molte persone per sottoporli a giusto processo. Tra i tanti anche un Rusconi, del quale frequentava la casa, con l’accusa di proteggere dei Patarini. Il Rusconi, famiglia nobile della città, non fu lasciato solo nelle carceri. In pochi mesi le prigioni traboccavano d’eretici. L’aiutante di Pietro, Domenico, iniziò a comprendere che il limite era passato.
Troppe persone brutalmente torturate. Troppi eretici morti per mano del predicatore veronese. I consigli del giovane frate caddero nel vuoto. Non sapremo mai quale fu il motivo scatenante della ribellione popolare. Come potremmo conoscerlo ? Ritengo che il narrare l’ultimo giorno di attività di Pietro possa aiutarci a comprendere.
Giorno 5 aprile del 1252.
Giorno triste e lugubre. Giorno di seduta inquisitoriale. Giorno di tortura. Domenico si reca nella stanza di Pietro per ricevere gli ordini della giornata. E’ preoccupato per le voci che si rincorrono nei tribunali dell’inquisizione. Vogliono fermare Pietro. Vogliono fermare lo spargimento di sangue. L’aiutante sussurra:
“Monsignore il serpente che striscia sulla terra talvolta morde il leone, che è il re della foresta. Ogni nemico, anche piccolo, è da temersi e, per abbatterlo, è necessario non farsi attaccare.”
Pietro a quelle parole reagisce:
“Siamo noi così deboli che dobbiamo tremare dinanzi ad alcuni ebrei e marrani ribelli?”
Domenico:
“La prudenza è la madre della sicurezza, vegliamo Monsignore, il nemico è vicino, prepariamoci a combatterlo”.
Pietro fissa l’interlocutore. Ritiene le parole poca cosa.
“La figlia del Rusconi è stata imprigionata? Allora la farò inchinare al mio volere”. La reazione dell’aiutante spiazza il frate: “Maria non è una donna come le altre!”
Pietro pensa. Reagisce dimenticando le parole appena udite.
“Sono con voi ragazzo, andiamo non facciamo attendere i tormentatori, questi bravi ausiliari. Quanti sono oggi alla tortura?” “Molti” rispose l’aiutante.
Giunsero alla prigione, i corridoi erano pieni. I tormentatori frustavano sei prigionieri, fra i quali vi erano tre donne. Questi poveretti erano nudi sino alla cintura. Nessuna distinzione tra uomini e donne. Una, tra le donne, ha un bavaglio in bocca. Ogni lamento era inibito ai prigionieri. Quando qualche infelice mandava qualche gemito gli si metteva il bavaglio in bocca per molte ore. Pietro ed il suo preferito passarono, rapidamente, alla camera della tortura. La prima, ma sarà anche l’ultima, ad essere ascoltata era una giovane donna, cui era stato sottratto il figlio di pochi giorni, per una semplice accusa di amicizia eretica. La donna fu assoggettata prima al tratto di corda. Quando ricadde, gambe divaricate, sul cavalletto di legno posto sotto di lei non proferì lamento.

La donna non volle confessare. Si decise per la tortura dell’acqua.
I tormentatori misero un pannolino inzuppato d’acqua sul viso della povera ragazza. L’acqua filtrava goccia a goccia attraverso il pannolino bagnato e, lentamente, si insinuava nella gola e nel naso. La respirazione della vittima diveniva sempre più difficile.
Le soluzioni erano due: sospendere la seduta o procurare la morte della torturata. Pietro non si fermò. Domenico, mani sul volto, per non vedere quell’orribile scena, si permise di affiancare l’inquisitore: “Monsignore questa donna non può soffrire ulteriormente senza morire.” Pietro, dopo attenta analisi, tornò sulla propria decisione e disse: “si sciolga l’accusata, la tortura è sospesa sino a nuovo ordine”. Passarono pochi istanti e Domenico, dopo una rapida visita sul corpo della ragazza, disse: “Monsignore la tortura è finita, questa donna è morta.”
Domenico, sconvolto da quella visione, rivolgendosi a Pietro:
“E se questa donna fosse innocente?”
“In questo caso essa è in cielo, perché deplorare la sua morte?”.
La seduta venne sospesa. Lasciarono, per l’ultima volta, la stanza del tormento. Si indirizzarono alle proprie celle. L’indomani si dovevano alzare presto per recarsi a Milano dove però non arriveranno mai…
Un testo, difficile da trovare, ci racconta nei particolari la vita di San Pietro Martire anche nei suoi lati più oscuri.
Il testo citato è: Ristretto della vita del glorioso Martire San Pietro dell’Ordine dei Predicatori. Protettore della città di Cremona, Napoli etc. Consacrato al Merito dell’Ill.Mo Sig. D. Bartolomeo Rota – Patrizio cremonese e Marchese di Colle Forte nel Regno di Napoli. In Cremona nella Stamperia di Pietro Ricchini – con licenza dè Superiori – Anno 1720.
La fonte cita Pietro presso il convento di San Martino a Venezia, quale frate in ordine di Santità per le sue visioni in cella di santi e sante Martiri. Pietro però non godeva della simpatia di tutti i confratelli. Evidentemente i conventi non erano esenti dall’invidia ragion per cui tre frati si fermarono ad origliare fuori della cella di Pietro che pensavano parlasse con le tre vergini cristiane Caterina, Agnese e Cecilia. Resisi conto che trattavasi di tre donne fatte entrare di nascosto nel convento da Pietro riferirono il tutto al Frate Priore. Pietro implorando il perdono ammise l’accaduto per cui il Priore si vide costretto ad esiliarlo nel convento di Jesi (AN).
Ora volendo analizzare sotto l’aspetto psicologico la figura di San Pietro Martire citeremo alcuni aspetti della sua vita.
Dal Dialogo della Divina Provvidenza di Santa Caterina da Siena
[Gesù parla a Caterina]
«Guardami Pietro, vergine e martire, che col suo sangue dié lume nelle tenebre di molte eresie, e tanto le ebbe in odio, che si dispose a lasciarvi la vita. Finché visse, il suo esercizio non era altro che pregare, predicare, disputare con gli eretici e confessare, annunziando la verità, e dilatando la fede senza timore. Poiché, non solo la confessò nella sua vita, ma fino all’ultimo della vita. Onde, nell’estremo della morte, venendogli meno la voce e l’inchiostro, dopo aver ricevuto il colpo, intinse il dito nel suo sangue. Non ha la carta questo glorioso martire, e perciò si inchina e scrive in terra, confessando la fede, il “Credo in Deum”. Il cuore suo ardeva nella fornace della mia carità perciò non allentò il passo, voltando il capo addietro. Sapeva di dover morire, poiché prima che morisse io gli rivelai la sua morte ma, come vero cavaliere, senza timore servile, esce fuori sul campo di battaglia». Si parla che Pietro agisse con odio mentre un vero cristiano non odia neanche il nemico.
Pietro scrive ad una suora di clausura sua amica
«Tu sei salita sul monte del sacrificio, io indugio ancora nella valle delle preoccupazioni, e spendo tutta la mia vita per gli altri. Tu, prendendo le ali della contemplazione, ti innalzi oltre tutte queste cose. Io sono ancora trattenuto dal glutine di preoccupazioni esterne. Povero me, il mio esilio è stato prolungato! Chi mi darà ali come di colomba, così da volare e trovare riposo? In tutte le cose ho cercato pace. in tutte le cose ho trovato fatica e dolore. Non c’è riposo se non nell’eredità dei santi, della quale è scritto: “Questo è il mio riposo, nei secoli dei secoli”. Io, invece, alla libertà dei figli di Dio, come vorrei e come desidero, non riesco a volgere lo sguardo; nel cammino verso di essa non ho tregua. Aiutami nelle tue preghiere, sorella carissima. I miei giorni sono trascorsi, come nelle parole di Giobbe. Dalla via che ho intrapreso non farò ritorno».
Un vero cristiano anche nelle difficoltà e nel dolore trova conforto nella fede. Le parole di Pietro sono quelle di una persona sofferente nel cuore, nell’anima e nelle sue preoccupazioni per cui cerca invano pace e riposo. Questo conflitto interiore è sintomo di una persona combattuta che non ha ancora trovato la sua strada che sarà quella di infliggere dolore e martirio ai nemici della Chiesa. E’ strano che nella causa di beatificazione e santificazione non abbiano tenuto conto di questa macchia che in genere accompagna la carriera di un militare come di un sacerdote per tutta la vita.
Il culto di San Pietro Martire

Un’anno dopo la sua morte Pietro venne santificato. Il suo culto si sviluppò soprattutto a Verona sua città natale e nel triangolo tra Como-Milano-Lodi-Cremona dove esercitò il suo apostolato. Egli nei numerosi dipinto viene sempre raffigurato con la “forcola” piantata sul cranio ed un coltello sul cuore.
A Verona
San Pietro Martire nacque nel quartiere di Santo Stefano. Sul colle di San Pietro (apostolo) è stata creata la Chiesa di San Pietro al Castello a lui dedicata. La Chiesa è stata però abbattuta nel periodo napoleonico. Poco distante dalle chiese di Santo Stefano e San Giorgio in Braida sorge una chiesa sconsacrata dedicata a San Pietro Martire. In Santo Stefano un dipinto di Domenico Brusasorzi lo rappresenta insieme ad altri Santi. Nella chiesa di Santa Maria in Organo già dei frati benedettini e poi olivetani è dipinto in una cappella gentilizia. Lo troviamo ancora nella chiesa San Nazario e Celso sempre già dei frati benedettini. Gli scaligeri lo vollero presente nella Chiesa di Santa Anastasia e adiacente gli fu edificata una chiesa già dei frati domenicani con adiacente un Liceo Convitto, soppressa anch’essa durante la dominazione napoleonica.
I domenicani hanno eretto chiese un po in tutta Italia dedicandole a San Pietro martire, patrono di Como. Ciò in Lombardia: a Milano, a Seveso, a Pavia, a Cremona, a Brescia, a Bergamo. Quindi a Vicenza, a Murano, a Napoli, a Matera, ad Ancona.
San Pietro Martire da Verona è copatrono della città di Verona insieme a San Zeno. Quindi dopo la figura mite e paterna di San Zeno, proveniente dalla Mauritania, ed ottavo vescovo di Verona, (cui sono riconosciuti dei miracoli) troviamo un Santo diventato tale per l’impegno instancabile e assiduo con il quale come Inquisitore, ha combattuto i catari.
Pietro nasce a Verona in una data che non conosciamo, tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo. Mentre è studente a Bologna conosce i frati Predicatori, che studiavano con lui all’università: la tradizione vuole che abbia preso l’abito proprio da san Domenico. Durante i trent’anni trascorsi nell’Ordine Pietro è impegnato su molti fronti: diviene priore ad Asti, Piacenza e Como. Fonda almeno un monastero femminile, forse due, a Milano. E’ in stretto contatto con le nuove sperimentazioni di vita religiosa del suo tempo: le confraternite di laici, il nascente Ordine dei Servi di Maria, le comunità degli Umiliati, nelle quali si trovavano uomini e donne che si davano alla vita contemplativa, ma anche chierici e laici coniugati. È attivo anche nella pacificazione tra le diverse fazioni che si combattono nei Comuni. Soprattutto, fra Pietro da Verona è un grande predicatore, come ci testimonia un suo contemporaneo: «Mi disse fra Pasquale, che per lungo tempo ebbe familiarità con fra Pietro, che quando durante la predicazione parlava della fede, tutti gli altri predicatori in confronto a lui sembravano muti, privi di lingua, balbuzienti».
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