Santa Bona e i pellegrinaggi al femminile

di Anna Benvenuti.

Dalle origini dell’era cristiana sullo sfondo della Terra Promessa si era venuto progressivamente disegnando il palinsesto della santità femminile: nelle coordinate storico-geografiche dei luoghi resi santi dalla memoria scritturale non solo si erano inscritti modelli muliebri vetero e neotestamentari, a cominciare da quelli della Vergine e del Cristo, prototipi di tutte le rappresentazioni future, ma anche molte figure eroiche di donne affidate alla tradizione scritta dei martirologi.

L’epoca lontana dei testimoni della fede aveva consegnato alla liturgia più o meno oscuri nomi femminili ai quali si sarebbero aggiunti quelli delle più famose protagoniste dell’epopea cristiana delle origini della Chiesa, dalla penitente Pelagia a Tecla di Seleucia, fino, più tardi, alle pie matrone trascinate in Palestina dal magistero spirituale di Gerolamo. Ai loro esempi si assommavano quelli delle prime monache ed eremite, figure il cui fascino doveva riverberare anche sui secoli bassi del medioevo, quando i volgarizzatori dell’avventura dei Padri del deserto avrebbero contribuito a rendere familiare alla cultura cittadina del mondo comunale i deserti silenziosi e bruciati dal sole dove prendevano corpo e colore le larve remote di Maria Egiziaca e di Zosima, dell’abate Pfanuzio e della nipote-discepola Maria, di Zoe meretrice in Betlemme, di Taide e delle altre peccatrici redente dalla inconfondibile «griffe» degli anacoreti.

Nel periodo in cui le solitudini della Tebaide avevano attratto devote nobildonne nella sequela del nudum Christum, sulla via segnata dai fondatori dell’ascesi eremitica, era iniziata anche l’inventio dei luoghi santi compiuta attraverso il filtro della lettera scritturale: si cominciava allora a tratteggiare quella «topografia leggendaria» della Terrasanta via via arricchita dagli Apocrifi e destinata a raggiungere la sua apoteosi in età crociata. Nonostante Gregorio di Nissa, con un buon senso che farà epoca, invitasse almeno le donne ad astenersi dai rischi del pellegrinaggio, creando i presupposti del più noto adagio in virtù del quale qui multo peregrinantur rare santificantur, altri padri del pensiero cristiano, come Teodoreto di Ciro, tramandarono il typus della penitente e della pellegrina quale «donna forte», capace di riscattare l’infirmitas del suo stato attraverso la fatica edificante dell’itinerarium.

Questo modello sarebbe sopravvissuto al lungo silenzio delle fonti altomedievali sul pellegrinaggio tornando a riemergere nella rappresentazione della santità dei secoli centrali del medioevo, quando, stando a Raoul Glaber, l’umanità intera sembrò volersi mettere in cammino alla volta di Gerusalemme: le ancora sporadiche testimonianze rinviano per lo più all’esperienza del viaggio devozionale compiuto da nobili signore o da qualche penitente vincolata alla sentenza espiatoria del pellegrinaggio; dapprima incidentali, nelle narrazioni agiografiche, poi sempre più approfonditi, i riferimenti a questa pratica devota sarebbero divenuti comuni nel corso del XII secolo, epoca in cui anche le donne, fino ad allora così poco visibili, sarebbero state favorite dalla creazione di strutture specializzate per l’accoglienza ai pellegrini specie nei lontani distretti d’Oltremare.

La fortuna femminile dell’iter devotionis in questo periodo va in buona parte letta sullo scorcio di una crescente mobilità sociale e commerciale sostenuta dal perfezionarsi del sistema viario, come è evidente nel caso della Toscana attraversata dalla Francigena: qui molte donne avviarono il loro percorso spirituale con un pellegrinaggio spesso conclusosi, come per Verdiana da Castelfiorentino o Cristiana a Santa Croce, con la reclusione volontaria; altre, come Bona, nella Pisa del XII secolo, una volta chiusa l’esperienza itinerante, avrebbero promosso strutture di accoglienza sui percorsi di pellegrinaggio più vicini, dedicandosi come Ubaldesca, sempre a Pisa, o Diana a Santa Maria a Monte, agli umili servizi dell’assistenza.

Se le donne dei secoli XII e XIII poterono affrontare, da sole o in gruppo, la difficile e rischiosa esperienza del viaggio – una esperienza scoraggiata dalla chiesa e dal «senso comune» di una cultura misogina che troverà ancora largo spazio tra i predicatori del Tre-Quattrocento – la stanzialità culturale indotta dal sistema urbano ed il disciplinamento complessivo della religio femminile in corso di applicazione nel XIV secolo dovevano lentamente portare a quella svalutazione concettuale del viaggio, di devozione o meno, che caratterizzerà il tardo medioevo. Nelle pagine delle mistiche troveremo efficacemente riassunto, in termini di altissima tensione spirituale, il cambiamento di segno avvenuto nella metafora del pellegrinare, ormai non più concentrata sulla Jerusalem terrena o sul contatto corporeo coi luoghi della memoria cristiana, ma protesa, attraverso le tecniche dell’imitatio e della immedesimazione, verso il contatto diretto della mente col Cristo.

La scheda

Bona nasce nel 1156 a Pisa. A 14 anni compie il suo primo viaggio in Terrasanta. Torna nel 1174. Una visione mistica la induce ad unirsi ad un gruppo di pellegrini in partenza per il santuario di Santiago di Compostela. Bona, per le sue doti pratiche e spirituali, diventa il riferimento materiale e morale di quei pellegrini. saranno altre otto le occasioni in cui Bona sarà guida dei pellegrini nel percorso verso Santiago. Vicina ai 50 anni, stanca e malata, torna a Pisa. Dopo due anni decide di compiere da sola l’ennesimo pellegrinaggio verso Santiago. Sarà possibile ma solo grazie a un miracolo, accompagnata «in volo» dallo stesso San Giacomo (Santiago). Tornerà con in mano un pugno di conchiglie di Santiago, la prova di quell’evento. Nel 1962 Papa Giovanni XXIII la volle patrona delle hostess. Le sue spoglie sono conservate nella chiesa di San Martino di Pisa.

Nel 2002, con l’approvazione ecclesiastica della diocesi di Pisa, è nata la Compagnia di Santa Bona, un’associazione privata di fedeli che si caratterizza come centro di vita associativa, caritativa, autonoma, religiosa, apartitica, a carattere volontario. Non persegue finalità di lucro. Per informazioni: 050-49568/560932.

Anna Benvenuti

Professore ordinario di Storia medievale Dipartimento di Studi Storici e Geografici dell’Università di Firenze. Specializzata nello studio delle testimonianze agiografiche e nella elaborazione dei modelli parenetici volti al disciplinamento sociale, ha fatto di queste ricerche uno strumento per indagare la storia delle rappresentazioni culturali e dei segni con cui la società medievale esprime la propria identità; in questa prospettiva ha studiato la ‘costruzione’ di uno specifico femminile della santità in età tardomedievale, orientando le sue ricerche anche sugli aspetti civici del culto dei santi, identificando nelle fluttuazioni culturali e nel divenire delle rappresentazioni agiografiche la stratificazione delle successive identità culturali e sociopolitiche della città. Interessata tout-court al rapporto storia/memoria/leggenda sta attualmente indagando sul complesso dei simboli di appartenenza della civitas.

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