Santa Caterina d’Alessandria a Galatina (LE)

Galatina (01)Ora come allora, un lungo viaggio per Santa Caterina [di Alessandria (d’Egitto)] Testo e immagini di Francesco Venturini

Ben pochi, tra i Milanesi che d’estate migrano in Salento, e formano greggia fitta su ognuna delle poche spiagge sabbiose, perché neppure apprezzano i colori di quel mare dove tocca le rocce e non si capisce cosa li abbia spinti fin lì che starebbero tanto bene a Rimini, ben pochi rinunciano a mezza giornata di rosolatura (delle meningi) per fare la conoscenza delle meraviglie che non stanno sul mare ma ugualmente assai giovano alla salute non solo delle meningi ma anche dell’anima, chi l’avesse. Come la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina (Lecce).

Né fa mestieri un fervente interesse per le cose dell’arte, che pure non guasta, bastando ad attizzare focose curiosità le vicende, storiche come leggendarie, che la chiesa racconta col suo sfarzoso esistere.

La bella facciata romanica (foto n. 1) e i suoi romanici decori (si veda la lunetta del portale centrale con la sirena bicaudata al centro dell’arco, giusto sopra la testa del Cristo, foto n. 2) sembrano giustificare la datazione proposta dal Cutolo alla metà del Duecento, piuttosto che al secondo Trecento come sostenuto dai più. Con tutti i dubbi del caso, che è particolarmente intricato, come spiega il dotto autore al link cui si rimanda.

Gotica si palesa invece l’architettura interna (foto 3), pur con i bassi arconi di passaggio tra le navate, che sempre acuti sono (foto 4). Quasi completamene cancellati gli elementi bizantini, altro strato della torta multiculturale che i Normanni farcirono di stilemi arditi e di credenze anche precristiane, come il Rex Arturus del mosaico di Otranto, a cavallo di un caprone.

Veramente sontuosi gli affreschi, per estensione, fattura e complessivo stato di conservazione (foto 5). La vedovata contessa d’Enghien, che fu poi regina di Napoli in seconde nozze (per poco), fece ridipingere completamente pareti e volte della navata centrale, nei primi decenni del Quattrocento, con un ambizioso ciclo dalla Genesi all’Apocalisse. Così ambizioso che qualche angolino rimane allo stato di sinopia (foto 6). Senza dimenticare il presbiterio e le altre navate, dove troviamo il martirio di Santa Caterina, la storia della Madonna, San Giorgio, e molto altro (foto 7).

Gli affreschi sorprendono anche per la vivacità delle scene, che rivela una sensibilità popolare entro l’assimilata maestria giottesca (la contessa poi regina chiamò pittori dalla Toscana, perché voleva il meglio per onorare la memoria del marito):

foto 8 – Eden e tentazione. La tentazione, si sa, è donna.

foto 9 – La strage degli innocenti. Una rappresentazione di bestiale e plebea violenza (endiadi, soprattutto a quei tempi). Di là da venire la gelida efferatezza di Guido Reni lodata dal Marino.

foto 10 – L’esercito dell’Anticristo, in armature d’argento, perché l’Anticristo non è tirchio, sospinto dal diavolo e dal falso profeta, dalla cui bocca escono rospi mendaci.

foto 11 – Una meretrice di Babilonia ingannevolmente virginale in bianco, a cavallo della bestia eptocefala e leopardata, perché anche le macchie del leopardo simboleggiano l’inganno. Chi non si lascerebbe ingannare con gioia?

foto 12 – Il martirio di Santa Caterina. O meglio: il primo tentativo, fallito. È da sapere che il martirio, tra la fine del terzo secolo e la fine del quarto, non era facile a ottenersi. Bisognerebbe chiedere a Santa Margherita di Antiochia, coetanea (in tutti i sensi) di Santa Caterina di Alessandria, a San Sebastiano, e a tanti altri. Come San Giorgio (foto 13, nella navata destra), per il quale la Legenda Aurea attesta cinque supplizi (fino a dieci, secondo altre versioni): il primo affidato, come per Caterina, alla ruota dentata, che ovviamente si ruppe. Poi un crescendo di strumenti sempre più fantasiosi, dai chiodi piantati nel cranio al pentolone di piombo fuso allo scorticamento con lo staffile etc. Il Santo non moriva. Ovvero, secondo altre versioni, moriva e ogni volta risorgeva. Altro argomento sarebbe l’estrema scarsità di raffigurazioni del Megalomartire nel momento supremo. Nei momenti supremi.

Come che sia, l’affresco, e torniamo alla foto 12, ci spiega perché la malvagia ruota si rompesse. Vediamo infatti gli angeli sabotatori armati d’ascia. Non intervennero a fermare la spada, che risultava in ogni caso lo strumento risolutivo.

foto 14 – Una scena più gentile, di grazia e spirito quasi rinascimentali: l’incoronazione della Madonna in Paradiso, celebrata dal coro degli angeli musicanti.

foto 15 – Una delle immagini più rare nella pittura di ogni tempo e luogo. Si tratta della Santissima Trinità, antropomorfa e tricefala. Non doveva essere tanto rara, un tempo, se capita di trovarla sulle Prealpi piemontesi, nella chiesa di Santa Maria Assunta ad Armeno (Novara). Ma il Concilio di Trento la proibì nel modo più rigoroso, quale fonte di errori teologici. Seguì una meticolosa, capillare opera di cancellazione. Quella di Armeno, pure del primo Quattrocento, si è salvata perché, prima del Concilio, qualcuno pensò bene di coprirla con una mano di gesso. Probabilmente era fonte anche di errori gastrointestinali (foto 16). Coperta da altri affreschi, è stata recuperata in occasione di restauri recenti.

Grazie al cielo, nessuno ha pensato di coprire la figura di Galatina. Carlo Borromeo non passò mai di qui, e ne rendiamo altre grazie all’Altissimo. Anche perché questa è tanto meno grossolana e spaventevole, e permette di riconoscere le Persone. Lo Spirito dovrebbe essere quello senza barba.

Sopraffatti da tante meraviglie, ci concederemo qualche minuto di rilassato deambulare nel contiguo chiostro dei Frati Francescani, che da secoli custodiscono il chiostro e il convento e la chiesa. E subito l’attenzione si ridesta. Le pareti, anche qui, sono coperte di affreschi, dipinti tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo. I tempi nuovi, i tempi dei Papi severi, degli Inquisitori non meno severi, e dei predicatori sciamanti per ogni zolla di più deserta gleba, vollero esempi commossi di miracoli e di martirii freschi, piuttosto che infide sollecitazioni teologiche o supplizi stantii. Il chiostro è pieno di questa rinnovellata pietà. Ogni scena è postillata, a completare la persuasione, da una didascalia pregevolmente stesa in ottave un poco tassiane. Le crudeli esigenze di spazio consigliano di trascegliere un solo esempio, lasciando gli altri al fortunato visitatore:

foto 17 – Un francescano che perseguì il martirio con ogni suo anelito

foto 18 – La narrazione verbale: “Nel luogo ove l’eterno in croce spira/ per man di gente ebrea nel mal nudrita/ il Giannipero* eroe si fe’ la pira/ per abrugiarsi ed eternar sua vita./ Si butta nelle fiamme in mezzo all’ira/ col martire desio ch’a Dio l’invita/ arde costante nell’ardor felice/ per risorgere in ciel nova fenice.”

*Giannipero probabilmente è il cognome del sullodato eroe. Esiste almeno una via Giannipero nelle vicinanze, ad Alliste (Lecce).

Edificati a dovere, siamo pronti per il piccolo museo, al quale si accede dal chiostro. Piccolo ma ricco di altre meraviglie:

foto 19 – Da qui ogni cosa ebbe il suo cominciamento. La chiesa e gli affreschi e il convento e il chiostro. Narrano le istorie che Raimondello Orsini, Duca Conte ma poi anche Principe e Gran Conestabile del Regno (di Napoli), marito di Maria d’Enghien contessa e principessa e poi da rimaritata vedova regina, si recò, di ritorno da tardive crociate, fin sul monte Sinai, per venerare la salma della martire Caterina, colà trasportata dagli angeli mille anni addietro e più. Chinatosi col pretesto versuto di baciare la mano (una delle due), ne asportò un dito con rapido morso. Tornato in patria, edificò la chiesa, così che la reliquia avesse degna dimora.

foto 20 – Il dito di San Pantaleo(ne), che sembra fare da pendant, non risulta bottino di furto con destrezza, ma si raccomanda anch’esso per la pregevole fattura della custodia e per l’icasticità del gesto.

foto 21 – Da altra sottrazione, in questo caso imperiosa (Raimondello era già Principe), proviene la mammella di Santa Agata, martire assai cara a queste latitudini. Il popolo e il clero di Gallipoli, della sottrazione inconsolabili, tuttavia reclamano il maltolto.

foto 22 – Dalla dulìa (venerazione) alla latrìa (adorazione). L’ostensorio raggiato sorretto dall’angelo manifesta sensibilmente la superiore valenza del contenuto.

Altro ancora si trova in questo straordinario museo, e caldamente quanto possiamo ne raccomandiamo la visita, preceduta, qualora si volesse giungere preparati, da consone letture (Dec. VI, 10).

cliccare sulle immagini per ingrandirle

Francesco Venturini
Nato nel 1950. Per molti lunghi anni docente di materie letterarie in un liceo. Ora dedito a interessi vari e per la maggior parte innocenti, come l’esplorazione di chiese romaniche, delle quali parlo ai miei coetanei nelle Unitre.
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