Spazi pubblici e comune a Saluzzo fra Due e Quattrocento

di Riccardo Rao

Articolo pubblicato in “Saluzzo: sulle tracce degli antichi castelli. Dalla ricerca alla divulgazione“, a cura di R. Comba, E. Lusso, R. Rao, Società per gli Studi Storici, Archeologici ed Artistici della Provincia di Cuneo, Cuneo 2011.

I palazzi comunali in Piemonte

La vasta letteratura sui palazzi comunali in Italia tende a rimarcare la capacità dei governi municipali di modellare la geografia degli spazi pubblici urbani[1]. La costruzione di sedi del potere civico in grado di caratterizzare la percezione che gli uomini avevano della città appare come una delle espressioni più mature dell’autocoscienza e della solidità istituzionale dei comuni cittadini[2]. Simili ricostruzioni si fondano, tuttavia, soprattutto su esempi provenienti dalla Lombardia e dalla Toscana comunale, lasciando per lo più in ombra le esperienze delle aree dove il movimento municipale fu meno vivace. In uno dei rari casi in cui tale tendenza è stata disattesa, nello studio di Rinaldo Comba sul palazzo civico di Torino, risaltano sviluppi peculiari – caratterizzati da una minore pregnanza del broletto nel paesaggio urbano – a stento conciliabili con gli orientamenti noti per comuni quali Milano, Piacenza e Pisa[3]. Lo stesso autore, del resto, in un altro intervento sul tema, ha enucleato una strutturale diversità fra l’evoluzione dei comuni maggiori lombardi e numerose realtà piemontesi, i cui sviluppi si sarebbero ricongiunti soltanto fra Tre e Quattrocento, quando anche le vivaci città del Nord Italia importarono un’edilizia signorile che attingeva largamente “a modelli di consolidamento signorile e di tutela dei nuclei urbani e paraurbani largamente diffusi da almeno un secolo nelle aree in cui il movimento comunale era stato meno robusto e impetuoso e solide dinastie di antica tradizione militare – dai marchesi di Saluzzo e di Monferrato ai conti di Savoia – si erano trovate a disciplinare e inquadrare un inquieto mondo di piccole città e di grossi borghi con spiccate vocazioni urbane”[4].

Saluzzo_antico_palazzo_comunale
Palazzo Comunale di Saluzzo

Se in tutto il Piemonte occidentale, da Torino a Cuneo, le sedi del potere municipale non conseguirono i fasti lombardi e toscani e furono condizionate nel loro sviluppo dal precoce confronto, fin dalla seconda metà del Duecento, con le durevoli dominazioni dell’aristocrazia territoriale, l’edificazione del palazzo comunale di Saluzzo, attorno agli anni Settanta del Trecento, rappresenta una situazione limite rispetto a tali realtà, dove pure, nel corso del XIII secolo, i comuni ebbero ampi margini di autonomia ed eressero propri broletti[5]. Il ritorno allo studio di un tema frequentato come la costruzione del palazzo comunale di Saluzzo, già affrontato nelle ricerche di Emma Boidi, Marco Piccat, Giorgio Rossi e Silvia Beltramo, è quindi giustificato soprattutto dalla volontà di verificare il parallelo fra l’evoluzione istituzionale di un comune assai debole e la sua proiezione urbanistica[6].

Occorre precisare che la tardiva attestazione di un palazzo comunale non dimostra da sola una condizione di fragilità istituzionale, soprattutto nel Piemonte meridionale, dove la costruzione degli edifici municipali non assunse un carattere programmatico come in Lombardia. Ad Asti, né la precoce costruzione di una casa dei consoli nel 1161, probabilmente rinnovata in domus comunis nel 1188, né le iniziative edilizie che condussero alla costruzione del palacium novum nel 1251 implicarono l’abbandono della chiesa cattedrale per le riunioni della credenza[7]. Risulta ancor più eclatante la situazione di Alba: il comune non si dotò di un palazzo civico fino al XV secolo (e peraltro già nel 1450 la domus comunis risultava in rovina)[8]: il governo municipale aveva conferito le funzioni e i valori civici connessi ai broletti alla cattedrale di San Lorenzo, dove, ancora nel Trecento, si riunivano i consigli cittadini. Ciò non toglie che anche ad Alba esistessero alcuni spazi di matrice comunale: fin dai primi decenni del Duecento è testimoniato un “hospicium potestatis super porticum Baduinorum”, la casa in cui alloggiava il podestà[9]. Dalla seconda dominazione angioina è inoltre documentato un non meglio precisato luogo dove si esercitava la giustizia (“in loco iuris dito”)[10].

Palazzo e Torre ddi Cherasco
Palazzo e Torre di Cherasco

Non distante da Saluzzo, dalla metà del Duecento i più vivaci borghi dell’area espressero un’edilizia civica in grado di modificare il tessuto urbanistico: a Mondovì una domus comunis esiste fin dai primi anni della rifondazione del borgo, dal 1233[11]. A Cherasco la torre e il palazzo che dominano la piazza centrale dell’abitato furono forse costruiti nella seconda metà del Duecento o nei primi decenni del secolo successivo[12]. A Savigliano, a Cuneo e a Fossano, dopo le prime precoci menzioni di domus comunis, le attestazioni di palacia comunis a partire dall’ultimo quarto del XIII secolo sembrano suggerire un progetto di ampliamento delle sedi del potere comunale. A Savigliano, nel 1227 è documentata la domus comunis, a due piani, porticata e ubicata nella platea: forse anche a causa del silenzio delle scritture comunali durante l’ultimo quarto del Duecento, solo durante la seconda dominazione angioina compare un palacium[13]. A Cuneo la domus comunis, sotto il cui portico si esercitava probabilmente la giustizia, fu eretta forse già all’inizio degli anni Quaranta, probabilmente presso la chiesa di San Giacomo: essa fu sostituita nel 1278 da un palacium comunis[14]. A Fossano la domus comunis solariata documentata dal 1255 entro il 1277 divenne palazzo civico[15]. In questi ultimi due centri pare rimarchevole lo stretto raccordo con l’ascesa popolare. La simultanea apparizione dei palazzi civici avvenne in coincidenza con il periodo di prima affermazione delle società popolari. A Cuneo la società del popolo, creata verso il 1276, dal 1278 affiancò nelle decisioni politiche i magistrati comunali[16]. A Fossano una simile associazione è testimoniata dal 1269, ma soltanto la nuova stagione politica avviata all’indomani della sconfitta angioina di Roccavione, nel 1275, parrebbe avere posto le condizioni per il dispiego di progetti ambiziosi. I cambiamenti nell’uso lessicale in questi due centri individuano una cesura nelle percezioni collettive che pare legata non solo agli interventi edilizi, pure documentati, ma anche all’elaborazione ideologica del comune di popolo[17].

Può essere un dato di interesse, prima di affrontare la situazione saluzzese, ricordare che anche in alcuni centri del marchesato, dove pure il movimento comunale era stato tardivo e debole, dalla fine del Duecento esistono attestazioni di edifici civici che, per quanto avanzate nel tempo, anticipano comunque quello della capitale marchionale: a Sanfront nel 1291 si fa riferimento a una domus “que dicitur communis”[18]; a Dronero, alcuni atti furono rogati nella domus comunis nel 1327 e nel 1329, durante la guerra intestina del marchesato fra Federico e Manfredo, in una fase di difficoltà nel controllo del territorio da parte dei marchesi in lotta fra loro di cui forse approfittò la comunità[19]; a Racconigi una simile struttura compare nel 1337[20].

All’ombra del marchese: spazi pubblici e affermazione del comune a Saluzzo

A Saluzzo il comune è documentato soltanto dal 1255. Dotato di limitati spazi giurisdizionali, esso pare avere competenze amministrative, legate in prevalenza alla gestione delle risorse collettive: peraltro solo parziali, poiché i marchesi avevano consistenti diritti anche su tali beni. La tarda emersione del governo municipale deve essere ascritta alle esigenze di maggiore autonomia rivendicate da una collettività in crescita, guidata da famiglie di varia estrazione sociale, escluse dal novero dei più stretti collaboratori del marchese che erano di origine per lo più signorile. Tra i nomi dei consiglieri e degli ufficiali comunali dei primi decenni di vita del comune sono presenti numerose stirpi di scarso rilievo, come i Tanpanus, i Barogius, i Cornu, i Cabutus, i de Rubea e i Guigna, a fianco di altre che sin dall’inizio del secolo erano tra le maggiori del marchesato, quali i Malora, i Richelami, i Falca, i Pellerius e gli Orselli[21]. Queste ultime, assieme ad altre in via di affermazione, come i Drusiana, i Vacca, i Viviano e i Fia, compongono la classe dirigente duecentesca del comune, destinata a un ulteriore processo di selezione e di ampliamento nel secolo successivo.

Agli esordi il comune appare espressione di una società non ancora affermata, anche se già piuttosto articolata, nel complesso estranea al seguito dei Saluzzo: lo scarso numero di scritture che ne attesta l’esistenza nella seconda metà del Duecento, più che alle lacune documentarie, è forse imputabile alla scarsa autonomia di cui esso godeva. Se i marchesi avevano concesso l’esistenza del reggimento municipale, non l’avevano riempita di rilevanti contenuti giurisdizionali. Un comune che si riuniva per lo più per questioni amministrative, forse neppure con particolare frequenza e in più occasioni sotto la tutela marchionale, giustifica l’assenza di sedi proprie. La collettività saluzzese scelse come riferimento spaziale il luogo che, dal secondo quarto del Duecento, si era imposto come il centro politico ed economico del borgo: la platea[22]. Qui il comune, affiancato dal marchese, rogò il suo primo documento. Seguendo una tradizione diffusa nella maggior parte dei comuni dell’area, il consiglio civico si riuniva abitualmente, come risalta da documenti del 1280 e del 1286, in un edificio di culto “in foro sive plathea”: la cappella della pieve di Santa Maria[23]. Sempre nella platea il comune ricevette nel 1299 da Manfredo IV le importanti franchigie che, pur ribadendo la dipendenza giurisdizionale dai marchesi, ne ampliarono in termini significativi le prerogative[24].

Manfredo IV di Saluzzo
Manfredo IV di Saluzzo

Le franchigie del 1299 aprono una nuova epoca per il comune di Saluzzo: esse costituiscono la base dei privilegi confermati al borgo da ogni nuovo marchese, eventualmente incrementati su pressione della cittadinanza[25]. Nel corso del Trecento, Saluzzo si impose progressivamente come capitale marchionale e divenne un punto di riferimento per le attività economiche della compagine territoriale. Sempre meglio definita e protagonista nella vita municipale, la classe dirigente accolse al suo interno discendenze titolari di diritti signorili come i Berardo (su Cartignano), i de Garro (su Costigliole) e i Romagnano, nonché cospicue famiglie di immigrati, come i Richicia, originari di Saluzzo, ma trapiantati a Cuneo e a Fossano, e gli Anselmi di Racconigi[26]. La crescita del borgo e della sua élite permise di contrattare con maggiore decisione ambiti di autonomia nella vita civile: nel 1336 i consiglieri ottennero, per esempio, la facoltà di istituire notai per dirimere le cause civili[27]. Si consolidò un rapporto fra comune e marchese disciplinato, che in cambio del riconoscimento al primo ambiti di autonomia amministrativi, confermò al secondo lo stretto controllo sulla vita politica del borgo. Tale equilibrio consentì di incanalare in forme dialettiche le relazioni tra principe e collettività, evitando, malgrado qualche lite sulla definizione delle prerogative prevista dalle franchigie, la messa in discussione dei rispettivi ruoli.

Abbazia di Staffarda
Abbazia di Staffarda

In un simile contesto gli spazi pubblici a cui il comune si appoggiava nella sua attività rimasero quelli disegnati dal governo marchionale. L’ambito più significativo è costituito dall’esercizio della giustizia. Nel 1308 il podestà del borgo – un ufficiale scelto dal marchese – ordinò a un notaio di copiare un atto “sub porticus domus ubi ius redditur”[28]. Nel medesimo luogo, alla presenza del castellano di Saluzzo, Oddone di Mulassano, nel 1291 il comune si era accordato con l’abbazia di Staffarda in merito a una vertenza per bandi campestri[29]. La casa dove si rendeva giustizia era un edificio già di proprietà di un tale Giacomo de Montealto, in cui a distanza di pochi anni, nel 1312, Manfredo IV pronunciò una sentenza per dirimere una lite fra i nobili e la comunità di Carmagnola[30]. La connessione tra il luogo di amministrazione della giustizia e il marchese è più esplicita in due atti del 1324, rogati “sub porticu domus domini marchionis ubi ius redditur”: il primo è emanato dal vicario marchionale, il secondo dal podestà del comune, che facevano riferimento ai medesimi spazi pubblici, di chiara titolarità marchionale[31].

È ancora più eclatante della subordinazione comunale agli spazi di impronta marchionale durante la prima metà del Trecento il fatto che nel 1337 il consiglio municipale, composto di circa quaranta membri, si riunisse nella domus di Tommaso II[32]. L’egemonia della geografia marchionale risulta evidente anche dal fatto che le relazioni fra i Saluzzesi e il principe venissero regolate negli edifici della stirpe dominante, dal castello alla casa bassa, dove si presentavano appositi ambasciatori o sindaci delegati dal comune, e mai, neanche dopo l’edificazione della domus comunis, in quelli meglio padroneggiati dalle autorità municipali[33].

La costruzione della “domus comunis”

Durante la seconda metà del secolo si intensificò la richiesta del comune di riconoscimenti. Nel 1352 le autorità municipali ottennero, finché Tommaso II non avesse restituito una somma di denaro ricevuta in prestito dai Saluzzesi, di poter proporre una rosa di tre nomi al cui interno il marchese dovesse scegliere il podestà del borgo. Le trattative furono condotte da Guglielmo Berardo, a cui era stato conferito l’incarico di “sindicum libertatis”, in seguito divenuto abituale, ma che suggerisce una maggiore pressione sul governo marchionale da parte di una collettività in crescita e meglio organizzata nel rivendicare le sue istanze[34]. In un simile clima deve essere collocata la costruzione della domus comunis, negli anni di Federico II, probabilmente fra il 1366 e il 1378. È un dato significativo il fatto che, mentre i suoi predecessori si erano limitati a una sola conferma delle franchigie a breve distanza dalla loro ascesa al potere, Federico riformulasse in ben quattro occasioni, fra il 1357 e il 1379, il contenuto dei privilegi alla comunità, divenuta una controparte meno malleabile rispetto al passato[35]. Se nel 1357 si trattò di una semplice conferma delle franchigie, gli accordi del 1366 e del 1371 fra il comune e il principe, bisognoso di ricevere l’appoggio anche economico dei Saluzzesi in una fase di emergenza bellica dovuta alla pressione militare sabauda e agli obblighi di alleanza verso i Visconti, denunciano considerevoli conquiste istituzionali da parte della collettività, che in tale periodo avrebbe potuto procedere all’edificazione della domus comunis, documentata, come si è detto, per la prima volta nel 1378[36]. Nel 1366 Federico ampliò in maniera consistente le concessioni dei suoi antenati, rinunciando a riscuotere per quarant’anni il terzo di sua competenza sulle gabelle del borgo e a imporre, per almeno dieci anni, il focatico o qualsiasi altra imposta. Alcuni anni dopo, nel 1371, il marchese ottenne una consistente sovvenzione per gli sforzi bellici, 492 fiorini, da non ripetere però dopo il termine di nove anni, in cambio della quale dovette impegnarsi a “confirmare et approbare capitula et ordinamenta hominum Saluciarum tam societatis quam omnia alia capitula generaliter”. Non è chiaro a cosa si riferissero gli “ordinamenta societatis”: se sottintendessero la creazione di una società popolare o una più generica pattuizione. Essi denunciano tuttavia l’esistenza di alcune iniziative istituzionali da parte della collettività saluzzese, decisa ad assumere un più robusto ruolo politico. Nel caso si debba credere alla creazione di una società popolare a Saluzzo, la costruzione della domus comunis troverebbe sorprendenti corrispondenze con le vicende, maturate quasi un secolo prima, in un quadro istituzionale assai differente, dei palazzi di Fossano e Cuneo: verrebbe confermato il nesso fra sviluppo di movimenti popolari e forti rivendicazioni ideologiche in grado di marcare in maniera incisiva il tessuto urbano.

Le successive convenzioni del 1379 posero fine alla vertenza sulla riscossione delle gabelle, assegnate al comune previo il versamento di un canone annuo di 200 franchi d’oro: in caso di mancato pagamento era previsto l’arresto dei consiglieri. Simili clausole tradiscono il tentativo di Federico di ripristinare almeno in parte la situazione precedente, ma confermano i margini di autonomia conseguiti dal governo municipale[37]. La domus comunis rimase nel paesaggio urbano saluzzese, a indicare un più robusto profilo istituzionale del comune nella vita politica locale. Non si deve comunque pensare a una struttura imponente. Eretta nella platea, probabilmente dove ora si trova il palazzo comunale, essa si presentava, sul modello di altri edifici civici dell’area, come una casa solariata, con portici al piano terra. Al piano rialzato, come emerge da documenti del 1402 e del 1413, si riuniva il consiglio municipale[38]. Sotto il portico era invece ubicata l’appotheca scribanie domus comunis, un banco per l’attività notarile: considerato che uno scriba comunis a Saluzzo è attestato solo in alcune occasioni, non si può essere certi che la scribania fosse utilizzata soltanto da notai attivi per il comune e non anche da altri professionisti della scrittura[39]. Sotto il portico compare anche, almeno dai primi decenni del Quattrocento, il banchum iuris[40]: si tratta di una presenza significativa, che indica, rispetto al Trecento, un’emancipazione della giustizia comunale dalle sedi del potere marchionale[41].

Dopo la costruzione, la domus comunis si impose come un rilevante spazio pubblico, in più occasioni deputata alla stipula di transazioni private, forse anche per la presenza della scribania. È significativo che nel 1378, alla sua prima comparsa nella documentazione, essa venisse scelta come sede per il pronunciamento da parte del commissario marchionale, il giurisperito Tommaso Richicia, sulla lite fra i Disciplinati di Saluzzo e il mugnaio Aimoneto Taxil[42]. Nel 1395 Azzone di Saluzzo si recò sotto i portici della casa del comune per rogare un atto con cui cedeva beni all’Ospedale[43]. Se i luoghi del potere politico continuavano a essere per lo più espressione della dinastia al governo, la frequentazione da parte delle autorità marchionali della domus comunis sembra costituire un riconoscimento dell’accresciuto peso istituzionale assunto dal comune nella vita pubblica del borgo. Pur in un rapporto dialettico, segnato talora da episodi di conflittualità, tra l’ultimo quarto del Trecento e i primi decenni del Quattrocento il governo municipale, che si poté giovare della crescita economica e sociale della capitale del marchesato, pare ormai accettato come un importante polo politico dalla stirpe dominante. La fine delle diffidenze fra comune e marchese fu agevolata dal coinvolgimento, per quanto piuttosto defilato, di alcune discendenze saluzzesi tra i collaboratori marchionali, soprattutto come segretari dei Saluzzo, ma non solo. Famiglie come i Richicia, gli Anselmi, i de Pariseto, i Della Chiesa dalla seconda metà del Trecento furono a un tempo coinvolti nei consigli municipali e in incarichi per i marchesi[44].

Gli interventi della seconda metà del Quattrocento: gerarchie sociali nella capitale del marchesato

Ritratto del marchese di Saluzzo Ludovico I (1416-75)
Ritratto del marchese di Saluzzo Ludovico I (1416-75)

È tenendo presente il ruolo sempre più rilevante della società saluzzese nel governo del marchesato e la capacità del comune di muoversi in un quadro di legittimità, integrato nella gerarchia delle strutture di governo della dominazione, che si può meglio intendere la costruzione del palazzo comunale attorno al 1460, ai tempi di Ludovico I. L’intervento sulle strutture esistenti della domus comunis, di cui non deve essere sopravvalutata la portata, avvenne entro il 1462 quando è menzionato un palacium novum communitatis Saluciarum[45]. Al pari dell’antica casa del comune, esso era composto di un’area porticata adiacente alla platea, in cui erano ubicate, oltre alla scribania, una bottega dedicata alle attività commerciali, probabilmente affittata dalle autorità municipali, denominata apoteca mediocris (la bottega di mezzo)[46]. Era probabilmente sita al piano rialzato l’aula magna nominata nel 1474, voluta forse per accogliere le riunioni del consiglio comunale[47]. A sottolineare la continuità con la precedente costruzione, l’edificio continuò a essere definito per lo più domus comunis fino agli anni Ottanta del Quattrocento, quando, forse a seguito di un più consistente progetto edilizio ai tempi di Ludovico II, esso cominciò a essere percepito quale palacium comunis o, addirittura, nel 1492, palacium novum Saluciarum, espressione che ben chiarisce come il centro del potere municipale fosse ormai considerato il palazzo per eccellenza della Saluzzo rinascimentale[48].

I primi interventi sulla sede del comune voluti all’inizio degli anni Sessanta del Quattrocento da Ludovico I non possono essere slegati dalle scelte politiche effettuate in quello stesso periodo dal marchese. È noto lo sforzo profuso dal Saluzzo per dare un nuovo volto alla capitale della sua dominazione[49]. L’iniziativa architettonica, se si inserisce appieno nel piano di riordino urbanistico del borgo, conosce una significativa coincidenza cronologica con un importante provvedimento emanato nel 1460: Ludovico con un decreto stabilì quali famiglie saluzzesi dovessero essere ritenute nobili. L’analisi prosopografica delle discendenze nominate nel documento, effettuata da Luisa Gentile, ha mostrato la crescente identificazione fra la nobiltà e il servitium per il principe[50]. A controbilanciare la decisione di premiare un gruppo di casate per lo più inserito nella corte, il marchese, promuovendo o forse soltanto autorizzando la costruzione del palazzo civico, si premurò di riconoscere il ruolo della popolazione di Saluzzo e l’apporto fornito per generazioni al governo della compagine territoriale da alcune stirpi di maggiorenti, dal rilevante peso economico, che erano rimaste escluse dalla nobilitazione. Si deve rilevare che all’interno del palazzo le armi dei marchesi erano rappresentate assieme allo stemma del comune, che proprio in quest’occasione viene raffigurato per la prima volta, con una figura araldica significativamente dipendente dall’effigie della casata dominante[51].

Rispetto al passaggio piuttosto fluido tra preminenza sociale e accesso agli incarichi di corte che aveva accompagnato il dinamismo della capitale dalla seconda metà del Trecento, il processo di irrigidimento avviato dal decreto del 1460, rendendo più ostico l’accesso dai consigli municipali all’entourage dei Saluzzo, poneva le basi per creare due distinti poli di governo, quello più prestigioso ed esclusivo della corte, e quello meno connotato socialmente, dove trovavano rappresentanza anche le famiglie popolari, ma comunque integrato nelle decisioni del marchesato, del comune. Consentendo la costruzione sotto l’egida marchionale del palazzo civico, Ludovico I e il suo successore Ludovico II rappresentarono sotto il profilo urbanistico un simile progetto, facendo convergere in maniera armonica attorno alla platea i più rilevanti luoghi del potere della compagine saluzzese. A monte gli spazi del principe, attorno a cui gravitava la corte e dove prendevano corpo le scelte politiche decisive: il castello, ampliato dallo stesso marchese con la costruzione della grande torre rotonda prospiciente la piazza[52]. Più in basso, a essi subordinati, ma dotati di una propria vitalità, quelli dell’amministrazione municipale: il palacium comunis, frequentato da stirpi sia nobili, sia popolari[53]. Il disciplinamento da parte del principe della società saluzzese si accompagnò al disciplinamento dei suoi spazi. Pare indicativo della gerarchizzazione del tessuto urbanistico il fatto che la platea fosse definita in alcuni documenti della fine del XV secolo – come risulta dalle osservazioni di Beatrice Del Bo – platea castri, dalla presenza del castello marchionale, e mai platea comunis[54].

Tomba di Ludovico II, nella chiesa di San Giovanni (Saluzzo).
Tomba di Ludovico II, nella chiesa di San Giovanni (Saluzzo).

A Saluzzo, la tarda attestazione di una domus comunis è il riflesso di una presenza comunale assai fragile, priva di reali ambiti di indipendenza politica. Dalla prima testimonianza di un governo municipale (1255), lungo i secoli del basso Medioevo, la dialettica fra la collettività del borgo e i marchesi per il conseguimento di relativi spazi di autonomia rimase circoscritta alle possibilità di un “comune-ente amministrativo”, per usare la felice definizione di Antonio Ivan Pini[55]. Non si tratta di una questione formale, di dosaggio del potere: i principali diritti giurisdizionali erano esercitati dai Saluzzo, che a lungo controllarono anche la nomina del podestà comunale. Alcuni rilevanti spazi pubblici, egemonizzati in altri centri della autorità municipali, quali per esempio il luogo dove si esercitava la giustizia, a Saluzzo furono per molto tempo legati all’urbanistica marchionale.

Almeno fino agli ultimi decenni del Trecento, il piccolo comune mostrò una spiccata difficoltà a esprimere una propria politica edilizia e a caratterizzare lo spazio vissuto: la costruzione, attorno agli anni Settanta del XIV secolo, della domus comunis e la sua trasformazione, a partire dagli anni Sessanta del Quattrocento, in palazzo civico si pongono al termine della fase più antagonistica del comune nei confronti dei signori e non rappresentano, come nei broletti più noti dell’Italia comunale, una forte rivendicazione di indipendenza giurisdizionale da parte della collettività, ma piuttosto il processo di affermazione di Saluzzo come capitale del principato e il progressivo irrobustimento delle istituzioni municipali, forse guidate negli anni Settanta del Trecento da una società popolare, sotto forme, però, ben incardinate nel quadro della dominazione marchionale.

[1] Sull’argomento si vedano G. Soldi Rondinini, Evoluzione politico-sociale e forme urbanistiche nella Padania dei secoli XII-XIII: i palazzi pubblici, in La pace di Costanza 1183. Un difficile equilibrio di poteri fra società italiana ed impero. Milano-Piacenza, 27-30 aprile 1983, Bologna 1984, pp. 85-98; P. Racine, Les palais publics dans les communes italiennes (XIIe-XIIIe siècles), in Le paysage urbain au moyen âge, Lione 1981, pp. 133-153 e, da ultimo, C. Tosco, I palazzi comunali nell’Italia nord-occidentale: dalla pace di Costanza a Cortenuova, in Cultura artistica, città e architettura nell’età federiciana, Atti del convegno (Caserta 1995), a cura di A. Gambardella, Roma 2000, pp. 395-422.

[2] R. Comba, La città come spazio vissuto: l’Italia centro-settentrionale fra XII e XIII secolo, in Spazi, tempi, misure e percorsi nell’Europa del basso medioevo, Spoleto 1996, pp. 183-209.

[3] R. Comba, Le “domus comunis Taurini”: frammenti di storia delle sedi comunali fra XII e XVI secolo, in Il Palazzo di Città a Torino, Torino 1987, pp. 13-41. Per Milano cfr. P. Grillo, Spazi privati e spazi pubblici nella Milano medievale, in “Studi storici”, 39 (1998), pp. 277-289; per Pisa e la Toscana: G. Garzella, L’edilizia pubblica comunale in Toscana, in Magnati e popolani nell’Italia comunale, Quindicesimo convegno di studi del Centro italiano di studi di storia e d’arte di Pistoia (Pistoia 15-18 maggio 1995), Pistoia 1997, pp. 293-311. Per Piacenza e per i più rilevanti esempi di broletti lombardi si rimanda ai contributi di Soldi Rondinini e Racine citati supra, alla nota 1.

[4] Comba, La città come spazio vissuto cit., p. 200.

[5] A Torino alla precoce affermazione sabauda nella seconda metà del XIII secolo, che tolse significativi spazi giurisdizionali al comune, si associò alla scomparsa del palazzo civico, che pure è documentato nella prima metà del secolo, quando l’appropriazione del palazzo imperiale e la sua trasformazione in palacium comunis sembrano suggerire una forte rivendicazione da parte del governo municipale, assente a Saluzzo (Comba, Le “domus comunis Taurini” cit., pp. 14-16).

[6] E. Boidi, M. Piccat, G. Rossi, La torre e l’antico palazzo comunale. Storia di un simbolo saluzzese, Savigliano 2003; S. Beltramo, L’architettura: la committenza di Ludovico I, in Ludovico I marchese di Saluzzo. Un principe tra Francia e Italia (1416-41475), Relazioni al convegno (Saluzzo, 6-8 dicembre 2003), a cura di R. Comba, Cuneo 2003 (Marchionatus Saluciarum monumenta, Studi, 1), pp. 309-328, qui alle pp. 314-319.

[7] L. Castellani, C. Tosco, La città comunale e gli spazi del potere: 1188-1312, in “Società e storia”, 76 (1997), pp. 253-283, soprattutto alle pp. 262-264 e 272-274. Cfr. anche Comba, La città come spazio vissuto cit., p. 196. Sull’argomento si veda infine il recente intervento di M. Frati, In segno e in pegno. Le case del cittadinatico nel quadro delle alleanze fra comuni lombardi, in “Società e storia”, 128 (2010), pp. 225-241, qui alle pp. 231-235. Per la citazione della casa dei consoli si veda Codex Astensis qui de Malabayla communiter noncupatur, a cura di Q. Sella, Roma 1880, II, p. 167, doc. 117.

[8] Il “Rigestum comunis Albe”, a cura di E. Milano, Pinerolo 1903, II (BSSS, 21), p. 286, doc. 461. Le pergamene albesi conservate presso la Biblioteca Reale di Torino (1213-1455), a cura di E. Barbieri, Cuneo-Alba 2005, p. 150, doc. 89: “in domo Bertrami et dominici fratum de Bergognonis, in qua ad presens consilium predictum fit propter ruinam domus comunis in qua consilium predictum fieri consueverat”.

[9] Il “Rigestum comunis Albe” cit., II, p. 258, doc. 444.

[10] Le pergamene dei monasteri albesi cit., p. 84, doc. 99 (1335).

[11] Il “Liber instrumentorum” del comune di Mondovì, a cura di G. Barelli, Pinerolo 1904 (BSSS, 24), p. 95, doc. 38.

[12] C. Bonardi, Il disegno del borgo: scelte progettuali per il centro di potere, in La torre la piazza il mercato. Luoghi di potere nei borghi nuovi del basso Medioevo, a cura di Ead., Cherasco-Cuneo 2003 (Insediamenti e cultura materiale, 2), pp. 39-67, qui alle pp. 40-41.

[13] C. Turletti, Storia di Savigliano corredata di documenti, IV, Savigliano 1879, p. 69, doc. 60 (“supra solarium domus comunis”), p. 113, doc. 99 (“sub porticu comunis in platea”). Nel 1319 un atto fu rogato “sub palacio curie ubi ius redditur” (ivi, p. 105, doc. 96). Nel 1256, è attestata anche una “casa di giustizia del comune” (“domus iustitiae communis”): ivi, p. 124, doc. 101.

[14] Cuneo 1198-1382. Documenti, a cura di P. Camilla, Cuneo 1970, p. 132, doc. 76; Atti del comune di Cuneo (1230-1380), a cura di T. Mangione, Cuneo 2006 (Fonti, 8), pp. 13-17, docc. 4-6 (“sub porticu comunis”, ma potrebbe trattarsi di uno spazio, come sembrerebbe suggerire ivi, p. 21, doc. 8, “sub porticu eclesie Sancti Iacobi”). Di certo nel 1267 un documento fu rogato “sub porticu domus curie” (ivi, p. 29, doc. 17).

[15] Cuneo 1198-1382. Documenti cit., p. 128, doc. 74. Il Libro Verde del comune di Fossano ed altri documenti fossanesi (984-1314), a cura di G. Salsotto, Pinerolo 1909 (BSSS, 38), p. 14, doc. 10; pp. 86-88, docc. 77-78; p. 56, doc. 36; p. 19, doc. 15. È inoltre documentato un non meglio precisato “locus ubi ius redditur” nel 1273, probabilmente, come risulta da documenti del 1279 e del 1287, all’interno della sede del comune (ivi, p. 20, doc. 16; p. 27, doc. 19; p. 36, doc. 24).

[16] P. Grillo, La monarchia lontana: Cuneo angioina, in Storia di Cuneo e del suo territorio. 1198-1799, a cura di R. Comba, Savigliano 2002, pp. 49-121, qui a p. 86.

[17] Su tali aspetti si rimanda a R. Rao, Il comune di popolo a Fossano (1269-1304), in Storia di Fossano e del suo territorio, I, Dalla Preistoria all’inizio del Trecento, a cura di R. Comba, R. Bordone, R. Rao, Fossano 2009, pp. 163-171, qui alle pp. 166-168.

[18] Cartario della abazia di Rifreddo fino all’anno 1300, a cura di S. Pivano, Pinerolo 1902 (BSSS, 13), p. 263, doc. 304.

[19] Regesto dei marchesi di Saluzzo (1091-1340), a cura di A. Tallone, Pinerolo 1906 (BSSS, 16), p. 259, reg. 901; p. 260, reg. 904.

[20] Regesto dei marchesi di Saluzzo cit., p. 309, reg. 1004.

[21] Regesto dei marchesi di Saluzzo cit., p. 377, doc. 52; p. 495, doc. 131; ivi, p. 184, reg. 707. Per le famiglie attestate sin dall’inizio del Duecento, si veda D. Muletti, Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città e ai marchesi di Saluzzo, II, Saluzzo 1829, p. 142 (anno 1202).

[22] Sulla platea cfr. il contributo di B. Del Bo, in questo stesso volume.

[23]Cartario della abazia di Staffarda, a cura di F. Gabotto, G. Roberti, D. Chiattone, II, Pinerolo 1902 (BSSS, 12), p. 164, doc. 583; Regesto dei marchesi di Saluzzo cit., p. 495, doc. 131. Al riguardo cfr. S. Beltramo, L’architettura cit., p. 314 e L. Losito, Saluzzo fra medioevo e rinascimento. Il paesaggio urbano, Cuneo 1998 (Storia e storiografia, 17), pp. 30-31.

[24] Regesto dei marchesi di Saluzzo cit., p. 184, reg. 707.

[25] Al riguardo cfr. R. Eandi, Il comune di Saluzzo dalle origini al secolo XV, in Saluzzese medievale e moderno. Dimensioni storico-artistiche di una terra di confine, “BSSSAACn” 113 (1995), pp. 7-68, qui alle pp. 28-31.

[26] Muletti, Memorie storico-diplomatiche cit., III, Saluzzo 1830, pp. 149, 241, 337. Sull’immigrazione a Saluzzo nel Quattrocento cfr. B. Del Bo, Presenze forestiere nella Saluzzo di Ludovico I, in Ludovico I cit., pp. 253-270.

[27] Muletti, Memorie storico-diplomatiche cit., III, p. 241.

[28] Regesto dei marchesi di Saluzzo cit., p. 212, reg. 784.

[29] Cartario della abazia di Staffarda cit., II, p. 212, doc. 621.

[30] Regesto dei marchesi di Saluzzo cit., p. 226, reg. 815.

[31] Regesto dei marchesi di Saluzzo cit., p. 250, reg. 879 e 881.

[32] Regesto dei marchesi di Saluzzo cit., p. 309, reg. 1003.

[33] Cfr. per esempio, Muletti, Memorie storico-diplomatiche cit., III, p. 358.

[34] Muletti, Memorie storico-diplomatiche cit., III, p. 358.

[35] D. Chiattone, Della podesteria in Saluzzo, in Piccolo archivio storico dell’antico marchesato di Saluzzo, diretto da D. Chiattone, Saluzzo 1987, pp. 163-268, qui alle pp. 175-178.

[36] Per gli accordi del 1366 e del 1371 si veda Muletti, Memorie storico-diplomatiche cit., IV, Saluzzo 1830, pp. 72, 96.

[37] Muletti, Memorie storico-diplomatiche cit., IV, p. 148.

[38] Muletti, Memorie storico-diplomatiche cit., IV, p. 272; ASTo, Paesi, Provincia di Saluzzo, Città di Saluzzo, m. 1, fasc. 8, doc. in data 1413, agosto 7.

[39] Muletti, Memorie storico-diplomatiche cit., IV, p. 350 (anno 1416); Le carte dei frati Predicatori di San Giovanni di Saluzzo (1305-1505), a cura di T. Mangione, Cuneo 2005 (Marchionatus Saluciarum monumenta, Fonti, 3), p. 148, doc. 68 (anno 1467). Per la citazione dello scriba comunis Salutiarum si veda Muletti, Memorie storico-diplomatiche cit., IV, p. 274.

[40] Sul bancum iuris cfr. Gli statuti di Saluzzo (1480), a cura di G. Gullino, Cuneo 2001, capp. 22, 56, 341, 347.

[41] Un importante elemento visivo era costituito dalla torre, innalzata, secondo l’analisi di Silvia Beltramo, entro la prima metà del XV secolo (Beltramo, L’architettura cit., p. 318).

[42] ***.

[43] Muletti, Memorie storico-diplomatiche cit., IV, p. 190.

[44] Muletti, Memorie storico-diplomatiche cit., IV, pp. 9, 72, 148, 161, 246, 272, 337, 350.

[45] Muletti, Memorie storico-diplomatiche cit., V, Saluzzo 1831, p. 139 che cita il documento dall’Archivio civico di Saluzzo, cat. 35, Ospedale, Confratrie, congregazioni di Carità, mazzo 1, n. 9, in data 1462, marzo 16.

[46] ASTo, Paesi, Saluzzo, Protocolli dei segretari marchionali, Francesco Stanga, carte 28 (1486 agosto 18), 82 (1491, maggio 2).

[47] ASTo, Paesi, Saluzzo, Protocolli dei segretari marchionali, Pietro Milanesio, II, doc. 80, in data 1472, settembre 6; doc. 82, in data 1474, settembre 26.

[48] ASTo, Paesi, Saluzzo, Protocolli dei segretari marchionali, Pietro Milanesio, II, doc. 7, doc. 48, in data 1465, gennaio 24, doc. 71, in data 1472, novembre 26: “sub porticu domus comunis”; ivi, doc. 80, in data 1474, settembre 6, doc. 82, in data 1474, settembre 26: “in aula magna domus comunis”; ivi, III, doc. 54, in data 1477, novembre 26: “sub porticu domus comunitatis”. Il palazzo comunale era l’unico edificio saluzzese a essere indicato nella documentazione notarile e negli estimi come palacium (Beltramo, L’architettura cit., p. 317).

[49] Oltre a Beltramo, L’architettura cit., si vedano, all’interno di questo stesso volume, i contributi di R. Comba e B. Del Bo.

[50] L. C. Gentile, Ludovico I e il processo di definizione e chiusura dell’aristocrazia saluzzese. Note a margine del decreto del 20 agosto 1460, in Ludovico I cit., pp. 165-187. Al riguardo cfr. anche P. Grillo, I gentiluomini del marchese: Ludovico II e i suoi ufficiali, in Ludovico II marchese di Saluzzo condottiero, uomo di Stato e mecenate (1475-1504), Atti del convegno (Saluzzo, 10-12 dicembre 2004), a cura di R. Comba, Cuneo 2005 (Marchionatus Saluciarum monumenta, Studi, 1), I: Il governo del marchesato fra guerra, politica e diplomazia, pp. 17-56.

[51] L. C. Gentile, Araldica saluzzese. Il medieovo, Cuneo 2004 (Marchionatus Saluciarum monumenta, Studi, 2), pp. 74-75.

[52] Sulle fasi costruttive del castello sotto Ludovico I si rimanda al contributo di R. Comba, in questo stesso volume (cfr. anche Beltramo, L’architettura cit.).

[53] Significativamente Ludovico Della Chiesa (Biblioteca civica di Torino, L. Della Chiesa, De vita ac gestis marchionum Salutientium libellus, pp. 13-14) riporta in parallelo l’ampliamento del castello e la costruzione del palazzo comunale sotto Ludovico I: “Ludovicus eius nominis primus […] castrum inferius Salutiarum a Thoma eius nominis primo marchione incoeptum ampliavit […]; eius temporibus Salutiensis urbs perpetuae pacis beneficio ditior facta multisque aedificiis ac presertim domo publica decorionum aucta est”

[54] Si veda il contributo di B. Del Bo, in questo stesso volume.

[55] A.I. Pini, Dal comune città-stato al comune ente amministrativo, in Comuni e Signorie: istituzioni, società e lotte per l’egemonia, La storia d’Italia, diretta da G. Galasso, Torino 1981, vol. IV, pp. 449-587.

Riccardo Rao insegna Storia medievale all’Università degli Studi di Bergamo. Fa parte della redazione di diverse riviste scientifiche, tra cui “Reti medievali” e “Popolazione e Storia”. Fra le sue pubblicazioni: Comunia. Le risorse collettive nel Piemonte comunale (secoli XII-XIII) (Milano 2008); Signori di Popolo. Signoria e società comunale nell’Italia nord-occidentale (1275-1330) (Milano 2012); I paesaggi dell’Italia Medievale (Carocci, 2015).

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