Storia di un Castello fermano: Rocca Monte Varmine di Riccardo Renzi
Il presente lavoro intende indagare l’origine e gli sviluppi di Rocca Monte Varmine nel Medioevo.
Rocca Monte Varmine è oggi un castello con mura merlate a coda di rondine che si erge su di un’altura, i cui pendii declinano a nord sul fiume Aso e a sud sino al torrente Menocchia. In questi ultimi tempi il suo nome è tornato alla rivalsa per varie questioni: la prima relativa alla sua gestione, è infatti proprietà del comune di Fermo, ma si trova nel territorio del comune di Carassai[1]; la seconda relativa al PNRR e ai 4, 8 milioni di euro ricevuti dal comune di Fermo per il restauro del castello. Si arriva alla Rocca attraverso una diramazione della strada provinciale che da Carassai conduce a Montalto Marche. La Rocca e tutto il territorio circostante, come accennato in precedenza, sono proprietà del comune di Fermo e prima di questo il Brefotrofio della medesima Città. La Rocca possiede anche le chiese di S. Angelo, S. Luca e S. Pietro.
Veniamo ora però alla storia del castello, diversi documenti dell’Archivio arcivescovile di Fermo attestano l’esistenza di parte dell’edificio già dall’anno Mille[2]. Sono proprio di questo periodo due documenti del 1060 che attestano la donazione di porzione del territorio di Monte Varmine da parte dei signori Ardengo ed Elpezone al vescovo di Fermo, Oldarico[3]. Proprio in questo periodo in quei territori sorgeva il monastero di Sant’Angelo in Piano e nel 1055 il signor Transarico donava al vescovo di Fermo le sue proprietà confinanti con il monastero[4]. Il monastero di Sant’Angelo in Piano ospitò prima i Benedettini, ma la sua proprietà resta dubbia, sicuramente non fece capo né a Fonte Avellana[5] né a Farfa[6], poiché non compare menzionata nei loro archivi. L’ipotesi più assodata è che a far costruire il monastero sia stato uno dei tanti proprietari del castello.
Due sono le considerazioni/evidenze che ci inducono a pensare ciò:
La prima è relativa alla sigla S.A.M.V. che si legge nello stemma di Monte Varmine, interpretabile come: Sanctus Angelus Montis Varminis[7].
La seconda si basa sul fatto che la nomina del rettore della chiesa di S. Pietro, interna alla Rocca, spetta all’abate di Sant’Angelo in Piano[8].
Un altro fatto interessante è quello relativo agli strettissimi legami che tale Rocca aveva con Castrum Campori: tra i due territori esisteva in primis una continuità geografica, confinando ad est lungo il tratto del fiume Aso, inoltre gli abitanti dei due castelli condividevano un profondo credo religioso nei confronti di San Michele Arcangelo, entrambi partecipavano alla processione dell’8 di maggio[9]. In tale occasione la processione scendeva dalla chiesa di San Pietro interna alla Rocca, sino alla chiesa di Sant’Angelo. La manifestazione liturgica era guidata dal parroco di Monte Varmine, questo però solo durante la discesa, poiché nella risalita a guidare la cerimonia era il preposto della chiesa di San Lorenzo di Carassai[10]. Spesso tra questi due castelli insorsero liti e diatribe per confini e servitù, tanto che nel 1166 dovette intervenire il Vicario imperiale per placare una vertenza tra Bartolomeo di Camporo e l’abate di Sant’Angelo[11]. Scorrendo con la cronologia, dopo questa data, troviamo ulteriori notizie sulla Rocca nel 1199. Tali notizie sono relative al podestà e vicario del vescovo di Fermo, Adenolfo, che Papa Innocenzo III volle ricompensare con le corti di Monte Varmine e Carassai[12]. A metà del Duecento il nuovo proprietario del Castello è Guglielmello da Massa[13]. Egli era già signore di Montappone e Massa, poiché era fratello del potentissimo vescovo e podestà di Fermo, Gerardo[14]. Nei primi anni del Trecento la Rocca era proprietà della famiglia degli Ameli, precisamente di ser Filippo e dei figli Andrea e Lionello[15]. Il Fermano, come molti altri territori, visse pienamente la crisi del Trecento e le continue battaglie e carestie ad essa legate. Durante la cattività avignonese, nell’anno 1307, papa Clemente V spedì il suo esercito in Italia per riconquistare alcuni territori che erano entrati sotto al controllo ghibellino. Gli Ameli, che proprio a tale fazione appartenevano, pagarono la loro scelta a caro prezzo. Il castello fu messo sotto assedio e raso al suolo. Solo pochi anni più tardi, nel 1325, il castello, da poco ricostruito, fu danneggiato nuovamente, poiché il Piceno fu raggiunto dall’esercito Guelfo guidato da Tano dei Baligani di Jesi, inflisse una pesantissima sconfitta ai ghibellini Teobalduccio da Camporo e Lino da Massa signore di Carassai[16]. Questa situazione di enorme incertezza e continuo pericolo spinse i signori di Rocca Monte Varmine a stipulare con i priori di Fermo, nel 1340, un atto di concordia che valse loro protezione ed esenzione dalle tasse. Nello stesso anno agli abitanti della Rocca venne concessa la cittadinanza fermana e vennero dati loro numerosi privilegi in cambio della loro fedeltà[17]. Però la protezione dei fermani non fu sempre costante, ad esempio quando Gentile da Mogliano instaurò la sua tirannia a Fermo, tolse tutti i privilegi agli abitanti della Rocca. Gentile venne cacciato già nel 1353 quando discese su quei territori il cardinale Albornoz a capo di un grande esercito. Nel 1355 tutti i castelli del Fermano si piegarono ad Albornoz[18]. Nel 1376 agli abitanti della Rocca vengono restituiti tutti i privilegi e si stabilisce che essi sono Fermani e debbono essere trattati come tali. Negli ultimi decenni del Trecento i proprietari della Rocca furono dei lontani eredi di quel ser Filippo Ameli menzionato precedentemente, rispettivamente: il nobil uomo Cola Poloni di Massa Fermana, la signora Giovanna Giulia e il signor Filippo Sacchini. Proprio in quegli anni Matteo Mattei, uomo fermano ricchissimo, decise di acquistare l’intero territorio di Rocca Monte Varmine. Nel 1392 acquistò da Cola Poloni per 200 ducati d’oro parte del castello e i poderi che arrivano sino al torrente Menocchia[19]. Nel 1393 acquistò anche la parte di donna Giovanna Giulia per un totale di 240 ducati d’oro. Infine nel 1396 acquistò i terreni rimanenti dall’ultimo degli eredi, Federico Iachini, per la cifra di 200 ducati d’oro[20]. Acquisita tutta la proprietà il Mattei volle restaurarla e consolidarla, così inoltrò la richiesta a Andrea Tomacelli, marchese della Marca, signore di Fermo e fratello di papa Bonifacio IX. Quando Mattei morì, nel 1431, tutti quei territori passarono sotto all’Ospedale di Santa Maria della Carità di Fermo, per sua volontà[21]. Da questo momento in poi, sino ai giorni d’oggi, la Rocca pur essendo sotto al territorio di Carassai è proprietà del comune di Fermo.
Note
[1] Intorno all’anno Mille, nel territorio dell’odierna Carassai sorgevano numerosi luoghi di culto, oltre a svariati castelli la cui importanza era relazionata al numero degli abitanti, all’efficacia delle difese e alla vastità dei possedimenti; i centri fortificati di maggior rilievo erano quelli di Monte Varmine, Camporo e Carassai. In questo periodo la terra non aveva però la denominazione attuale, bensì quelle di Guardia, Castrum Guardiae o Castrum Carnassalis. All’inizio del XIII secolo la terra sarebbe poi passata in proprietà alla famiglia dei Brunforte, signori di Massa. Nel 1321, con due strumenti rispettivamente del 23 e 26 agosto, attualmente conservati nel fondo diplomatico dell’Archivio Comunale di Fermo, Lino di Guglielmo di Massa, in quel momento signore di Massa, insieme al “Scindicus” della comunità (sindaco dal tardo latino syndĭcus), Matteo Benvenuti, sottomette e vende il castello di Carassai alla città di Fermo, con tutti i diritti di mero e misto impero che vi godeva. Da allora Carassai entrò a far parte dello stato di Fermo seguendone le sorti. Da un altro documento del 1373, anch’esso conservato presso l’Archivio Comunale di Fermo, si apprende che il castello di Carassai era stato bruciato e distrutto nel corso della ribellione di Petrocco da Massa e successivamente ricostruito. Dal 1377 al 1387 Carassai fu una piccola signoria, al confine tra gli Stati di Fermo e di Ascoli Piceno, quando signore di Carassai fu Boffo da Massa,(Filippo Tibaldeschi di Massa) un capitano di ventura, che aveva assoggettato anche Castignano, Cossignano e Porchia. Nell’ottobre 1443, allorché le truppe di re Alfonso V d’Aragona si mossero per saccheggiare il castello di Petritoli, Carassai offrì ospitalità e rifugio agli abitanti. Siamo nella metà del XV secolo, san Giacomo della Marca viene chiamato per ben due volte dai cittadini di Carassai per risolvere alcune questioni di confine con i paesi vicini. La prima volta nel 1451 intervenne per conciliare Carassai con Petritoli, anche se la questione si definì solo nel 1472. La seconda volta fu nel 1454, mentre era a Ripatransone, fu chiamato come mediatore per risolvere alcune questioni di confine con Carassai. A testimonianza della riconciliazione, propose l’erezione della chiesa di Santa Maria del buon Gesù e vi intronizzò una statua della Madonna in legno policromo.
[2] D. Pacini, Il codice 1030 dell’Archivio diplomatico di Fermo : liber diversarum copiarum bullarum privilegiorum et instrumentorum civitatis et episcopatus Firmi: edizione dei documenti più antichi, 977-1030 : elenco cronologico generale, 1031-1266, Milano, A. Giuffrè, 1963, p. 123.
[3] D. Pacini, Liber Iurium dell’Episcopato e della città di Fermo, Ancona, 1996, doc. 47, p. 88.
[4] D. Pacini, Liber Iurium dell’Episcopato e della città di Fermo, Ancona, 1996, doc. 66, p. 140.
[5] S. Prete, Pagine di storia fermana, in Studia Picena, n. 2, 1984, p. 107.
[6] G. Da Catino, Regesto di Farfa, Roma, 1890, vol. IV.
[7] S. Virgili, Castrum Campori dopo la distruzione, Carassai, 1998, p. 14.
[8] Ibidem
[9] Archivio Arcivescovile di Fermo, Inventario della Prepositura di San Lorenzo di Carassai, 1771.
[10] Carassai era divenuta erede di Camporo. Carassai sorgeva infatti sul castello di Camporo.
[11] S. Virgili, Il castello di Monte Varmine, Fermo, Andrea Livi editore, 2007, p. 29.
[12] D. Pacini, Per la storia Medievale di Fermo e del suo Territorio, Fermo, Andrea Livi editore, 2000, pp. 412-497.
[13] G. Michetti, Carassai, Fermo, edizioni la Rapida, 1989, p. 16.
[14] S. Virgili, Il castello, cit., p. 31.
[15] Archivio Arcivescovile di Fermo, Inventario dello spedale della Carità detto delli Projetti, c. 13.
[16] S. Virgili, Il castello, cit., p. 33.
[17] Archivio di Stato di Fermo, Istrumento di fedeltà fatta con la città di Fermo dagli abitanti di Monte Varmine, documento pergamenaceo n. 181, anno 1341, cassetta n. 4.
[18] S. Prete, Pagine, cit., p. 214.
[19] Archivio di Stato di Fermo, Atti del notaio Vannuccio di Antonio di Francesco di Offida, documento pergamenaceo n. 187, anno 1392, cassetta n. 4.
[20] Archivio di Stato di Fermo, Istrumento di Trasmondo di Egidio Cimini di Fermo, documento pergamenaceo n. 189, anno 1396.
[21] S. Virgili, Il castello, cit., p. 37.
Riccardo RENZI (1994). Dopo la laurea triennale in Lettere classiche presso l’Università degli studi di Urbino, discutendo una tesi recante titolo “La nobiltà in Francia nei primi due secoli dell’età moderna” (febbraio 2017), ha conseguito la Laurea magistrale in Scienze Storiche presso l’Università di Macerata discutendo una tesi dal titolo “Latin historian’s manuscripts and incunabola preserved at Fermo Public Library Romolo Spezioli” (ottobre 2020). Ha inoltre conseguito una Summer school in metrica e ritmica greca presso la Scuola di metrica dell’Università di Urbino (2016), il percorso psico-pedagogico per l’insegnamento (24 CFU) presso l’Università di Macerata (2019) e i diplomi in LIM e Tablet. Nell’ottobre 2022 consegue il Master di primo livello in “Operatore delle biblioteche”. Ha insegnato materie letterarie presso l’Istituto di Formazione Professionale Artigianelli di Fermo dall’ottobre 2021 al marzo 2023, attualmente, dopo la vittoria del concorso pubblico di categoria D1 presso il IV settore del Comune di Fermo, lavora come Istruttore Direttivo presso la Biblioteca civica Romolo Spezioli di Fermo. È membro dei comitati scientifici e di redazione delle riviste Scholia e Il Polo, è inoltre vicedirettore della rivista Scholia (Didattica) e membro del comitato scientifico del Centro Studi Sallustiani. È inoltre socio dell’Aib, della Società Dantesca Fermana, dell’Unipop di Fermo e dell’Associazione teste di Rapa di Rapagnano. Per contattare l’autore clicca qui !