
Storia e storie: gli “Experimenti” di Caterina Sforza, procedendo per tentativi e verifiche… di Laura Malinverni
Gli “Experimenti” di Caterina Sforza si trovano in un manoscritto ricopiato dall’originale nel 1525 dal conte Lucantonio Cuppano da Montefalco, luogotenente del suo figlio ultimogenito e prediletto, il famoso condottiero Giovanni delle Bande Nere, e comprendono 454 ricette, raccolte da Caterina Sforza già a partire dalla gioventù.
Molte di esse vennero provate personalmente da Caterina, anche attraverso esperimenti (non tutti riusciti, anzi, alcuni dall’esito disastroso), tentativi e ripensamenti.
Nel grande parco attiguo alla Rocca di Ravaldino, a Forlì, giardinieri e speziali coltivavano per ordine di Caterina numerose erbe, che poi venivano raccolte e lavorate dalla Contessa in persona in un laboratorio attrezzato con grandi calderoni, storte ed alambicchi. Le ricette vennero presumibilmente riorganizzare ed ampliate da Caterina negli ultimi anni, quando l’allontanamento dalle mansioni di governo, la relativa tranquillità della vita che conduceva alla villa di Castello di Firenze e l’ambiente mediceo, generalmente favorevole a tali occupazioni, le permisero di dedicarsi all’attività di alchimista con continuità.
Si tratta per la maggior parte di rimedi a mali fisici, mentre una settantina riguardano la cosmesi vera e propria e una trentina la chimica (forse sarebbe meglio dire la sua antesignana “alchimia”). Di queste ultime, ben quindici hanno interesse pecuniario, a riprova che una costante penuria di fondi afflisse Caterina nel suo piccolo Stato…
Alcune sono trascritte in linguaggio cifrato, cioè criptate: ci sono ricette per inchiostri simpatici, con l’impiego di “urina e sali di ammonio”; ricette abortive, da usare però prima dei 40 giorni, perché dopo “non se deve commettere quel peccato”; ricette di veleni “a termine”, come quella che prevede l’impiego di “uova bollite in aceto e succo di cataputie” (ricino), e che dovrebbe funzionare, a seconda delle dosi, in 15 giorni o un mese; ricette per la funzione virile…
Caterina propone persino di “convertire lo stagno in argento finissimo et bono” o di far assumere a qualsivoglia lamina di metallo l’aspetto dell’oro: esperimenti per i quali erano finiti e finiranno sul rogo alchimisti meno aristocratici. Molto interessanti sono anche le ricette di sonniferi, da far odorare o da ingerire in pillole; in una di queste, “A far dormire una persona per tal modo che porrai operare in chirurgia quel che vorrai e non ti sentirà et est probatum”, Caterina detta una composizione molto simile a quella di un anestetico, a base di oppio, di succo di more acerbe, di foglie di mandragola, di edera, di cicuta e altre piante, già reperibile su un manoscritto del nono secolo conservato nel Monastero di Montecassino e riportata anche su di un libro di chirurgia uscito a Bologna nel 1265. In poche ricette viene citata espressamente l’origine (come nel caso di una “polvere che fu fatta in Constantia allo Imperatore”, forse Massimiliano I, sposo di Bianca Maria Sforza e quindi cognato di Caterina; di una polvere “provata per el Christianissimo Re”, forse Carlo VIII o più probabilmente Luigi XII; di un “remedio da guarire omne sorta de febre provata per Cosimo de Medici”) o la destinazione (come nel caso di un “olio santissimo et provato per la peste et per el veneno” fatto per “Papa Paulo secondo”).
Le ricette vennero definite “fantastiche” nel senso di “fantasiose” già nell’Ottocento, dai suoi primi seri decodificatori…

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È autrice del saggio “La cucina medievale: umori, spezie e miscugli” (Italia Medievale, 2016) che si può acquistare online cliccando qui !