di Carmelo Currò.
È stato opportunamente e autorevolmente ricordato come io abbia negato la reale esistenza di un san Felice martire salernitano, già sostenuta dal defunto canonico Carucci il quale, se non sbaglio, riuscì persino ad avere una sorta di riconoscimento liturgico della sua memoria, riconoscendolo nel presunto Felice cui è intitolata la chiesa omonima a Torrione.
Non è così, ovviamente, e non esiste in proposito alcun documento. In realtà, nel san Felice cui si riferiscono le chiese salernitane di San Felice in Felline e di san Felice vescovo in Pastorano (un casale nell’immediato hinterland urbano), si ritrovano ricordi e sovrapposizioni cultuali di più santi che hanno portato questo nome.
A mio avviso, la venerazione per il primo san Felice deve essere stata rivolta a san Felice sacerdote di Nola, città da cui con ogni probabilità venne introdotto il Cristianesimo nell’area della Valle dell’Irno e a Salerno (1). Non è un caso che in città vengano infatti venerate le Sante (ritenute donne-medico o meglio praticanti di medicina) Tecla, Archelaide e Susanna, la cui tarda Passio racconta la traslazione delle loro reliquie da Cimitile di Nola a Salerno, la città della Scuola medica, in epoca longobarda. Sante che nel numero pareggiano quello dei tre antichi protettori della città: i martiri Fortunato, Caio e Antes, il cui culto fu successivamente superato da quello per l’Apostolo ed Evangelista Matteo, una volta che le sue reliquie furono rinvenute e traslate dal Cilento a Salerno. Appare evidente che nella compilazione della storia i nomi non sono stati scelti a caso, e forse neppure a caso dovettero essere scelte le reliquie da portare nella capitale del Principato longobardo, se mai all’epoca si fosse trovato a Cimitile (ossia nella località del cimitero cristiano di Nola) qualche vetusto avanzo epigrafico in grado di essere utile per l’identificazione dei sacri resti.
La compilazione della passio, dunque, appare strutturata secondo un programma che rispetta la mentalità e le conoscenze dell’ambiente che doveva venerare le reliquie, secondo uno schema agiografico noto che comprende i luoghi comuni del sogno grazie al quale è possibile il rinvenimento dei corpi, della storia sulle origini familiari e sulla vita spesa curando i sofferenti, del processo, della eroica esposizione della propria Fede, e finalmente del martirio. Ma in questo caso si è voluta offrire una ulteriore continuità fra storia e onomastica, rispettando assonanze che affondano nella stessa società salernitana. Archelaa era infatti il nome della pia donna nolana che, secondo un’altra tradizione, portava il pane a san Felice prete quando questi fu rinchiuso dai pagani persecutori o si nascose in una profonda cisterna. Una storia che all’epoca doveva essere ben conosciuta dal clero e dai fedeli salernitani. Tecla era invece il nome della Santa veneratissima dai Longobardi del Nord Italia rifugiatisi nel Ducato meridionale dopo l’invasione dei Franchi, il cui culto essi portarono con sé insieme a quello dei santi Vittore, Ambrogio, Apollinare, le cui dedicazioni di trovano puntuali in alcune chiese del Salernitano; insieme ai ricordi e alle reliquie di Quirino o Cirino e Genesio, poi confusi con sconosciuti altrimenti sconosciuti vescovi Cirino e Quinigesio, i cui corpi furono portati in città dal Picentino sempre su volere dei Principi longobardi (2). Infine, Susanna si chiamava una nota monaca benedettina salernitana, cui il vescovo Giovanni (977-982) concesse le chiese di S.Liberatore e l’altra vicina dedicata a S.Vito (3).
La struttura di cui si compone la passio delle Sante, dunque, è organizzata tenendo in primo luogo conto di dati onomastici e devozionali che dovevano essere graditi alla classe dirigente nell’epoca in cui fu redatta. E il dato del nome Archelaide lo ritroviamo proprio accomunato con quello di Felice che doveva essere stato uno tra i Santi più venerati nell’area campana dopo il periodo delle persecuzioni.
Tuttavia, nell’altra Passio dei tre Santi martiri salernitani Caio, Ante e Fortunato, rinveniamo ancora l’onomastico Felice, riferito però a un compagno di martirio ritenuto essere stato vescovo buzocense, ossia presule della diocesi di Tibiuca, in Africa.
Il martire Felice che sarebbe morto a Venosa, dunque, considerato compagno dei tre Santi salernitani nel corso della persecuzione di Valeriano nel 259-260, e non dell’altra di Diocleziano, come ho ampiamente dimostrato (4), è invece diverso sia da Felice prete che da san Felice africano vescovo di Tibiuca e mai venuto in Italia nel corso della sua vita. Infatti, dovendo cercare di definire la personalità di un santo di cui si era perduta l’effettiva identità, i compilatori della Passio credettero di riconoscerlo in un santo omonimo molto venerato ai loro tempi. La ricostruzione agiografica deriva dal fatto che i Cristiani vissuti solo qualche secolo dopo le persecuzioni, aggiunsero alle loro devozioni anche quelle per i Santi africani cattolici perseguitati dai Vandali ariani. Infatti, dopo aver invaso l’Africa settentrionale e conquistato Cartagine nel V secolo, i Vandali avevano confiscato i beni della Chiesa e imprigionato quanti non si convertivano alla loro eresia. Fu allora che, per non essere sottoposti al pericolo dell’abiura, molti sacerdoti e fedeli si rifugiarono in Italia meridionale, portando con sé reliquie e devozioni per i loro santi, i cui nomi si ritrovano anche nella toponomastica meridionale, come è avvenuto per san Adiutore, Cipriano, Ilarione, Menna.
Il nostro san Felice vescovo, dunque, sostituisce non nel nome ma nell’identità, la devozione per un altro omonimo campano, e i due vengono confusi l’uno con l’altro, fino a stabilizzarsi, nel caso del san Felice in Pastorano, con un non meglio identificato vescovo. Vescovo che, a mio avviso, è l’umana sovrapposizione del Santo di Tibiuca al sacerdote nolano. Per Felline si rimane invece senza una “classificazione”, e meglio sarebbe considerare il titolo della chiesa come riferito all’antico Santo sacerdote di Nola.
(1) C. CURRO’, Il sogno della dama ignota – Storia del Comune di Baronissi, Montoro Inferiore 2011, pp. 16-17.
(2) Id., pp. 26-27.
(3) Cf. C.CURRO’, S.Giorgio e le devozioni salernitane – Archelaide, Tecla e Susanna: Decodificazione di un culto, in Visitiamo la Città 2010-2011, Salerno 2010, p.12.
(4) Cf. C.CURRO’, Ancora sui tre Martiri salernitani: alcune considerazioni, in Rassegna storica salernitana, N.23 1995, pp.319 e ss.
È nato a Salerno, dove vive. Laureato in Scienze Politiche e Lettere Moderne, si interessa di genealogia e Storia della Chiesa. È giornalista, storico e ispettore onorario Ministero Beni Culturali.