Tecniche arabe di fabbricazione della carta a Fabriano

Tecniche arabe di fabbricazione della carta a Fabriano di Giovanni Ciappelloni

La carta realizzata con fibre di lino e di cotone risulta essere stata ampiamente utilizzata nel mondo arabo che aveva introdotto questa attività artigianale anche in Europa nei territori soggetti all’influenza culturale islamica come la Spagna e la Sicilia.  L’uso della carta bambagina in Terra di Lavoro e Sicilia nei primi secoli dopo il Mille era largamente diffuso tanto da far intervenire Federico II che nel 1231 ne proibiva l’uso negli atti pubblici temendone il precoce degrado. Il “mandato di Adelasia” del 1109, nome che fa riferimento alla moglie del normanno Ruggero I d’Altavilla, compilato in greco ed in arabo, forse è il documento italiano più antico scritto su carta.

Mandato di Adelasia, marzo 1109

La produzione della carta è stato sempre e lo è ancora oggi a Fabriano un vanto cittadino anche per i diversi miglioramenti qualitativi che l’ingegno degli artigiani fabrianesi seppe ideare e realizzare nel corso dei secoli. Se ne è parlato e scritto fin dagli inizi in ogni maniera ed è stato esaminato ogni aspetto relativo alla fabbricazione, al commercio ed alla diffusione di questa eccellenza locale, prodotto indispensabile per la società di ogni tempo. Tuttavia fino ad oggi le origini di questa attività, una volta artigianale, sono rimaste inesplorate e chiunque si sia interessato alla storia ed alla produzione della stessa si è sempre accontentato di quanto le varie cronache cittadine dal sapore campanilistico riferivano sulla carta anche in merito a fantasiose evenienze avvenute negli anni precedenti il Mille e che si scontrano con la storia del periodo e quella dei territori dell’Italia centrale. Domenico Scevolini nella sua cinquecentesca “Dell’Istorie di Fabriano” parla di un boemo tale Heraldo da Praga che in fuga dal suo paese arriva intorno al 990 in una Fabriano, ancora inesistente, e che insegna l’arte della produzione della carta ai fabrianesi. Oreste Marcoaldi, fine Ottocento, nel suo “Guida e Statistica…” (1) non da peso a quanto dichiara lo Scevolini ma asserisce, anche lui senza fornire né fonti né documenti, che la fabbricazione della carta era presente a Fabriano fin dal secolo XII. Altri in anni successivi essendo innegabile che la tecnica di produzione era araba ipotizzarono che pirati saraceni fatti prigionieri in uno dei tanti assalti alla citta di Ancona siano stati internati, ma senza dire da chi, a Fabriano e qui abbiano insegnato ai locali la fabbricazione della carta. Storici locali riferiscono anche di altre ipotesi formulate in merito all’arrivo di queste tecniche inconfondibili sul territorio fabrianese che vedono protagonisti Crociati, Templari o addirittura Monaci reduci dall’Oriente. Per tentare di fare luce su di un aspetto di storia locale che ha grande importanza in quanto vi è coinvolta anche la genesi del Comune di Fabriano è opportuno fare ricorso ai documenti che sono emersi in questi ultimi anni e fare riferimento a dati storici certi che non possono essere messi in discussione. Per iniziare è opportuno cercare di immaginare come fosse il territorio delle vallate di Fabriano e di Salmaregia/Serradica dal X al XIII secolo in base alla natura dei luoghi. La vallata del fiume Castellano che aveva questo nome in quanto attraversava un territorio disseminato di castelli, ovverosia piccole fortificazioni non definibili come “castrum” del quale infatti “castello” è un diminutivo, costruiti sui rilievi. In epoca romana comprendeva Tuficum ed Attidium ed era servita da quel lato da una strada che proveniendo da Matelica raggiungeva attraverso la gola della Rossa la campagna di Aesis/Jesi.
Dall’altro lato, semplificando, attraverso la limitrofa valle di Salmaregia saliva un diverticolo della Flaminia che raggiungeva Cancelli e poi Sassoferrato e da qui si inoltrava attraverso la montagna verso Arcevia arrivando al mare nei pressi di Senigallia. Nei pressi di Campodonico prima di Cancelli vi era sulla destra una deviazione verso la montagna che da Trofigno dopo il passo di Lentino raggiungeva dirigendosi a sinistra Attiggio ed a destra Esanatoglia e da qui Matelica. Un altro percorso per entrare nella vallata di Fabriano era quello che partendo da Helvillum o Fossato di “Vicco” attraverso il valico di Fossato passava nelle vicinanze della Rocca d’Appennino e raggiungeva Cancelli. Chi conosce i luoghi sa bene che questi percorsi negli anni intorno al Mille non potevano essere altro che polverose mulattiere che si arrampicavano sulla montagna per discendere tortuosamente verso la pianura sottostante. Per avere una idea di come in quegli anni la strada romana che arrivava a Tuficum nel prosieguo fosse diventata poco di più di una stradina è utile riportare quello che nel XVI secolo Giovanni Domenico Scevolini scriveva illustrandone il tratto che attraversava la Gola della Rossa:
…”Qui passa la strada che volgarmente è chiamata la Rossa veramente spaventevole. D’ambi i lati sono montagne altissime, il fiume Esio già ingrossato per altri fiumi, che con lui si mescolano fra sassi profondi con suono e strepito precipitosamente corre, e la strada è stretta di maniera che a pena un mulo carico agiatamente vi passa per lo spatio di tre miglia”…

Flaminia e diverticoli spoletino e settempedano

L’altra via verso il mare quella che transitava per Rocca Contrada, oggi Arcevia, ancora oggi risulta per la maggior parte in forte pendenza, angusta, tortuosa, irregolare. La realtà delle strade locali viene definita nel 1771 quando il comune di Fabriano si attiverà per rendere “calessabile” una strada allora di notevole importanza quella che si dirigeva verso Fossato di Vico e che evidentemente ancora non permetteva il passaggio di mezzi trainati da animali (2). Vi è anche un dato storico che da la certezza del sicuro isolamento della vallata del Castellano, sicuramente periferica, e della qualità delle vie di accesso e di uscita che non permettevano traffici stradali regolari ed intensi. Prima del Mille le regioni dell’Italia centrale furono oggetto di numerose incursioni di occasionali predatori stranieri, in particolare Saraceni e Ungari. I Saraceni nell’848 distrussero Ancona e percorrendo le strade esistenti assaltarono Settempeda oggi San Severino. Sempre costoro nell’853 circa distrussero Scheggia e furono respinti a Gubbio. Gli Ungari a loro volta distrussero più tardi tra il 917 ed il 927 Scheggia e Gubbio. In base alle memorie locali nessuna di queste incursioni ebbe mai a verificarsi nella vallata del Castellano ed in quella di Salmaregia in primo luogo per l’assenza di agglomerati abitativi che giustificassero un assalto predatorio ma soprattutto perchè non erano visibili/ conosciute strade di accesso a questo territorio. Per quanto riguarda la densità abitativa di questi luoghi vi è da dire che oltre a qualche villaggio arroccato sulle alture con una piccola fortificazione nelle vicinanze per la prima difesa nulla vi era di notevole a parte il molto periferico monastero di S. Vittore delle Chiuse. Basti pensare che oltre a qualche chiesa, qualche manso e qualche castellaro sparsi nelle campagne non vi erano aggregazioni umane particolari. Anche la genesi di Fabriano dovuta all’unione dei due castelli il Vecchio ed il Nuovo dovette avvenire quando con l’arrivo del gruppo parentale dei de Clavellis aumentarono gli individui che intendevano stabilirsi in questo luogo. Pertanto immaginare un nucleo abitato laborioso dedito da tempo ad un artigianato di qualità ed al commercio della relativa produzione verso l’esterno appare una mera fantasia campanilistica creata per cercare di dare origini antiche/nobili a delle attività delle quali si tenta di narrare gli inizi dei quali si è persa conoscenza. Va considerato riguardo al toponimo di Fabriano che la prima menzione è del 1040 mentre quella di un “castello Fabriani” cioè di un piccolo luogo abitato, piccolo in quanto “castello”, come ricorda anche Anna Fiecconi, risulta essere un diminutivo di “castrum”, è del 1041 ed appaiono entrambe nelle Carte di San Vittore alle Chiuse. Nelle Carte diplomatiche dell’Archivio comunale di Fabriano all’interno di un atto datato 1065 si parla della vendita di un terreno situato “in locu qui dicitur Fabriani” (3) un secolo prima degli “ambo castra Fabriani” che appare sempre nelle Carte di S. Vittore alle Chiuse ma che risale al 1160. L’immagine, dei primi anni dopo il Mille, che si mostra nei documenti è quella di un territorio scarsamente popolato dedito all’agricoltura con i “comes” longobardi arroccati sulle alture e che non esercita attività particolari degne di nota in quanto nella documentazione dell’epoca non vi e traccia di attività artigianali o commerciali. Inoltre il territorio risulta lontano dalla sede vescovile che risiede a Camerino. Questa è la realtà storica di un territorio prima dell’apparire sulla scena comunale dei francesi de Clavellis, presenza che viene formalizzata, marzo 1165, nel primo documento, in ordine di data, del Libro Rosso di Fabriano dove costoro faranno intendere al giudice Baroncello di essere coloro che si prenderanno cura del nascente Comune con un inequivocabile “de nostro castro Fabriani” (4). Nelle cronache locali costoro appaiono per la prima volta con l’arrivo di un Ruggero Clavelli comandante di un reparto di cavalleria imperiale germanica che si ferma vicino Fabriano nella Rocca di Capretta sulla montagna di Attiggio durante il 1155. Nella valle di Salmaregia già si trovano altri Clavelli feudatari della rocca di Orsara che hanno vasti possedimenti soprattutto nella campagna di Attiggio.
Le notizie che vengono date su costoro e sulla loro discendenza dai vari annalisti locali parlano di una famiglia di militari che esercitano la milizia mercenaria e che ottengono il comando delle operazioni ovunque siano richiesti. Li si fa combattere ovunque nella Penisola, dal Veneto alla Toscana fino al regno di Napoli e sempre nelle vesti di comandanti in capo. Tuttavia i documenti parlano di altri ruoli e di altre vicende. Costoro che sono francesi quasi sicuramente normanni arrivano in Italia probabilmente con i Drengot, avversari degli Altavilla, e supportano Federico I Hohenstaufen, il Barbarossa, sia militarmente che politicamente. Nello stesso tempo risultano molto vicini agli Angiò con i quali hanno un rapporto particolare che supera la fazione e lo schieramento politico. In tutta la loro permanenza sul territorio di Fabriano dimostrano di essere alla continua ricerca di un reddito da conseguire nella maniera più svariata. La militia viene esercitata sempre in posizione subordinata. Ottengono subito l’egemonia sul territorio della futura Fabriano sia per il numero e la loro potenza militare sia per mancanza di avversari. Ovunque combattano lo fanno sempre dietro compenso e sempre sotto il comando di altri. Questo succede ad Assisi contro Perugia, con i Visconti di Milano, con la Repubblica di Venezia, con i Tarlati di Arezzo e con gli Angiò a Napoli. Sono dei “condottieri” cioè combattono al comando dei propri uomini a fronte di un compenso pattuito: la “condotta”. Dopo il 1165 si assiste ad una lenta ma costante adesione di tutta la piccola nobiltà locale longobarda al progetto di costituzione del Comune di Fabriano che appare creato ed incentivato dai de Clavellis come la vicenda dei Conti della Genga, convinti da Gualtiero di Tomaso ad aderire, dimostra. Contemporaneamente costoro curano i loro interessi sul territorio che appaiono subito di natura commerciale. In questa ottica si può inquadrare l’intervento militare del 1172 di Ruggero contro la città di Camerino, riportato dagli annalisti locali (5), volto a risolvere gli inconvenienti che qui avevano avuto alcuni commercianti fabrianesi di panni lana. La storia del Comune di Fabriano letta attraverso i documenti del Libro rosso (6) parla di un massiccio ingresso tra le mura, avvenuto nel 1248, di gran parte delle famiglie più influenti del gruppo parentale clavellesco che sembrano fare questo passo in quanto un primo obbiettivo, quello dell’adesione al Comune della quasi totalità dei domini loci più autorevoli, appare raggiunto. Successivamente al 1248 si rinvengono le prime notizie che parlano di artigianato locale, di commerci e di imprenditori attivi all’interno del territorio comunale anche se qualche accenno si era avuto già con i fatti di Ruggero del 1172 e nella carta di Sforzolo del 1198 relativo alla presenza in città di un fabbro di professione. Evidentemente qualche attività artigianale, forse solo l’artigianato del ferro si può ritenere già presente in quanto funzionale alle necessità dei de Clavellis e del territorio. Nei primi anni successivi all’ingresso del gruppo clavellesco tra le mura, nessuna fonte ne parla per i precedenti, vengono documentate le prime attività imprenditoriali che iniziano ad emergere ed a far parlare di se. Infatti nel 1249 si rinviene nelle carte un tale Pietro di Michele commerciante di tessuti e più tardi nel 1273 si hanno documenti sulla presenza tra le mura del toscano Raniero, un orefice. Nel 1278 nel Libro rosso di Fabriano in un documento di nomina podestarile vengono dichiarate operative in Fabriano 11 Arti/Corporazioni cittadine di artigiani tra le quali quelle della lana, del ferro e dei calzolai mentre non viene nominata quella della carta che comunque risulta già esistente nel 1268 in un documento della vicina Matelica (7).
L’unica spiegazione possibile è che la dimensione iniziale di questa attività sia in mani che non necessitano di regole o di tutele, quindi in quelle dei de Clavellis. Che l’artigianato ed il commercio cittadino siano entrambi nelle mani clavellesche e vengano da questi promossi, come già fa notare Aurelio Zonghi nella prefazione allo Statuto dell’Arte della Lana, risulta evidente anche da alcuni documenti del XIV secolo riguardanti Guido Napolitano dove costui oltre a seguire direttamente la produzione ed il commercio dei prodotti di maggior pregio come carta, tessuti o pellami supporta e finanzia direttamente l’attività dei numerosi imprenditori cittadini con la concessione di prestiti su pegno. Prestiti a cui ricorrerà anche il Legato pontificio Egidio Albornoz (8). E che sia la parte produttiva che quella finanziaria siano nelle mani dei de Clavelllis oltre che da questi documenti risulta evidente anche dalla completa assenza di attività feneratizia ossia di prestito gestita dagli ebrei in Fabriano fino al 1427 quando questa venne qui esercitata da un tale Abramo di Elia di Rimini (9) mentre una prima presenza ebraica tra le mura si può datare al 1408 quando è attestata una tassa a carico della comunità ebraica locale per finanziare le truppe di papa Gregorio XII (10). Appare chiaramente che sul territorio amministrato dal Gruppo parentale normanno gli ebrei non avevano spazio operativo a causa della concorrenza del gruppo clavellesco in quanto nelle comunità vicine la realtà risulta differente. A Matelica mercanti ebrei aprono i primi banchi nel 1280(11), a San Severino la presenza ebraica si fa risalire al 1270 (12), ad Urbino al 1240 (13) mentre in Ancona si arriva addirittura al 967(14). Chiavello de Clavellis succede a Guido Napolitano e nonostante sia uno stimatissimo “condottiere” al soldo dei Visconti e dei Malatesta mette in mostra anche notevoli qualità imprenditoriali. Costui nonostante sia impegnatissimo con la militia organizza insieme ai Malatesta e ad un altro socio di Zara una “Compagnia del Sale” che cura l’approvvigionamento e la distribuzione dello stesso nell’Italia centrale. Una conferma del suo agire imprenditoriale si ha nel 1405 quando dovendosi recare a Roma per rinnovare con la Camera Apostolica l’affitto dell’Abbazia di San Vittore alle Chiuse prese alloggio nel rione Arenula, rinomato per l’attivita della concia dei pellami e la lavorazione del rame, indicando che il suo soggiorno a Roma aveva anche un risvolto commerciale (15). I primi omologhi di costui a capo del Gruppo parentale normanno dovettero essere in possesso delle stesse attitudini e chiaramente le esercitarono altrimenti l’artigianato ed il commercio locale non avrebbero avuto possibilità di successo tra le mura, ma di costoro non sono state tramandate notizie in tal senso probabilmente per l’assenza di cronisti coevi di avvenimenti locali. Se da quanto emerge dai pochi documenti del periodo non si hanno notizie che possano avvalorare questa tesi tuttavia è anche doveroso rammentare che non esistono neppure dati documentali che possano contraddirla. Nel 1284/85 il podestà di Fabriano era un Marino Cornaro (16) della celebre casata veneziana. Questa scelta indica sicuramene un grande interesse cittadino/clavellesco verso i mercati veneziani e la presenza del Cornaro un corrispondente interesse veneto verso il giovane Comune che si stava affacciando con i suoi prodotti, carta in primis, al mercato più importante del tempo anticipando in qualche modo la “grazia” del 1346 che concedeva la cittadinanza della Repubblica di Venezia ad Alberghetto, Giovanni e Crescenzio de Clavellis “domini di Fabriano” (17). Inoltre che Tomaso del primo Alberghetto colui che entrò in Fabriano con 300 cavalieri del Regno di Napoli, nei suoi anni al comando del Gruppo parentale normanno, fosse stato nel 1307 il primo allibratore del Comune di Fabriano indica che il de Clavellis gestiva in prima persona le finanze del Comune di Fabriano e si può supporre a tutela dei propri interessi.
Ed il fatto che il primo Gualtiero faccia edificare la Chiesa di S. Maria Nuova e porti la maggior parte del gruppo parentale negli “ambo castra”, che il figlio Alberghetto faccia costruire la prima cerchia delle mura e la fontana “Sturinalto” nella Platea magna che il secondo Alberghetto faccia scavare il fossato per regolare il flusso del fiume Castellano, costruire la seconda cerchia di mura, rinnovare l’arredo cittadino e soprattutto faccia fondere la campana della torre comunale con lo stemma clavellesco, il tutto a spese della “Communitas”, dovrebbe togliere ogni dubbio sul significato dell’iniziale “de nostro castro fabriani” e su chi possa avere esercitato dal 1165 la volontà unita alla capacità finanziaria, alla capacità organizzativa di riunire in un solo luogo tutte le risorse del territorio da impiegare in un progetto imprenditoriale e commerciale di ampio respiro, come fu quello fabrianese, unita a quella militare per difenderlo da ingerenze esterne. Dopo questa disamina di quanto è emerso relativo ai de Clavellis, alla produzione artigianale fabrianese ed al relativo commercio, soprattutto quello della carta, appare il momento di alcune considerazioni.  La prima è ribadire che non vi può essere altra possibilità all’infuori di quella clavellesca sul “chi” possa aver introdotto la lavorazione della carta in un piccolo centro montano in quel tempo senza alcuna importanza, perso tra le montagne della Marca Anconetana, carente in vie di comunicazione e privo di una tradizione artigianale, commerciale ed imprenditoriale. E questo perchè i de Clavellis sono stati gli unici personaggi presenti sul territorio fabrianese, sul quale ebbero fin dagli inizi una completa egemonia, con attitudini imprenditoriali che non possono essere messe in discussione e con documentati rapporti di vario tipo con la Terra di Lavoro, la Sicilia e soprattutto con gli Angiò.
Gruppo parentale che condivise le vicende dei Drengot, altrimenti Ruggero non avrebbe potuto essere al comando nel 1155 di un reparto di cavalleria del Barbarossa, e che proprio per questo doveva conoscere bene ogni aspetto del Meridione d’Italia. Una seconda è che produrre un bene anche importante non è sufficiente alla sua affermazione commerciale se la produzione non viene affiancata da una rete di vendita utile a metterlo a disposizione dell’acquirente. Cosa che solo i de Clavellis erano in grado di fare già nella Fabriano del XII secolo per la loro provenienza normanna, per la loro familiarità con la Terra di Lavoro e per il patrimonio di parentele e di frequentazioni che non può essere loro negato. Le altre ipotesi timidamente avanzate: templari, monaci o saraceni non possono essere prese in seria considerazione da chi conosce la storia del territorio fabrianese e di quello marchigiano. I templari anche se vi è qualche flebile traccia sul territorio di Fabriano non sono mai stati qui documentati nei secoli che riguardano la carta. Riguardo a monaci provenienti dall’Oriente giunti a Fabriano non se ne ha notizia alcuna, per di più il monachesimo presente camaldolese  e  silvestrino  abbraccia la  regola benedettina  che imponeva  ai propri religiosi di non abbandonare mai il monastero dove avevano iniziato la loro vita religiosa. Anche la presenza di un borgo saraceno, dato per esistente tra le mura già dal 1253 e prendente il nome da islamici qui residenti, venne messa in dubbio da Romualdo Sassi che riguardo alla denominazione propende per un antroponimo derivato dal nome di personaggi locali(18). Tuttavia si potrebbe anche sostenere, considerato che il “cognomen toponomasticum” dei de Clavellis può trarre origine solo da due località della Francia, Esclavelles o Esclavolles, dove fiorente era il commercio degli schiavi, che il gruppo parentale francese avesse l’abitudine di servirsi di questa categoria di persone, e che quindi il “Burgo Saracino” collocato nelle viuzze presso la Porta Pisana ospitasse dei saraceni, nella iniziale condizione di schiavi in seguito convertitisi al cristianesimo, e che quindi qualcuno di loro fosse in possesso delle tecniche arabe di produzione della carta.

Filigrane di alcuni marchi dei primi produttori di carta a Fabriano

A parte la mancanza di documentazione al riguardo questa ipotesi non inficerebbe la grande probabilità storica di una matrice clavellesca riguardo all’importazione dal Meridione delle tecniche arabe di produzione della carta a Fabriano.
Note:
1) O.Marcoaldi: “Guida e statistica della Città e del Comune di Fabriano”, pag.106
2) Castagnari-Lipparoni: “La rete viaria nell’area fabrianese dal Medioevo al XV secolo”, pag. 645
3) Carisio Ciavarini : Collezione di documenti storici antichi “,Vol. II . Doc. n.2, pag.2
4) Libro rosso Comune di Fabriano: doc. n. 61, pag.103
5) Gilii-Guerrieri: “Memorie storiche di Fabriano”, Fgl. 103
6) Libro rosso Comune Fabriano: docc. n.94, n.238, n.239, n.240
7) C.Acquacotta: “Memorie di Matelica” doc.n.1 pag.337 :...”Corbum domini Johannis camerarium communis Mathelice… dedit et solvit cuidam mercatori de Fabriano pro carta quam emit pro quaternis faciendis ipsius Camerarii pro introitibus et expensis dicti Communis…tres soldos”
8) Archivio storico Comune di Fabriano: Pergamene, Busta VIII n. 413 e Cassetta III, rotolo n.9
9)   Ariel Toaff: “The Jews in Umbria”, doc. 791.
10)  Shlomo Simonsohn:” The apostolic see and the Jews”. Documents vol.II, doc. 579
11) Gino Luzzatto: “I prestiti comunali e gli ebrei a Matelica nel sec. XIII”, pag. 15
12) Vittore Colorni:” Prestito ebraico e comunità ebraiche nell’Italia centrale e settentrionale”, pag. 230
13) Alessandra Veronese:” La presenza ebraica nel ducato di Urbino nel quattrocento” pagg.252/256
14) Marco Fantuzzi: “Monumenti ravennati dei secoli di mezzo”, pag 3\78
15) Paoli-Morosin: “L’Abbazia di San Vittore delle Chiuse”, pagg. 103/107
16) O.Marcoaldi: “Guida e statistica della Città e Comune di Fabriano”, pag. 304 e Libro Rosso Comune Fabriano, doc. n.85
17) Giovanni B. Ciappelloni: “de Clavellis de Fabriano dal XII al XV secolo”, pagg. 338/39
18) Romualdo Sassi: “Stradario storico illustrato di Fabriano” pag. 58

Giovanni B: Ciappelloni
Giovanni B. Ciappelloni da sempre interessato alla storia di Fabriano, con particolare attenzione al basso medioevo, ha già pubblicato “Chiavelli e de Clavellis”, “Ruggero, Chiavello ed altri Messeri” e “de Clavellis de Fabriano, dal XII al XV secolo”. Non è presente sui social network.
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