
Teofilatti. I padroni di Roma – seconda parte di Lorenzo Benedetti
Il saeculum obscurum è un periodo della storia ecclesiastica alto-medievale che gli storici hanno individuato tra l’888, data della morte dell’ultimo imperatore carolingio, Carlo il Grosso, e il 1046, anno che ritroveremo al termine del nostro viaggio nella genealogia dei Teofilatti, la famiglia che più di ogni altra operò per condurre all’elezione pontificia numerosi suoi membri. Come tutte le necessarie quanto imprecise etichette storiografiche, pure questa non tiene conto, a livello macroscopico, degli anni di rinascita e rinnovamento che segnarono anche questo turbolento e talvolta immorale periodo nella storia della Chiesa, riassumendo nella dicitura il tratto principale di un’epoca oscura sia nei vizi, quanto nella conoscenza.
Gregorio I conte di Tuscolo, nipote di papa Giovanni XII (955-964) e rappresentante della famiglia nell’Urbe, aveva scalato nuovamente, dopo un periodo vissuto all’ombra dei Crescenzi, la gerarchia del potere sulla scia del padre Teofilatto grazie alle sue qualità militari. Nel 999 era divenuto praefectus navalis (1), ammiraglio della flotta romana, e la morte del potente avversario Giovanni Crescenzio nel 1012 lasciò finalmente quel vuoto di potere che permise a Gregorio di subentrargli e riprendere per sé e per la sua famiglia il governo di Roma.
La fazione nemica si prodigò immediatamente per eleggere un successore al defunto Sergio IV, sostenuto da Giovanni e spirato lo stesso anno, nella persona di un certo Gregorio; ma le armi e l’abilità guerresca del Tuscolano fecero fuggire lui ed i suoi sostenitori in Germania, mentre uno dei tre figli del conte, Teofilatto, veniva eletto pontefice col nome di Benedetto VIII (1012-1024); gli altri due, Alberico e Romano, erano destinati alla carriera politica e militare (2). Con questa decisione, Gregorio pose temporaneamente fine al tempus obscurum che la Città Eterna ed il papato avevano vissuto: se da una parte rimase un’elezione a carattere “familiare”, Benedetto si dimostrò un ottimo candidato.

Energico e determinato, offrì la corona imperiale ad Enrico II di Germania – che sarà proclamato santo nel 1146 –, il quale lo aveva appoggiato contro Gregorio evitando un piccolo scisma. Sceso a Roma, il sovrano rinnovò l’alleanza con il Papato proprio in virtù di quel Privilegium Othonis, sottoscritto da Giovanni XII, che favoriva l’ingerenza imperiale nell’elezione e nell’azione pontificia. Fu però un’abile mossa: Benedetto governava saldamente Roma, e necessitava dell’appoggio tedesco per attuare i suoi progetti temporali e spirituali; l’accordo non avrebbe compromesso l’autonomia del Papato in quanto Enrico era pio, lontano dall’Italia e nessuno dei due poteri universali era deciso ad imporsi sull’altro.
La collaborazione tra i due si ebbe su ambi i piani: negli affari di governo, l’imperatore impedì ai bizantini di marciare su Roma sconfiggendoli ad Ofanto (1018), e concordemente promossero i tentativi di riforma di impronta monastica. Nel sinodo di Ravenna (1018) e poi a Pavia nel 1022 si scagliò apertamente contro i mali che affliggevano il clero: la simonia, il concubinaggio, il nicolaismo.
Nel 1016 venne incontro alle richieste di aiuto delle popolazioni costiere ed organizzò una coalizione con Pisa e Genova per combattere i saraceni (3): alla guida della flotta, sconfisse il comandante Mugahid presso Luni e poi nelle acque della Sardegna, liberando l’Italia settentrionale dalla minaccia piratesca. In questo senso, il pontificato di Benedetto VIII, al pari di quello di altri predecessori del X secolo, può essere considerato un luminoso spiraglio all’interno del secolo oscuro: la sua consacrazione fu, per il papato e l’Europa, una nota positiva in un periodo di incertezza.
Alla sua morte gli succedette con naturalezza, come in un principato ereditario (4), il fratello Romano, dux et consul Romanorum, che prese in tutta fretta gli ordini sacri e salì al Soglio come Giovanni XIX (1024-1032). Il neoeletto non aveva le qualità diplomatiche e la cultura teologica del fratello: non fu in grado di tener testa al nuovo re di Germania, Corrado II, e sembra avesse addirittura accettato di cedere il patriarcato ecumenico, cioè la supremazia sulla Chiesa universale, a Costantinopoli, che ambiva a tale titolo e che solo vent’anni dopo, nel 1054, avrebbe dato vita al Grande Scisma. Il nome di Giovanni XIX resta legato anche al monaco Guido d’Arezzo, celebre autore del Micrologus: il papa infatti lo invitò a Roma per spiegargli il suo trattato musicale, che passerà alla storia per la codifica della moderna notazione musicale.
La morte colse Giovanni XIX alla fine del 1032, e la strada era già stata preparata per favorire la successione del nipote, figlio di Alberico, a cui fu imposto il nome dello zio, Benedetto IX (1032-1045). Nonostante il suo buon governo e la sua decisa azione in materia religiosa (5), la sua fama è legata alla rinuncia all’ufficio di Romano pontefice ed agli eventi che ne seguirono: costretto alla fuga una prima volta nel gennaio del 1045 da una sommossa popolare fomentata dai Crescenzi, che imposero come pontefice un loro congiunto, Silvestro III, rientrò nell’Urbe a marzo e, con l’appoggio militare dei fratelli, cacciò il rivale. Ma questa seconda fase di pontificato durò pochissimo: Benedetto infatti vendette per denaro la tiara all’arciprete Giovanni Graziani il quale venne proclamato papa Gregorio VI.
Vi erano dunque tre pontefici nel Lazio, ognuno con aspirazioni di legittimità (Benedetto IX non era infatti mai stato ufficialmente deposto) e ciascuno colpevole di simonia, dissolutezza, nefandezze: arbitro della contesa divenne, ancora una volta, il re di Germania Enrico III il Nero, che calato in Italia depose Silvestro, Gregorio e costrinse Benedetto alla rinuncia formale, designando al suo posto il rigido vescovo di Bamberga, suo vassallo e fautore del movimento di renovatio morale della Chiesa, Clemente II, nel 1046.
Alla morte di Clemente, l’anno seguente, Benedetto IX ritentò di guadagnare per sé il Soglio petrino, ma fu scomunicato e privato dei suoi alleati. Di qui, la storia dei Conti di Tuscolo e del loro ultimo pontefice scende lentamente negli oscuri meandri della storia, portando con sé la fine del saeculum obscurum e lasciando spazio ad un rinnovamento morale e giuridico nella Chiesa.
Il canto del cigno fu lanciato dal nipote di Benedetto, il cardinale Giovanni, che nel 1058 si fece eleggere col nome dello zio: non durò che pochi mesi il suo regno, ostacolato da Ildebrando di Soana e scomunicato come antipapa dal legittimo successore di Pietro, un uomo destinato ad un luminoso ruolo nella vita della Chiesa. Ma questa è un’altra storia.
Note:
1) L. Duchesne, Liber Pontificalis, 1892, p. 268, nota 1.
2) G.L.Williams, Papal Genealogy, 1998, p. 12; L.Duchesne, Liber Pontificalis, 1892, p. 268, nota 1.
3) G.Tellenbach, B. VIII in Enciclopedia dei Papi, 2000.
4) H.Jedin, Storia della Chiesa, IV, 324-27.
5) G.B.Mondin, Dizionario Enciclopedico dei Papi, 1995, p. 145.
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Classe 1996, vive a Borgo Val di Taro in provincia di Parma, diocesi di Piacenza-Bobbio. Terminati gli studi di liceo linguistico, frequenta il corso di Lettere all’Università degli Studi di Pisa. Studioso di Storia medievale, si dedica in particolare a genealogia e storia della Chiesa con focalizzazione sulla Storia dei Papi. Da tempo collabora con diversi quotidiani e periodici quali Voce del Taro, la Gazzetta di Parma, Corrisponenza Romana ed il mensile Radici Cristiane.
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