
«Re Totila. Un personaggio storico demonizzato» di Anna Bozzetto
Nell’anno 535, col pretesto dell’assassinio di Amalasunta, figlia di Teodorico, per mano del cugino Teodato, l’imperatore Giustiniano diede inizio alle guerre gotiche. Dopo la resa di Vitige e l’assassinio di Ildebado, i Goti acclamarono Totila loro sovrano, sperando in una riscossa (autunno 541). Totila ottenne vari successi militari, preferendo tuttavia le trattative agli scontri in campo aperto. Procopio di Cesarea, cronista contemporaneo alle guerre gotiche, era a servizio dei Bizantini e avrebbe avuto tutto l’interesse a dipingere a tinte fosche il condottiero nemico. Riportò invece nella sua opera singolari atti di clemenza compiuti dal re dei Goti.
Nel 543 Totila espugnò la piazzaforte di Cuma. Là si trovavano le mogli dei senatori, ma ebbe cura che l’esercito non facesse loro alcuna violenza e le lasciò andar via libere, acquistando con tale comportamento «fama di saggezza e umanità».
Nello stesso anno, conquistò Napoli dopo un breve assedio. Al suo ingresso in città, sfamò la popolazione stremata. Si curò persino di far nutrire gradualmente gli affamati perché non avessero danni da eccesso di cibo dopo prolungati digiuni. Una simile empatia verso i propri nemici è un evento così eccezionale nel Medioevo che Procopio di Cesarea rimane attonito: il cronista non si sarebbe mai aspettato una simile generosità da un barbaro.
In quella stessa occasione, Totila consentì ai soldati nemici comandati da Conone di ritirarsi via mare, ma una tempesta li bloccò sul porto. Conone e i suoi uomini temettero che i Goti li attaccassero a tradimento. Il re lo seppe e li rassicurò. Dopo diversi giorni, il vento contrario impediva ancora la navigazione. Allora, il contingente nemico dovette ritirarsi via terra e Totila lo rifornì addirittura di provviste per il viaggio, di cavalli e di bestie da tiro.
Totila punì senza remore un suo soldato che aveva violentato una ragazza. Il padre della fanciulla, un cittadino romano, si era presentato da lui per denunciargli il fatto. Il re ordinò d’incarcerare il soldato. I suoi comandanti gli chiesero di perdonare il misfatto perché si trattava di un guerriero valoroso. Totila rispose: «Non è possibile che un uomo che si è macchiato compiendo un atto di violenza acquisti gloria in combattimento!». E il soldato ricevette un castigo esemplare: il re lo fece giustiziare e assegnò alla ragazza i beni del colpevole come risarcimento.
Procopio di Cesarea ci racconta anche della pietà dimostrata da Totila quando conquistò Roma, nell’anno 546. Innanzitutto, proibì ai suoi soldati d’inseguire i Bizantini fuggiaschi. Disse loro: «Cosa ci può essere di più piacevole per un uomo che un nemico in fuga?». Poi andò a pregare nella basilica di San Pietro, come già aveva fatto nell’anno 500 il suo predecessore Teodorico. I Goti entrarono nella città e si rischiò un massacro. Così, il diacono Pelagio andò a supplicare Totila nella basilica chiedendo pietà per la popolazione. Il re lo ascoltò. Ordinò ai suoi uomini di non uccidere più nessuno e protesse anche Rusticiana, vedova di Boezio: i Goti accusavano la donna di aver finanziato l’esercito bizantino e di aver distrutto alcune statue di Teodorico per vendicare la morte del coniuge. Volevano giustiziarla, ma Totila non permise alcuna vendetta su di lei né alcun oltraggio nei confronti delle altre donne.
A quel punto, Totila voleva concludere la guerra. Inviò un’ambasceria a Giustiniano con una missiva in cui proponeva all’imperatore la stessa pacifica collaborazione che c’era stata un tempo fra Teodorico e Anastasio. Bellissima la frase del re dei Goti contenuta in questa lettera: «Se desideri (la pace) sarai considerato da me come un padre e potrai servirti di me come alleato contro chiunque vorrai». Giustiniano respinse l’ambasceria. Non considerava Totila un leader degno di trattare con lui, ma un usurpatore e un eretico (Totila credeva nella dottrina di Ario che Giustiniano si era proposto di sradicare dall’impero assieme a tutti i culti diversi dal credo niceno). Così rispose ai messaggeri goti di andare a trattare con Belisario, il generale a cui aveva affidato la conduzione della guerra. Umiliato da quella risposta, Totila minacciò di radere al suolo Roma. Belisario lo dissuase. Gli scrisse che compiendo un’azione del genere, avrebbe coperto il suo nome d’infamia per tutti i secoli a venire.
Come cronista delle guerre gotiche, Procopio è una fonte imparziale: narra anche episodi in cui Totila punì con mano forte e i Goti compirono violenze. Totila mise a morte il bizantino Isace che l’aveva privato dell’amico Roderico, uccidendolo. Perché un uomo che si era distinto per magnanimità fece questo? Perché la sua bontà era solo una facciata, mentre la sua vera indole era malvagia e spietata, come si potrebbe sospettare? Per evitare un giudizio antistorico, bisogna tener presente che vendicare un amico era un punto d’onore per un capo barbarico . L’ordine di mutilare il presule Valentino si colloca poi in un contesto particolare. L’uomo fu catturato in una nave carica di provviste per l’esercito nemico e accusato di mentire nel corso di un interrogatorio. Non sappiamo su cosa mentì Valentino, ma il fatto sembrò particolarmente deplorevole al sovrano .
Procopio ci riferisce infine che l’esercito dei Goti irruppe nottetempo a Tivoli (le cui porte furono aperte dagli stessi soldati romani), saccheggiò la città e uccise chiunque vi trovò. Ma non attribuisce il sacco di Tivoli a un ordine di Totila. Infatti, era frequente che bande di mercenari militanti negli eserciti commettessero violenze a prescindere dagli ordini del loro condottiero. Nel 536, quando Belisario espugnò Napoli, i mercenari Massageti nella smania del saccheggio gli sfuggirono di mano e massacrarono civili persino all’interno delle chiese.
L’opera di Procopio di Cesarea non è l’unica fonte che narra gesti magnanimi di Totila. Nel Liber Pontificalis è scritto che durante la presa di Roma, il sovrano consentì la fuga degli abitanti facendo suonare le trombe per tutta la notte che precedette l’ingresso dell’esercito goto in città (Vita Vigili, 7, 107).
Dall’altra parte della barricata, i Bizantini non si distinsero per pietà verso il nemico. La battaglia di Busta Gallorum che nell’anno 552 costò la vita a Totila, fu l’epilogo di una guerra di annientamento. Totila, che a Roma si era rifiutato di braccare i nemici in fuga, fu inseguito durante la sua ritirata da un drappello di mercenari e ferito a morte da uno di essi con un colpo di lancia alle spalle. I prigionieri goti catturati dal generale Narsete furono tutti sgozzati: non ricevettero lo stesso trattamento generoso che Totila aveva riservato ai soldati di Conone durante la conquista di Napoli. Gli Unni e i Longobardi a servizio di Narsete come mercenari, si rivelarono poi una vera sciagura per la popolazione italica: si dettero a massacri e a stupri, trascindando le vittime fuori dalle chiese in cui si erano rifugiate. Il generale bizantino si vide così costretto a congedare i Longobardi.
Questa è la Storia. Ora inizia la leggenda. La leggenda di un Totila immaginario dipinto come un mostro crudele ed empio, avviata dai Dialoghi di Gregorio Magno (scritti attorno all’anno 594) ed esasperata dal genere letterario medievale delle passioni epiche.
Gregorio Magno proveniva da una famiglia dell’aristocrazia senatoria. E l’aristocrazia senatoria si vide espropriata di buona parte dei suoi latifondi per via della riforma agraria di Totila (il re voleva assicurarsi la fedeltà dei contadini e degli schiavi liberati e militanti nel suo esercito elargendo loro delle terre). Non meraviglia quindi l’avversione di Gregorio Magno verso Totila, già reo di essere un eretico. Ma è lo stesso impianto affabulatorio a confinare i racconti su Totila contenuti nei Dialoghi nel territorio della leggenda. Totila compare come un anticristo, un simbolo del Male, contrapposto a vari uomini di Chiesa, personificazioni del Bene. Il sovrano getta a un orso il vescovo Cerbonio che però ammansisce la belva (Dialoghi 3,11) e lega sotto il sole il vescovo Fulgenzio, ma un temporale si abbatte sull’esercito e bagna tutti eccetto il religioso (Dialoghi 3,12). Pur non essendo presente all’assedio di Perugia, ordina a un generale di scorticare vivo e decapitare Ercolano, il vescovo della città. Il generale esegue l’ordine, ma la testa e la pelle di Ercolano si riattaccano al cadavere rimasto intatto per quaranta giorni (Dialoghi 3,13) .
Ispirandosi ai Dialoghi, le agiografie medievali (o meglio, le cosiddette “passioni epiche”) presentano Totila come un demonio, colpevole di atroci martiri. Si tratta di opere composte svariati secoli dopo la morte del re: alcune, come la passio di San Proculo, addirittura nel XIII secolo. La passio di San Lauriano, scritta nel X secolo, è emblematica. Lauriano contesta le dottrine di Ario e Totila manda dei sicari ad assassinarlo. Questi lo raggiungono e lo decapitano. Allora Lauriano raccoglie la propria testa recisa e li insegue, pregandoli di portarla a Siviglia dal loro re. Totila non mise mai piede in Spagna né mai vi regnò: questo dimostra che il Totila delle “passioni” medievali non è un personaggio storico, è il simbolo dell’Eresia e quindi dello stesso Diavolo. Spesso è persino confuso con Attila.
Anche Giovanni Villani, nella sua Cronica (scritta a metà del XIV secolo) confonde Attila con Totila e attribuisce al malcapitato Totila varie atrocità compiute dal re unno: un fratricidio (compiuto da Attila ai danni del fratello Bleda) e grandi martirii di Cristiani. Lo chiama più volte flagellum dei e scrive che si allontanò da Roma dopo l’incontro con Leone Magno. Villani riporta anche il racconto della distruzione di Firenze da parte di Totila: il re convinse gli abitanti a farsi aprire le porte con false promesse e poi rase al suolo la città. Ma tale racconto non è altro che una deformazione leggendaria di un precedente attacco barbarico alla città che Dante Alighieri addebita ad Attila. Infatti la battaglia del Mugello che vide la prima vittoria di Totila sui Bizantini (anno 542) non comportò la conquista di Firenze. La città rimase fino al 547 sotto dominio bizantino. Solo nel 552 comparve nell’elenco delle città cadute in mano ai Goti che Narsete intendeva riconquistare. Probabilmente la presa di Firenze da parte dell’esercito goto avvenne tra il 548 e il 552, ma è sicuramente da escludere che la città sia stata rasa al suolo.
Se i martiri attribuiti al perfidus rex Totila sono leggende medievali, le persecuzioni compiute da Giustiniano ai danni di eretici, pagani, Ebrei, Samaritani e Manichei in nome dell’ortodossia nicena sono invece documentate da fonti storiche. I sospettati di eresia o paganesimo erano sottoposti a torture, anche pubbliche, e condannati a morte. Dopo l’esecuzione, i loro cadaveri venivano lasciati insepolti.
Riferimenti bibliografici:
F. Cardini, Cristiani perseguitati e persecutori, Salerno Editrice, 2011;
F. Cardini, Alle radici della cavalleria medievale, Sansoni, Milano 2004;
Laura Carnevale, “Totila come perfidus rex tra storia e agiografia“, Vetera Christianorum 40, 2003, 43-69;
Henri de Lubac, Esegesi medievale, i quattro sensi della scrittura, vol.3, sez. V, Editoriale Jaca Book, Milano 1996;
Procopio di Cesarea, Le guerre: persiana, vandalica, gotica a cura di Marcello Craveri, Einaudi 1977;
G. Vinay, Alto Medioevo latino. Conversazioni e no, Napoli 1978;
Manlio Pastore Stocchi, Totila, Treccani Enciclopedia Dantesca;

Questo articolo vuole essere un tentativo di assicurare un “equo processo” a Totila re dei Goti, che è stato oggetto di una immeritata damnatio memoriae, riconoscendone meriti e limiti nell’ambito del suo contesto storico
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