Tra Marche e Abruzzo

Tra Marche e Abruzzo Immagini e testo di Luca Palumbo

Di sicuro l’emozione che provò Leonard Wooley quando iniziò i suoi scavi in Mesopotamia, quando gli apparirono i primi reperti di epoca sumera, è immensamente maggiore di quello che provo io ogni volta che visito un sito nuovo. Però voglio pensare che vi somigli, l’emozione. Quel senso di scoperta che vorresti condividere col mondo. Come quando sono stato la prima volta ad Ascoli Piceno e mi sono imbattuto nella chiesa di San Gregorio Magno. Colonne romane in facciata, e sul fianco sinistro. Resti di colonne e travi di tempio romano per terra, accanto alla chiesa, ma, soprattutto, un’intera parete in opus reticolatum. Volevo fermare la gente per chiedere loro…vi rendete conto di quello che avete? Questa chiesa, già solo da fuori è una miniera di storia… Magari anche Wooley mi avrebbe appoggiato. E questo primo assaggio di Ascoli, avvenuto ormai più di un mese fa, è stato il preludio di un nuovo giro, un poco più lungo, di quattro giorni, che ho dedicato all’Abruzzo, e anche ad una fetta, appunto, di Marche. Ormai mi capita raramente. Avendo girato molto mi sento quasi sempre preparato a quello che mi aspetta. Non è stato il caso di questo giro che non ha mai smesso di stupirmi, e di regalarmi emozioni incredibili.

A partire dalla prima chiesa visitata, nelle Marche, trovata quasi per caso. Montecorsaro. Abbazia di Santa Maria Assunta o Basilica di Santa Maria a Piè di Chienti. L’edificio è grande. Già da fuori se ne percepisce la pianta a croce greca, con il transetto in prossimità della grande abside. (“circondata” da 3 absidi più piccole, più una quarta più accanto). Si intuisce anche la presenza di tre navate, e, probabilmente di una struttura anteriore della quale restano solo frammenti di muro. Entrando…la meraviglia. La navata centrale, che fino a metà aula arriva fino all’alto soffitto in legno, poco prima del Presbiterio è suddivisa su due livelli, come se ci fossero due chiese una sull’altra. Le due navate laterali sono sormontate da un matroneo, il quale poi, diventa il “secondo piano” della chiesa. Già solo questa suddivisione, accompagnata dalla presenza del deambulatorio, conferisce a questa chiesa un fascino unico. Non ricordo di aver mai visto edifici simili. E’ interessante anche la presenza di elementi di reimpiego, incastonati qua e là, la cui ricerca è molto interessante. Anche il livello superiore ha un bel deambulatorio (e qui si trova l’elemento più interessante di quelli longobardi presenti). Il catino absidale è affrescato, così come l’intera abside. Sono affreschi tardo medievali, abbastanza ben conservati.

Lasciata Montecorsaro ho potuto dedicarmi all’Abruzzo. Scoprendo alcuni dei suoi gioielli più belli. Ero già stato da queste parti. Ero stato a San Clemente di Casauria, a Caramanico terme, presso San Tommaso Becket. O ancora al complesso di Santa maria assunta ed il chiostro di san pellegrino a Bominaco, o, ancora, a Capestrano, presso San Pietro ad Oratorium che sono di una bellezza rara. L’aspettativa era alta, quindi, ma non così alta. Sono tornato a San Clemente, per cogliere nuovi elementi che mi fossero sfuggiti la volta precedente, poi mi sono diretto alla volta di Atri. Ad Atri la Cattedrale è chiusa per il terremoto, ma una sua parte è comunque visitabile, tramite l’ingresso al museo. E’ visitabile una zona interessante, che comprende la zona absidale e il Presbiterio. Sulle pareti un ciclo di affreschi splendido, tardo quattrocentesco, ma ancora dal tipico profumo medievale. Rappresentata è la vita di Maria, anche attraverso gli occhi dei Vangeli Apocrifi. Se si guarda verso il basso si possono notare i resti degli edifici precedenti, emersi durante lavori di restauro. Ecco quindi le absidi della chiesa precedente, paleocristiana, e quel che resta della domus che qui era edificata in età romana. Splendidi pavimenti musivi e i muri, riconoscibili per la loro fattura. Atri era meta, in realtà, per il museo archeologico, che, però ho trovato chiuso. Vi è inoltre il chiostro, e la cisterna romana, anch’essa parzialmente inagibile per il terremoto.

Dai responsabili del museo di Atri arriva un prezioso consiglio. Visita Teramo. Colgo al volo l’occasione e mi dirigo verso questa città della quale non conosco nulla. E qui la prima vera grande sorpresa. Teramo è pazzesca, ricchissima di siti interessantissimi. Arrivo alla Cattedrale, e noto subito elementi di reimpiego unici, che, forse, fin ora ho trovato solo a Roma. Al suo interno possenti colonne romane e, ancora, un susseguirsi di elementi romani, incastonati nelle pareti di questo grande edificio. Accanto alla Cattedrale (intitolata a Santa Maria Assunta), si erge ciò che resta dell’anfiteatro romano. Ed è da questo sito, parzialmente demolito proprio per far posto al Duomo, che provengono molti dei bellissimi rilievi reimpiegati per la costruzione di Santa Maria Assunta. Mentre le grosse colonne romane che si trovano all’interno provengono da templi della zona. A pochissimi metri dall’anfiteatro, ecco comparire il complesso archeologico del teatro romano. Anche qui, poderose rovine, raccontano la storia della città, e degli edifici cristiani che sono nati anche grazie ai suoi marmi.

Ulteriore consiglio di una persona incontrata per caso. Vai a vedere Sant’Anna. A vederla da fuori non si direbbe… ma dentro… c’è solo da sedersi ed ammirarla… contemplarla. Colonne romane, frammenti longobardi, e un edificio antichissimo giunto a noi quasi come non fosse passata un ora. Le sue colonne, sormontate da capitelli corinzi, esili e bianche mi hanno trasmesso un’emozione incredibile. Ne avevo sete, dopo tanto tempo che non giravo per chiese così antiche. Vi ho poggiato la mano, come a coglierne l’energia… sciocco, forse, ma non è la prima volta che mi capita, e succederà ancora. Accanto a Santa Maria un bel sito archeologico che voglio visitare (era chiuso). Attraverso le vetrate ho notato alcune absidi, che mi fanno pensare ad edifici tardo antichi o altomedievali.

Dopo Teramo è la volta di Chieti. Anche qui anfiteatro romano, spogliato nel tempo per la fortuna di nuovi edifici. Chieti era in programma per il museo. Anche se non è di ambiente medievale, lo cito per due elementi imperdibili, che interesserebbero qualunque storico. Il Guerriero di Capestrano, opera preromana, rinvenuta a Capestrano. E l’aquila legionaria romana. Che, da quel poco che ho potuto capire è l’unica in Italia, o una delle pochissime. Molti altri sono gli elementi di primissimo piano e trovo sia un museo di categoria alta. Potrei tranquillamente paragonarlo al museo di Taranto e ad alcune sezioni del Mann di Napoli.

Dopo Chieti mi sono diretto verso San Giovanni in Venere. Abbazia cistercense, sorta su di un edificio precedente. La pianta di questa grande Abbazia è a croce latina, con tre navate e tre absidi che, nella parte esterna, presentano decorazioni dal gusto orientale. All’interno l’edificio è sobrio, come normale sia in edifici cistercensi. Interessante il chiostro, anche se quasi tutti i capitelli sono stati sostituiti di recente con sobri parallelepipedi privi di decorazioni. Da notare la presenza di alcune colonne romane e di un sarcofago tardo antico, che, oltre alla presenza di elementi longobardi e alle decorazioni che arricchiscono i due portali (quello della facciata principale e quello laterale detto “delle donne”), sono la testimonianza di un edificio precente molto più antico. In effeti anche a guardare il lato destro della chiesa, dall’esterno, si nota una certa eterogenia nella muratura, che fa ulteriormente supporre le pesanti trasformazioni che questo edificio deve aver subito nel tempo.

E’ la volta di Roccascalegna e del suo affascinante castello. Affascinante per la posizione. Trovo infatti che i pesanti lavori di restauro che ha subito ne abbiano appiattito il fascino storico. Le torri sono autentiche, ci mancherebbe, ma si passa accanto a muri quasi completamente cementati e tutti uguali fra loro. Interessantissima la riproduzione (unica in Italia), presente nella prima delle torri in cui si possa entrare, di una macchia per lanciare il “fuoco greco” con cui i Bizantini riuscirono a tenere le flotte arabe lontane dalle coste di Costantinopoli per molti secoli.

Ultima tappa del mio giro è Ascoli Piceno. L’obiettivo era di trovare aperta San Gregorio Magno, che tanto mi aveva entusiasmato, e di osservare meglio le altre chiese che avevo appena avvicinato nel giro precedente. San Gregorio era chiusa, così come molte altre chiese della città. In compenso era aperto il Duomo. Apparentemente sobrio, anche all’interno, in realtà è ricchissimo di elementi di spoglio. (mi ha ricordato, per certi versi, la facciata del Duomo di Spoleto). L’elemento che mi ha sorpreso (è un eufemismo… in realtà mi ha fatto perdutamente innamorare) è la cripta. Le due ali laterali sono una foresta di colonne romane, con capitelli romani e altomedievali. L’altare è un sarcofago strigilato reimpiegato. Uscendo dalla cripta, poco prima di risalire le scale che mi ci hanno portato, mi sono imbattuto in un vero e proprio mondo sotterraneo, di epoca romana o tardoantica, con sarcofagi di varie epoche (comunque tutti molto vecchi). Si tratta di una vecchia necropoli, molto vasta, attualmente inagibile per il terremoto. Ho provato ad insistere per visitarla, ma al momento non è proprio possibile. Potrei chiedere al Sig Vooley di intercedere per me…ma dubito in un successo. Di sicuro mi avesse seguito in questo giro, mi avrebbe stretto la mano e mi avrebbe fatto i complimenti. Un giro così avrebbe stupito anche un buongustaio come lui.

Luca Palumbo
Sono un quarantaduenne alla perenne ricerca di castelli. Artigiano nel settore delle costruzioni meccaniche, ho la mania dei castelli e li vado a cercare dappertutto. Da qualche tempo ho iniziato ad interessarmi anche ai monasteri e alle chiese di epoca medievale, ma la passione più grande è per le merlature. Altre passioni sono per la meccanica ed i vecchi transatlantici. Transatlantici e castelli hanno in comune il fatto di esser realizzati dall’unione molte di molte persone che, come diceva un mio amico, si spezzavano la schiena per metterli in piedi, quando l’abilità dell’uomo era l’unica cosa che contava.
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