Una riflessione sul Perugino Il caso dell’Annunciazione Ranieri (1487 – 1489)

Una riflessione sul Perugino Il caso dell’Annunciazione Ranieri (1487 – 1489) di Filippo Basilico

Dal 4 marzo all’11 giugno 2023 è visitabile a Perugia, nella Galleria Nazionale dell’Umbria, la mostra su Pietro Perugino (1450 ca – 1523) curata da Marco Pierini e Veruska Picchiarelli. La mostra “Il meglio maestro d’Italia. Perugino nel suo tempo” prende il nome dalle belle parole che spese per lui il celebre banchiere e committente Agostino Chigi in una lettera del 1500 indirizzata a suo padre, nella quale scrive per l’appunto: “Volendo fare di sua mano Lui è il meglio maestro d’Italia”.
Quando Ludovico il Moro intorno al 1490 è in cerca di un grande maestro per la Certosa di Pavia, un suo emissario gli consiglia in particolare – tra i vari artisti come Botticelli, Filippino Lippi e Domenico Ghirlandaio – proprio il Perugino perché “Maestro singolare et maximo in muro, le sue cose hanno aria angelica et molto dolce”.
L’appellativo di Perugino gli viene dato per via delle origini umbre – era nato a Città della Pieve – e qui aveva trascorso la propria adolescenza; ricordiamo che in questi anni l’Umbria, in particolare Perugia e Spoleto, pullulano di numerosi artisti del calibro di Domenico Veneziano, Filippo Lippi, Beato Angelico e soprattutto Piero della Francesca.
Intorno agli anni 70 del ‘400 Perugino volle recarsi a Firenze “con animo di farsi eccellente” (Vasari) ed entra quindi nella bottega artistica più importante dell’epoca: la bottega del Verrocchio dove conosce e stringe amicizia con Leonardo. Dopo soli pochi anni il Perugino si mette in proprio e apre, sempre a Firenze, una propria bottega. Diventa quindi un artista molto proficuo e, in breve tempo, finisce per dominare la scena artistica del tempo muovendosi sempre tra la Toscana e l’Umbria.
Dopo neanche un decennio dal suo trasferimento a Firenze arriva già la commissione più importante della sua carriera: la chiamata a Roma da parte del pontefice Sisto IV della Rovere (1471 – 1484) per affrescare dapprima la Cappella della Concezione nel coro della basilica di San Pietro (1479) i cui affreschi andarono purtroppo perduti nel 1609; poi – entusiasta dei lavori – il papa lo coinvolse anche nella massima impresa artistica del suo pontificato, la Cappella sistina.
In questa impresa – uno degli avvenimenti più importanti di tutta la storia dell’arte – Perugino è affiancato dai maggiori artisti dell’epoca: Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Cosimo Rosselli, Luca Signorelli, Bernardino di Betto (il Pinturicchio) e Piermatteo d’Amelia. La cosa però più importante è che il papa riconosca a lui un ruolo di preminenza rispetto agli altri; sarà lui infatti a coordinare l’intero gruppo di artisti, una sorta di sovrintendente ai lavori.
Sarà lui ad affrescare, ad esempio, l’immensa parete dietro l’altare con una grandiosa Assunzione sostituita qualche decennio più tardi dal Giudizio Universale di Michelangelo. Oggi conosciamo quell’opera grazie ad un disegno del Pinturicchio (foto 1).

Fig. 1 – Pietro Perugino, Assunzione, Roma, Cappella Sistina, affresco, 1481 – 1483. Disegno del Pinturicchio
Alla sua mano si devono, inoltre, i primi affreschi delle pareti laterali con il Viaggio di Mosè in Egitto e il Battesimo di Cristo, nonché il celeberrimo La consegna delle chiavi eseguito con la collaborazione di Signorelli e Bartolomeo della Gatta, convocati nell’ultima fase della decorazione (C. Martelli 2013, p. 107). Ma l’importanza di questa impresa, (1480 – 1482 ca), non sta tanto nelle opere dei singoli artisti quanto nel genio del Perugino che riesce a dare una uniformità stilistica a tutto il ciclo artistico.  Come ci riesce? Lo spiega bene Alberto Angela: «Prima ancora di cominciare, stabilì per tutti i “colleghi” le dimensioni delle figure da dipingere, le tonalità e la gamma cromatica da utilizzare, la scansione ritmica delle scene da rappresentare, come raffigurare i paesaggi e persino tracciò idealmente la linea dell’orizzonte. Questa strategia funzionò. Gli artisti, infatti, si attennero a questi parametri e il risultato oggi è sotto lo sguardo di tutti noi […]. Molti visitatori non sanno nulla di questo perfetto coordinamento, ma il capolavoro di armonia che è sotto i loro occhi nasce proprio da lì» (A. Angela 2016, p. 29).
Nel decennio successivo, al culmine della fama, Perugino lavora nelle più importanti città italiane: principalmente Firenze, ma anche Bologna, Milano, Orvieto e Venezia; nella sua bottega intanto fa la comparsa il giovanissimo Raffaello. Il Perugino è, quindi, in questi anni l’artista più famoso a livello nazionale nonché il più ricercato e il più pagato. Il Vasari lo descrive come un uomo estremamente venale: «per denari avrebbe fatto ogni mal contratto» (A. Angela 2016, p. 35); sono noti infatti episodi della sua vita in cui egli preferisce rinunciare ad alcuni incarichi anziché ridimensionare il suo onorario, giustificato da una richiesta di mercato molto ampia. C’è un altro aspetto poco conosciuto dell’artista: «nonostante il netto prevalere di opere di soggetto sacro anche nei dipinti di committenza privata […] Giorgio Vasari lo racconta come “persona di assai poca religione, e non gli si puotè già mai far credere l’immortalità dell’anima, anzi con parole accomodate 43 – 1518) al suo cervello di porfido, ostinatissimamente recusava ogni buona via» (I maestri dell’arte italiana – Perugino, 2020, p. 19).
Uno dei cicli artistici più importanti che il Perugino svolge negli anni successivi è rappresentato dagli affreschi del Collegio del cambio a Perugia (1498 – 1500): si tratta di uno spazio privato all’interno del quale i banchieri, riuniti in una potente corporazione denominata “Arte del Cambio” esercitavano la propria attività. Il ciclo iconografico, una delle realizzazioni più importanti e più belle del Rinascimento italiano, che si svolge lungo le pareti della Sala delle Udienze, è il frutto di una elaborazione del raffinato umanista perugino Francesco Maturanzio (1443 – 1518).
Nel 1501 Perugino aprì una seconda bottega a Perugia che gli consente di avere il piede in più staffe e di riuscire quindi ad accettare un maggior numero di incarichi; tuttavia l’inizio del nuovo secolo segna per l’artista anche l’inizio di un lento ma inesorabile declino. Gli anni intorno al 1505 rappresentano infatti il momento in cui a Firenze la scena è occupata dai grandi artisti come Raffaello, Michelangelo ma anche lo stesso Leonardo, i quali aprono l’arte fiorentina ad una nuova e rivoluzionaria strada che il Perugino non segue rimanendo fedele ai propri stilemi. Diventa così evidente che il suo linguaggio ancora profondamente quattrocentesco non riesce più a tenere il passo con le novità fiorentine dei primi anni del XVI secolo e pertanto il pittore cessa definitivamente in questi anni di essere l’artista più in voga.  Nuove generazioni di artisti si affacciano alla ribalta e prendono il sopravvento.
L’esempio più eclatante si verifica in Vaticano dove era stato chiamato, intorno al 1508 dal nuovo papa Giulio II della Rovere (1503 – 1513), insieme ad altri artisti come il Sodoma e il Bramantino per decorare le volte delle stanze. Ben presto però il papa decise di affidare tutti i lavori a Raffaello sollevando tutti gli altri artisti dall’incarico.
Insomma nel luogo che trent’anni prima lo aveva consacrato come l’artista più importante d’Italia, l’artista subisce un licenziamento in tronco perché la sua arte è ormai superata. Raffaello decide tuttavia «di mantenere, non cancellandoli, gli interventi del maestro, anche se appaiono largamente inadeguati e anacronistici, per rispetto affettuoso più che per convinzione» (I maestri dell’arte italiana – Perugino, 2020, p. 22). Il palcoscenico della grande arte moderna non è più il suo.
Il Perugino si allontana quindi dai grandi centri artistici di Roma e Firenze dove la sua arte non è più apprezzata e ritorna a Perugia dove lavora nella sua bottega fino al 1513 anno in cui decide di chiuderla definitivamente. Gli ultimi anni sono caratterizzati per lo più dalla composizione di piccole opere di carattere sacro. L’ultima opera del maestro è l’Adorazione dei Pastori, oggi al Victoria and Albert Museum, realizzata a Fontignano e completata poi dai suoi allievi per via della morte improvvisa che lo colse a 73 anni.
Scrive Giorgio Vasari nelle Vite del 1550:
“Lasciò Pietro ereditaria la pittura d’una maniera vaga et onorata di colori così nel fresco come all’olio; e durò tal cosa per Italia a imitarsi fino che venne la maniera di Michele Agnolo Buonarroti. E mostrò agli artefici che chi lavora continuo e non a ghiribizzi, lascia opere, nome, facultà et amici” (I maestri dell’arte italiana – Perugino, 2020, p. 25).
ANNUNCIAZIONE RANIERI (1487 – 1489)

Pietro Perugino, Annunciazione Ranieri, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, tempera su tavola, 1487 – 1489
Il nome deriva dalla famiglia Ranieri di Sorbello che dal 1742 è la legittima proprietaria dell’opera.  Ad oggi l’opera è stata data in deposito temporaneo – in comodato d’uso – alla Galleria Nazionale dell’Umbria dall’attuale proprietario: il Conte Roberto Ranieri di Sorbello.
L’opera, non certo tra le più celebri dell’artista, ha iniziato a riacquistare una certa fama in seguito ad una grande mostra del 1907 sull’arte umbra a Perugia, nel Palazzo dei Priori. Prima di allora l’opera, nascosta nei possedimenti della famiglia, era pressoché sconosciuta.
Le prime riflessioni che scaturirono in seguito alla mostra riguardarono la paternità dell’opera e la sua cronologia.  Inizialmente si pensò ad una mano vicina al Perugino, quindi un artista della sua bottega, ma non al Perugino stesso.  In seguito entrarono nella discussione, tra gli altri, lo storico dell’arte italiana Adolfo Venturi e lo studioso tedesco Walter Bombe, autore nel 1914 di una grandiosa monografia sul Perugino. I due critici d’arte erano concordi sulla paternità dell’opera al Perugino ma non sulla cronologia.
Per lo studioso tedesco l’opera apparteneva agli esordi della sua carriera (primi anni 70 del ‘400 quando l’artista ancora non si era trasferito a Firenze ed era quindi influenzato unicamente da Piero della Francesca e non dal contesto fiorentino); secondo il Venturi invece – nonostante sia evidente l’influsso pierfrancescano – l’opera va fatta risalire ad una fase più matura della sua carriera; lo studioso parla di un arco cronologico che va dal 1485 al 1490. Siamo quindi negli anni che seguono l’impresa della Sistina e che vedono l’artista all’apice della fama. Oggi la critica – datando l’opera a un periodo che va dal 1487 al 1489 – ha accolto l’ipotesi del Venturi.
Vediamone seppur brevemente la descrizione.
Questo piccolo dipinto, una tempera su tavola di 55,5 cm x 42 cm, rappresenta per l’appunto il momento dell’annuncio alla Vergine, da parte dell’arcangelo Gabriele, della sua futura maternità. La scena è ambientata all’interno di un cortile tipicamente rinascimentale: il piano terra è costituito da una serie di arcate a tutto sesto su cui si innesta il piano superiore – il piano nobile – caratterizzato da lesene in corrispondenza delle colonne intervallate da finestre aperte architravate. L’ambientazione è un chiaro rimando al cortile del palazzo ducale di Urbino opera dell’architetto Luciano Laurana. Anche il pavimento a riquadri marmorei è prospetticamente impeccabile. Le due figure in primo piano rappresentano l’angelo annunciante inginocchiato – in segno di devozione e  riverenza – e la Vergine che, turbata e meravigliata da quella improvvisa comparsa, lascia cadere a terra un piccolo libricino di preghiere che stava leggendo. Al di là di questa architettura classicheggiante si apre, sullo sfondo, un paesaggio naturale caratterizzato da alberi e colline; si intravede persino una città sullo sfondo.
L’influenza di Piero della Francesca – che inizialmente fece datare il dipinto alla fase giovanile dell’artista – è sicuramente innegabile, ad esempio nella descrizione minuziosa dell’architettura e nell’idea di inserire un avvenimento sacro all’interno di un’architettura rinascimentale (pensiamo alla celeberrima Flagellazione). C’è però un dettaglio di non poco conto che suggerì prima al Venturi e poi ad altri che l’attenzione andava indirizzata anche sul paesaggio in lontananza, dove si coglie l’influenza dello sfumato leonardesco: il quale consiste nel rendere sempre meno nitide le immagini in lontananza proprio come avviene all’occhio dell’osservatore; per rendere quindi più verosimile la visione della realtà in lontananza.
L’influenza Vinciana fu però il segno evidente di una fase più matura del Perugino, una fase successiva quindi al rapporto con Leonardo nella bottega del Verrocchio.
Concludiamo questo breve articolo con un giudizio molto interessante – e che conferma la cronologia tarda del Venturi – ad opera di Pietro Scarpellini nella sua celebre monografia sull’artista del 1984: «un piccolo capolavoro ove Pietro mostra quali capacità di lirica intimistica egli possedesse ancora quando non era troppo occupato dai grossi appalti ufficiali»; appalti ufficiali che nei primi anni 70 erano quasi del tutto inesistenti per l’artista; oltretutto è sicuramente una tavola successiva all’arrivo di Raffaello nella sua bottega perché è evidente come, anche in questa opera, il Vannucci sia influenzato in parte anche dal  giovane allievo.
Le informazioni sulla mostra sono consultabili sul sito della Galleria Nazionale dell’Umbria:
https://gallerianazionaledellumbria.it/mostre/mostra-perugino

L’artista verrà inoltre celebrato sul grande schermo: per soli tre giorni (34 e 5 aprile 2023) uscirà infatti nei cinema: Perugino. Rinascimento Immortale, diretto da Giovanni Piscaglia. Sulla copertina della locandina c’è proprio l’Annunciazione Ranieri di cui abbiamo parlato.

BIBLIOGRAFIA:

  1. Pierini – V. Picchiarelli, Perugino nel Rinascimento italiano, «Artedossier» 407, Firenze 2023;
  2. Garibaldi, Perugino, «Artedossier» 197, Firenze 2004;
  3. Palumbo, Perugino e Perugia. Vita, arte e storia di un uomo e della sua città, Bologna 2022;
  4. Gualdoni (a cura di), Perugino, «Maestri dell’arte italiana», Milano 2021;
  5. Angela, Viaggio nella Cappella Sistina, introduzione di Antonio Paolucci, Milano – Città del Vaticano 2016;
  6. Abbozzo – A. Tiroli (a cura di), Perugino pittore devozionale. Modelli e riflessi nel territorio di Corciano, Cinisello Balsamo 2004, catalogo della Mostra tenuta a Corciano nel 2004;
  7. Baronti et al. (a cura di), Perugino e il paesaggio, catalogo della Mostra tenuta a Città della Pieve nel 2004, Cinisello Balsamo 2004;
  8. F. Mancini e V. Garibaldi (a cura di), Perugino, il divin pittore. Guida breve, Milano – Perugia 2004; testi estratti dal catalogo della Mostra tenutasi a Perugia nel 2004;
  9. Scarpellini, Perugino, Milano 1984

SITOGRAFIA:

Cecilia Martelli, Vannucci Pietro detto il Perugino – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 98 (2020):
https://www.treccani.it/enciclopedia/vannucci-pietro-detto-il-perugino_%28Dizionario-Biografico%29/;
Silvia Urbini, Pietro Perugino, Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014):
https://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-perugino_%28Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco%29/;
Manuela Gianandrea, Perugino, Enciclopedia Treccani dei ragazzi (2006):
https://www.treccani.it/enciclopedia/perugino_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/;
Achille Bertini Calosso – Alceste Bisi Gaudenzi, PERUGINO, Enciclopedia Italiana (1935):
https://www.treccani.it/enciclopedia/perugino_%28Enciclopedia-Italiana%29/

Per contattare l’autore clicca qui !

CATEGORIE
CONDIVIDI SU
Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
WhatsApp
Email
Stampa
My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.