
Valentina Visconti di Ornella Mariani
Plus ne m’est rien, rien ne m’est plus.!
Queste, le ultime parole della figlia di Gian Galeazzo Visconti, ferita dagli intrighi e dai veleni di Corte della Francia del secondo Trecento governata da Carlo VI, la cui tragica follìa le fu imputata come conseguenza di diabolici sortilegi dalla malvagia cugina/cognata Isabella di Baviera e dagli avidi Duchi di Borgogna e Berry .
Vittima d’un linciaggio antiitaliano o strega?
Nata nel 1371, era stata l’unica superstite dei figli di Gian Galeazzo e di Isabella di Valois, sorella di Carlo V.
La precoce orfanità materna s’era annunciata primo anello di quella catena di sciagure che funestò la sua esistenza e che fu presagita fin dal battesimo quando la musica d’un liuto, che l’accompagnava all’altare tra le braccia della madrina Violante, era stata bruscamente interrotta dallo spezzarsi d’una corda.
Allevata a Pavia dalla nonna Bianca di Savoia, Valentina fu iniziata allo studio del francese e del tedesco, nella iniziale prospettiva di un matrimonio con Giovanni di Goerlitz, fratello dell’Imperatore Venceslao del Lussemburgo.
La vagliata unione col cugino Carlo, la cui consanguineità era pur stata superata da una opportuna dispensa papale, era sfumata quando Bernabò Visconti aveva preferito legare suo figlio a Beatrice d’Armagnac e quando lo stesso GianGaeazzo, divenuto nel 1385 unico titolare dei beni familiari, usandola come merce di scambio, aveva concluso accordi politico/ matrimoniali fra Valentina e Luigi di Valois, fratello del Re Carlo VI.
Il 25 novembre del 1386, Clemente VII assentì alle nozze ed il 27 gennaio successivo fu stipulato il contratto: la sposa portava in dote Asti; la Contea di Vertus; 450mila fiorini; gioielli per 75mila fiorini e, quale unica erede, la successione milanese.
Il rito nuziale fu officiato per procura a Milano l’8 aprile del 1387. Tuttavia, per impedirle di lasciare Milano, Gian Galeazzo impugnò la giovane età della figlia: in effetti, non solo non disponeva della liquidità dotale concordata, ma contava sulla speranza che sua moglie Caterina restasse gravida.
Il 7 settembre del 1388, infatti, nacque Giovanni Maria ma, mentre si procedeva alla revisione delle clausole nuziali, Valentina fu comunque costretta a raggiungere il marito: il 23 giugno del 1389, sotto scorta del cugino paterno Amedeo VII il Conte Rosso, ella mosse da Milano con trecento cavalieri a garanzia di un ingente corredo: un anticipo di 200mila fiorini; stoffe pregiate; vasellame ed oggetti artistici in oro, argento, avorio, ambra, corallo, cristallo; raffinati offizioli; un salterio; rari e pregiati testi; 150 diamanti; 28 smeraldi; 310 zaffiri; 90 rubini, 7mila perle.
Nel bagaglio privato, era custodito un mazzo di Tarocchi: quell’innocente passatempo che si sarebbe rivelato l’indicatore della sua attitudine alla stregoneria.
Bertrando Guasco, Governatore della Contea di Vertus, ospitò il corteo in Alessandria e, dopo le tappe di Asti e Chieri, Valentina e i suoi beni furono affidati ai delegati di Luigi.
Il fastoso matrimonio si celebrò a Mélun il 17 agosto del 1389, cinque giorni prima della incoronazione ufficiale di Carlo VI e di Isabella di Baviera, nipote di Bernabò: se, infatti, GianGaleazzo aveva scelto di legarsi dinasticamente ai Savoia ed ai Valois, suo zio aveva privilegiato l’Austria e la Baviera cedendo, nel 1367, la figlia Taddea a Stefano II di Wittelsbach, sintesi del ramo bavarese e del ramo dell’Hainault, nonché referente del Duca di Borgogna Filippo l’Ardito. Da quell’unione era nata nel 1370 la futura Regina di Francia che, presto privata della madre e legatissima al fratello Ludovico, era cresciuta fra Ingolstadt e Monaco finché nel 1383, nella prospettiva di riconquistare i territori fiamminghi occupati dagli Inglesi, Federico di Wittelsbach ne aveva negoziato le nozze con Carlo VI, fissandole al 17 luglio del 1385 ad Amiens.
Cugine e cognate, Isabella e Valentina coabitarono nella residenza di Vincennes prima di trasferirsi in rue st. Antoine aux Célestins a Parigi ove, il 25 settembre del 1386, la candidata al trono aveva messo al mondo il Delfino Carlo, primo di dodici figli e deceduto a tre mesi; il 14 giugno del 1388 Giovanna e l’anno successivo Isabella, la cui nascita fu angustiata proprio dalla morte della sorella maggiore.
Questo secondo lutto, ingenerando in Carlo VI la convinzione che sulla sua discendenza incombesse una maledizione, lo immise in una spirale maniaco-depressiva non attenuata neppure dalla nascita di un’altra Giovanna, nel gennaio del 1391.
Nel maggio dello stesso anno, anche Valentina mise al mondo un Carlo che neppure visse a lungo. La sua malinconica esistenza francese si proiettava già verso l’isolamento nel quale l’aveva ricacciata Isabella che odiava GianGaleazzo, ascrivendogli la responsabilità della morte di suo nonno e l’esclusione della sua discendenza dall’eredità: il 19 dicembre del 1385, Bernabò era stato avvelenato nel castello di Trezzo ed era stato solennemente sepolto in S.Giovanni in Conca, malgrado fin dal 1363 Urbano V l’avesse maledetto e proclamato eretico e scismatico.
Il peggio doveva ancora venire.
Ai primi di agosto del 1392, nel corso di una spedizione mirata ad arrestare in Bretagna il cugino Pierre de Craon, responsabile dell’assassinio del Connestabile Oliviero de Clisson, Carlo VI fu colto da un delirio omicida e, certo di trovarsi in battaglia, uccise quattro dei suoi cavalieri, prima di avventarsi furiosamente anche contro il fratello Luigi.
La sua già latente follìa fu utilizzata da Isabella per avviare una ramificata campagna di accuse contro la cugina, imputata d’avere stregato il marito nell’intento di delegittimarlo ed assicurare il trono al proprio coniuge.
L’ipotesi era avvalorata dalla circostanza che il 4 giugno precedente il Sovrano avesse conferito a Luigi il titolo di Duca d’Orléans, di fatto spianandogli la via della successione.
A margine dell’inquietante episodio, Carlo VI fu rinchiuso nel castello di Creil sur Oise, in attesa che clinici di fama diagnosticassero l’infermità e placassero le frequenti crisi di violenza.
La notizia che il Re fosse impazzito aprì un delicato problema politico: il Re doveva abdicare in favore del Delfino?
Ed in tal caso, chi ne sarebbe stato tutore per la reggenza?
La questione fu accantonata poiché, nei primi giorni del gennaio del 1393, egli sembrò recuperare la lucidità malgrado il suo equilibrio restasse appeso ad un filo: il celebre medico Guillaume de Harselly, per il quale la malattia era una tara trasmessa da Giovanna di Borbone, affermò che qualsiasi emozione avrebbe potuto scomporlo definitivamente.
Sorda alle prescrizioni, tuttavia, Isabella decise di festeggiare l’apparente miglioramento con un rumoroso ricevimento e uno charivari per le seconde nozze dell’amica Caterina di Hainceville, esigendo l’allestimento d’una coreografia di uomini primordialmente abbigliati di fili di lino.
Desideroso di esibire la sua guarigione, anche Carlo volle mascherarsi e a sera ordinò di tenere accese torce solo ai lati del salone. Quando, nel cuore della festa, giunse l’ignaro Luigi, le sue fiaccole provocarono una terrificante tragedia.
La pece, usata per incollare i tessuti, s’infiammò; molti ospiti arsero vivi ed il Re riuscì a porsi in salvo per il provvidenziale intervento di una zia.
Per penitenza, avocata a sé ogni responsabilità dell’evento, Luigi si recò scalzo dalla porta di Montmartre a Nôtre-Dame.
Il quindici giugno successivo, ad Abbeville, nel corso dei negoziati con l’Inghilterra, il male di Carlo VI presentò una recrudescenza: egli sostenne di chiamarsi Giorgio e di essere celibe, rifiutando d’incontrare la moglie e placandosi solo in presenza della rassicurante Valentina.
Isabella se ne infuriò: oltre ad essere esposta al rischio di perdere il trono, era costretta a vivere con un pazzo la cui serenità sembrava dipendere dall’invisa cognata/cugina. Il 22 agosto, pertanto, offerta in voto alla Madonna in cambio della guarigione del marito la neonata Maria, poi mandata in convento pur in assenza del miracolo, ella convocò Arnaud Guillaume.
Consultata la sua Tavola Smaragdina, lo stregone sostenne che il Re era sano, ma preda di malìa.
Chi aveva effettuato quel malvagio sortilegio?
Valentina!
Valentina dimestica alla nefasta divinazione dei Tarocchi.
Valentina esperta nella magia nera, in particolare fondata sulle liturgie a base di statuette di cera in voga a Milano e nella corte viscontea, ove era ben noto che anche Gerardo d’Armagnac ne avesse fatto confezionare alcune per suo uso.
Valentina, oppressa dalla spietata rivalità della Regina.
Complici della calunnia furono gli zii Filippo l’Ardito e Margherita di Fiandra, cui interessava colpire Luigi attraverso la moglie mirando anch’essi ad incunearsi nella reggenza dell’ ormai pazzo Sovrano.
Nel 1385, l’avversione seminata contro la Visconti si spinse all’insinuazione che il suo stesso terzogenito Luigi, misteriosamente morto, fosse stato per errore da lei avvelenato con una pozione in realtà destinata al Delfino.
Per proteggere l’incolumità della moglie dalla diffusa ostilità, nel marzo del 1396, Luigi la trasferì ad Asnières, ove la raggiungeva saltuariamente in attesa dell’ultimazione della fortificazione di Blois. Fra le mura di questa residenza, nacquero, nel luglio successivo Filippo; nel 1399 Giovanni; nella primavera del 1401 Maria; nel 1406 Margherita mentre, a margine delle frequenti maternità Valentina coltivava il suo passatempo preferito: Tarocchi lombardi e carte saracene.
Il 27 ottobre dello stesso 1396, intanto, Carlo VI incontrò Riccardo II ad Ardre e, nelle clausole della convenuta tregua, accettò d’inserire le nozze, fissandole al successivo 4 novembre a Calais, fra l’attempato e vedovo Sovrano inglese con la sua settenne Isabella. Nel frattempo, rinsaldò i suoi rapporti col fratello, malgrado la morte del Delfino sollevasse a carico della Visconti ulteriori voci di veneficio confermate dalla circostanza che, in uno dei rari momenti di lucidità e in sprezzo delle insinuazioni, contrariando la casa di Baviera, impegnasse la piccola Isabella, già vedova di Riccardo II, all’omonimo nipote Carlo di Angoûleme.
La politica degli intrighi e delle alleanze familiari entrò in crisi nel 1403, quando Isabella combinò il matrimonio di suo fratello Ludovico con Anna di Borbone, vedova del figlio del Duca del Berry, assicurando allo sposo un appannaggio di 12mila franchi ed il titolo di Connestabile di Francia.
Contrario a cedere ad uno straniero quell’importante ruolo istituzionale, Luigi se ne adirò.
Il 27 aprile del 1404, in esito alla morte di Filippo l’Ardito, cui successe il figlio Giovanni senza Paura, le tensioni si accentuarono: costui, infatti, dal 31 agosto, data delle nozze di sua figlia Margherita di Borgogna col settenne Delfino Luigi di Guyenne, prese di fatto il controllo della Corona, rivendicandone la reggenza nei momenti di crisi del Re; cogliendo ogni possibile occasione per infangare Luigi d’Orléans; spingendosi ad esibire in pubblico Carlo VI, coperto di pulci e di sterco durante le sue crisi di follìa; imputandone le colpe al disinteresse dello stesso Luigi, coinvolto in una torbida tresca con Isabella, alle spalle dell’ignaro ed infermo marito, come già nel 28 maggio precedente aveva denunciato il monaco Hacques Legrand, nel corso di una storica Messa.
Nel luglio del 1405, i presunti amanti furono costretti a fuggire a Mélun, ove insediarono un governo provvisorio.
Rientrarono a Parigi in settembre, per riprendere il controllo della ingarbugliata situazione politica ma, ai primi di gennaio del 1406, Giovanni senza paura ottenne da Carlo la nomina definitiva di reggente per il Delfino.
Nell’autunno del 1407, Isabella partorì un altro bambino. Luigi la raggiunse per una visita di cortesia e, al suo ritorno, cadde vittima d’un agguato degli sgherri dell’irriducibile Giovanni senza paura.
Era il 24 novembre.
L’evento sconvolse la Francia e frantumò la vita di Valentina già immalinconita dal nostalgico ricordo del padre, fin dal 1401 stroncato dalla peste.
Il dieci dicembre, ella raggiunse Carlo per esigere l’arresto del mandante del crimine ma egli, che fra l’insorgenza del male e la morte collezionò quarantaquattro ricadute, neppure comprese il senso della richiesta e congedò la cognata nell’incoscienza dell’assassinio del proprio fratello.
Per converso, l’8 marzo del 1408, Giovanni senza Paura pretese l’apertura d’un grottesco processo contro il defunto Luigi. In quel contesto giudiziario, il teologo Jean Pétit sostenne che indifferibili e legittime esigenze avevano legittimato l’omicidio del Duca d’Orléans che, nella mira ad usurpare il trono, aveva costituito una costante minaccia di attentato alla Corona; si era reso colpevole di lesa maestà; aveva concorso a praticare stregoneria sul Sovrano; aveva appoggiato lo scisma; aveva tradito la nazione a vantaggio di Enrico di Lancaster, con la complicità di Isabella.
Fuggita da Parigi, la Sovrana vi tornò nell’agosto successivo per sfidare Giovanni, cui inviò una lettera d’invito a ritrattare le accuse e a riconoscersi responsabile del delitto.
Per Valentina, invece, non c’era più futuro: vedova e abbandonata, si spense trentottenne di sofferenza e malinconia il 4 dicembre del 1408, lasciando in balìa degli eventi i figli Carlo d’Orléans, quattordicenne, sposo della cugina Isabella e futuro padre di Re Luigi XII; il dodicenne Filippo; Giovanni di otto anni e Margherita di due soli anni.
Forse aveva pagato il solo pedaggio del sospetto di una Corte allarmata dai corrieri che GianGaleazzo pagava per tenersi aggiornato su tutte le attività politiche dei Valois.
Forse le era stata imputata la spregiudicatezza del padre: quando, nel febbraio del 1391, deciso a riportare il Papa a Roma, Carlo VI aveva sollecitato il sostegno finanziario e militare del Visconti e la corresponsione della dote residua di Valentina, GianGaleazzo aveva continuato a tergiversare, vanamente inseguendo il progetto di un regno creato con il patrimonio pontificio e governato dal genero.
Forse era stata penalizzata dall’accordo franco/fiorentino del 29 settembre del 1396 col quale, infranta l’alleanza con i Visconti, la Corona francese si dispose ad acquisirne le terre.
Di certo, Valentina Visconti fu una donna malinconica e sola, bollata dallo sprezzante appellativo di strega lombarda sopravvissuto alla sua morte e conferitole durante l’infelice esperienza di moglie di un marito libertino, di cognata di un Sovrano pazzo e di cognata/cugina di una Regina malvagia ed infida.
Bibliografia:
Jean Juvénal des Ursins, Histoire de Charles VI
ione dell’impero.
Bibliografia
C. Grimberg: Storia Universale
G. Scherr: Duemila anni di vita tedesca

Ornella Mariani è sannita. Ha pubblicato:
saggi economici vari;
(Pironti) Per rabbia e per amore
(Pironti) E così sia
(Bastogi) Viaggio nell’entroterra della disperazione
(Controcorrente) Federico II di Hohenstaufen (1° e 2° edizione)
(Adda) Morte di un eretico
(Mephite) Matilde
(Mephite) Giuditta
(Mephite) Costanza
(Mephite) Profili di perle
(Mephite) L’ultimo Dio
(Mephite) Enrico VII
(Mephite) La Battaglia dei Piani Palentini
(Mephite) Federico II di Hohenstaufen: la Storia negata
(Mephite) Nostos
(Mephite) Storia della Provincia di Benevento
Collabora a siti vari di storia medievale ed in particolare con l’A.C.I.M. Ha coordinato una Storia di Benevento commissionata dall’Ente Comune Capoluogo. Il testo Matilde è stato recitato per tre anni da Manuela Kustermann e Roberto Alinghieri. Il testo Giuditta è stato interpretato da Edoardo Siravo ed Elena de Ritis col patrocinio dell’UNICEF, sezione Abruzzo. Il testo Nostos è stato portato in scena dal Regista Antonio Mastellone.
Nell’agosto del 2009 è stata insignita della cittadinanza onoraria del Comune abruzzese di Scurcola Marsicana per l’attendibile rivisitazione della celebre battaglia di Tagliacozzo, ricostruita nel testo La battaglia dei Piani Palentini. Il volume Federico II di Hohenstaufen: la Storia negata ha ottenuto il patrocinio del Parlamento Europeo, nella cui sede di Bruxelles è stato presentato il 6 ottobre 2010.
Nell’estate del 2011 è stata Consultant per l’allestimento de Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Claudio Monteverdi, per il Teatro finlandese.
Ha pubblicato I Borghi del Sannio, commissionato dall’Ente Provincia di Benevento e presentato nella Sede Istituzionale dell’Ente il 19 dicembre 2012.
Ha pubblicato nel 2013 Iskander: Gjergi Skanderbeu Castrioti, dramma in atto unico per il teatro, per la regìa di Ercole Ammiraglia, protagonisti Edoardo Siravo e Gabriella Casali.
Ha in corso di pubblicazione, con il Patrocinio della Presidenza del Parlamento europeo, La transumanza: dall’Abruzzo alla Bretagna. Tradizioni pastorizie a confronto.
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